[88] Εἶναί τε τὴν μερικὴν ἡδονὴν δι' αὑτὴν αἱρετήν˙ τὴν δ' εὐδαιμονίαν οὐ δι' αὑτήν, ἀλλὰ διὰ τὰς κατὰ μέρος ἡδονάς. πίστιν δ' εἶναι τοῦ τέλος εἶναι τὴν ἡδονὴν τὸ ἀπροαιρέτως ἡμᾶς ἐκ παίδων ᾠκειῶσθαι πρὸς αὐτήν, καὶ τυχόντας αὐτῆς μηθὲν ἐπιζητεῖν μηθέν τε οὕτω φεύγειν ὡς τὴν ἐναντίαν αὐτῇ ἀλγηδόνα.

εἶναι δὲ τὴν ἡδονὴν ἀγαθὸν κἂν ἀπὸ τῶν ἀσχημοτάτων γένηται, καθά φησιν Ἱππόβοτος ἐν τῷ Περὶ αἱρέσεων. εἰ γὰρ καὶ ἡ πρᾶξις ἄτοπος εἴη, ἀλλ' οὖν ἡ ἡδονὴ δι' αὑτὴν αἱρετὴ καὶ ἀγαθόν.

[88] Il piacere particolare è per se stesso desiderabile; la felicità non per se stessa, ma per i piaceri particolari. La prova che il piacere sia il fine è costituita dal fatto che noi sin dalla fanciullezza istintivamente siamo attratti verso il piacere e una volta ottenutolo non cerchiamo di più, e nulla evitiamo tanto quanto il suo contrario, cioè il dolore. Il piacere è bene anche se derivi da fatti vergognosissimi, come afferma Ippoboto nell'opera Delle scuole filosofiche. Ché se anche l'azione sia assurda, tuttavia il piacere è per se stesso desiderabile ed è bene.