[98] Ἤκουσε δὲ καὶ Ἀννικέριδος ὁ Θεόδωρος καὶ Διονυσίου τοῦ διαλεκτικοῦ, καθά φησιν Ἀντισθένης ἐν Φιλοσόφων διαδοχαῖς (FGrH 508 F 5). τέλος δ' ὑπελάμβανε χαρὰν καὶ λύπην˙ τὴν μὲν ἐπὶ φρονήσει, τὴν δ' ἐπὶ ἀφροσύνῃ˙ ἀγαθὰ δὲ φρόνησιν καὶ δικαιοσύνην, κακὰ δὲ τὰς ἐναντίας ἕξεις, μέσα δὲ ἡδονὴν καὶ πόνον. ἀνῄρει δὲ καὶ φιλίαν, διὰ τὸ μήτ' ἐν ἄφροσιν αὐτὴν εἶναι, μήτ' ἐν σοφοῖς. τοῖς μὲν γὰρ τῆς χρείας ἀναιρεθείσης καὶ τὴν φιλίαν ἐκποδὼν εἶναι˙ τοὺς δὲ σοφοὺς αὐτάρκεις ὑπάρχοντας μὴ δεῖσθαι φίλων. ἔλεγε δὲ καὶ εὔλογον εἶναι τὸν σπουδαῖον ὑπὲρ τῆς πατρίδος μὴ ἐξαγαγεῖν αὑτόν˙ οὐ γὰρ ἀποβαλεῖν τὴν φρόνησιν ἕνεκα τῆς τῶν ἀφρόνων ὠφελείας. [98] Teodoro fu alunno di Anniceride e di Dionisio il Dialettico, 258* come riferisce Antistene 259* nelle Successioni dei filosofi. Concepì la felicità e l'infelicità come il bene e il male supremo: l'una deriva dalla prudenza, l'altra dalla stoltezza; beni sono la prudenza e la giustizia, mali i loro contrari, intermedi tra il bene e il male sono il piacere e il dolore. Non ammetteva l'amicizia, perché essa non c'è né tra gli stolti né tra i sapienti: per gli uni, eliminato il bisogno 260* svanisce anche l'amicizia; i sapienti bastano a se stessi e non hanno bisogno di amici. Sosteneva anche che è ragionevole che l'uomo buono non esponga al pericolo la propria vita per la patria, perché non deve rigettare la propria saggezza per l'utilità degli stolti.