[137] Ἔτι (fg. 452 Us.) πρὸς τοὺς Κυρηναϊκούς˙ οἱ μὲν γὰρ χείρους τὰς σωματικὰς ἀλγηδόνας τῶν ψυχικῶν, κολάζεσθαι γοῦν τοὺς ἁμαρτάνοντας σώματι˙ ὁ δὲ τὰς ψυχικάς.


τὴν γοῦν σάρκα τὸ παρὸν μόνον χειμάζειν, τὴν δὲ ψυχὴν καὶ τὸ παρελθὸν καὶ τὸ παρὸν καὶ τὸ μέλλον. οὕτως οὖν καὶ μείζονας ἡδονὰς εἶναι τῆς ψυχῆς.


ἀποδείξει
(fg. 66 Us.) δὲ χρῆται τοῦ τέλος εἶναι τὴν ἡδονὴν τῷ τὰ ζῷα ἅμα τῷ γεννηθῆναι τῇ μὲν εὐαρεστεῖσθαι, τῷ δὲ πόνῳ προσκρούειν φυσικῶς καὶ χωρὶς λόγου. αὐτοπαθῶς οὖν φεύγομεν τὴν ἀλγηδόνα˙ ἵνα καὶ ὁ Ἡρακλῆς καταβιβρωσκόμενος ὑπὸ τοῦ χιτῶνος βοᾳ (S. Tr. 787 sq.),

δάκνων ἰύζων˙ ἀμφὶ δ' ἔστενον πέτραι
Λοκρῶν τ' ὄρειοι πρῶνες Εὐβοίας τ' ἄκραι.

[137] Ma anche in altro differisce dai Cirenaici. 106* Questi, infatti, ritengono che i dolori del corpo sono più gravi di quelli dell'anima (in ogni caso i colpevoli subiscono pene corporali); Epicuro, invece, crede i dolori dell'anima più gravi di quelli del corpo.
Infatti, la carne è sconvolta dal dolore solo per il presente, l'anima oltre che per il presente anche per il passato e per il futuro. Così pure egli crede che i piaceri dell'anima sono maggiori di quelli del corpo.

Che il fine sia il piacere Epicuro dimostra, adducendo come prova il fatto che gli esseri viventi appena nati si trovano a loro agio nel piacere, ma ripugnano al dolore per disposizione naturale, senza l'intervento della ragione. Per genuino istinto, dunque, noi fuggiamo il dolore. E, infatti, anche Eracle, quando è consunto dalla tunica avvelenata, esplode in boati di dolore:

Con morsi ed ululati: le rocce intorno echeggiano il suo lamento e i promontori selvosi di Locri e le estreme balze dell'Eubea. 107*