[188] αἰσχροτάτην γάρ, φασί, ταύτην ἀναπλάττει ἱστορίαν, εἰ καὶ ἐπαινεῖ ὡς φυσικήν, χαμαιτύπαις μᾶλλον πρέπουσαν ἢ θεοῖς, ἔτι τε καὶ παρὰ τοῖς περὶ πινάκων. γράψασι κατακεχωρισμένην˙ μήτε γὰρ παρὰ Πολέμωνι μήτε παρὰ Ξενοκράτει, ἀλλὰ μηδὲ παρ' Ἀντιγόνῳ εἶναι, ὑπ' αὐτοῦ δὲ πεπλάσθαι.

ἐν δὲ τῷ Περὶ πολιτείας καὶ μητράσι λέγει συνέρχεσθαι καὶ θυγατράσι καὶ υἱοῖς˙ τὰ δ' αὐτά φησι καὶ ἐν τῷ Περὶ τῶν μὴ δι' ἑαυτὰ αἱρετῶν εὐθὺς ἐν ἀρχῇ. ἐν δὲ τῷ τρίτῳ Περὶ δικαίου κατὰ τοὺς χιλίους στίχους καὶ τοὺς ἀποθανόντας κατεσθίειν κελεύων. ἐν δὲ τῷ δευτέρῳ Περὶ βίου καὶ πορισμοῦ προνοεῖν λέγων ὅπως 〈μηδὲν〉 ποριστέον τῷ σοφῷ˙

[188] Ché - dicono codesti critici - la storia che egli inventa è così scandalosa che, se pure egli la loda da un punto di vista naturale, s'addice più alle prostitute che alle divinità e non è neppure catalogata dagli autori di opere sui dipinti (περὶ πινάκων). La storia è tutta una sua invenzione, perché né Polemone né Senocrate 230* e neppure Antigono la citano.
Inoltre lo criticano perché nella sua Repubblica ammette che si possano avere rapporti carnali con madri, figlie e figli: la stessa cosa dice anche proprio all'inizio dell'opera Sulle cose che non sono per se stesse preferibili. Nel terzo libro Sulla giustizia si diffonde in mille linee per prescrivere di mangiare i cadaveri. Nel secondo libro Sulla vita e sui mezzi di sostentamento sostiene di poter considerare aprioristicamente che il sapiente non deve procurarsi alcun mezzo di vita, 231* con questo ragionamento.