[91] Διοκλῆς δέ φησιν ἑλχθῆναι αὐτὸν ὑπὸ Μενεδήμου τοῦ Ἐρετρικοῦ. ἐπειδὴ γὰρ εὐπρεπὴς ἦν καὶ ἐδόκει χρησιμεύειν Ἀσκληπιάδῃ τῷ Φλιασίῳ, ἁψάμενος αὐτοῦ τῶν μηρῶν ὁ Κράτης ἔφη, "ἔνδον Ἀσκληπιάδης." ἐφ' ᾧ δυσχεράναντα τὸν Μενέδημον ἕλκειν αὐτόν, τὸν δὲ τοῦτο ἐπιλέγειν.
Ζήνων δ' ὁ Κιτιεὺς ἐν ταῖς Χρείαις καὶ κῴδιον αὐτόν φησί ποτε προσράψαι τῷ τρίβωνι ἀνεπιστρεπτοῦντα. ἦν δὲ καὶ τὴν ὄψιν αἰσχρὸς καὶ γυμναζόμενος ἐγελᾶτο. εἰώθει δὲ λέγειν ἐπαίρων τὰς χεῖρας, "θάρρει, Κράτης, ὑπὲρ ὀφθαλμῶν καὶ τοῦ λοιποῦ σώματος˙ τούτους δ' ὄψει τοὺς καταγελῶντας,
[91] Secondo Diocle, fu invece Menedemo di Eretria a trascinarlo così. Poiché costui era un bell'uomo e correva fama che fosse in rapporti intimi con Asclepiade di Fliunte, Cratete gli toccò le cosce e disse: «Qui dentro è Asclepiade». Menedemo allora s'indignò e lo trascinò via, Cratete citò il verso sopra riportato.
Zenone di Cizio
173* nelle sue Sentenze (Χρείαι) riferisce che Cratete non ebbe alcuna remora a cucire una pelle di pecora al suo mantello. Cratete era brutto di faccia e quando faceva gli esercizi ginnici suscitava il riso. Sollevando le mani, era solito dire così: «Coraggio, Cratete! Questo fa bene agli occhi e al resto del corpo.