[151] XXXIV.
Ἡ ἀδικία οὐ καθ' ἑαυτὴν κακόν, ἀλλ' ἐν τῷ κατὰ τὴν ὑποψίαν φόβῳ εἰ μὴ λήσει τοὺς ὑπὲρ τῶν τοιούτων ἐφεστηκότας κολαστάς.


XXXV.
Οὐκ ἔστι τὸν λάθρᾳ τι ποιοῦντα ὧν συνέθεντο πρὸς ἀλλήλους εἰς τὸ μὴ βλάπτειν μηδὲ βλάπτεσθαι πιστεύειν ὅτι λήσει, κἂν μυριάκις ἐπὶ τοῦ παρόντος λανθάνῃ. μέχρι μὲν καταστροφῆς ἄδηλον εἰ καὶ λήσει.


XXXVI.
Κατὰ μὲν 〈τὸ〉 κοινὸν πᾶσι τὸ δίκαιον τὸ αὐτό, συμφέρον γάρ τι ἦν ἐν τῇ πρὸς ἀλλήλους κοινωνίᾳ˙ κατὰ δὲ τὸ ἴδιον χώρας καὶ ὅσων δή ποτε αἰτίων οὐ πᾶσι συνέπεται τὸ αὐτὸ δίκαιον εἶναι.

[151] [XXXIV]
L'ingiustizia non è per se stessa un male, ma è tutta nella paura generata dal sospetto che non sfuggirà a coloro che sono stati preposti alla punizione di tali azioni.

[XXXV]
Chi di nascosto viola una delle convenzioni reciprocamente stabilite perché nessuno apporti o riceva danno, non può confidare che riuscirà a rimanere non scoperto, anche se per il presente gli sia riuscito diecimila volte. È infatti incerto, se riuscirà a rimanere occulto fino alla morte.

[XXXVI]
In senso generale il diritto è lo stesso per tutti, in quanto era un accordo di reciproca utilità nei rapporti sociali; ma per la particolarità del luogo e la varietà delle condizioni non è lo stesso per tutti.