[147] XXIV.
Εἴ τιν' ἐκβαλεῖς ἁπλῶς αἴσθησιν καὶ μὴ διαιρήσεις τὸ δοξαζόμενον κατὰ τὸ προσμένον καὶ τὸ παρὸν ἤδη κατὰ τὴν αἴσθησιν καὶ τὰ πάθη καὶ πᾶσαν φανταστικὴν ἐπιβολὴν τῆς διανοίας, συνταράξεις καὶ τὰς λοιπὰς αἰσθήσεις τῇ ματαίῳ δόξῃ, ὥστε τὸ κριτήριον ἅπαν ἐκβαλεῖς. εἰ δὲ βεβαιώσεις καὶ τὸ προσμένον ἅπαν ἐν ταῖς δοξαστικαῖς ἐννοίαις καὶ τὸ μὴ τὴν ἐπιμαρτύρησιν 〈ἔχον〉, οὐκ ἐκλείψεις τὸ διεψευσμένον˙ ὡς τετηρηκὼς ἔσῃ πᾶσαν ἀμφισβήτησιν κατὰ πᾶσαν κρίσιν τοῦ ὀρθῶς ἢ μὴ ὀρθῶς.
[147] [XXIV]
Se tu semplicemente rigetterai una sensazione e non distinguerai l'opinione che attende conferma, e ciò che è già immediatamente dato dalla sensazione, e le affezioni, e ogni intuizione rappresentativa dell'anima, perturberai anche le altre sensazioni con la tua vana opinione, sì che rigetterai anche ogni criterio di verità. Se poi nei tuoi giudizi basati sull'opinione ammetterai come vero sia tutto ciò che attende conferma sia tutto ciò che non ha conferma, non eviterai il falso, perché avrai conservato completa ambiguità in ogni caso di discriminazione del vero dal falso.