31. EMPEDOCLE

A. VITA E DOTTRINA

VITA

31 A 1. DIOG. LAERT. VIII 51-77. Empedocle agrigentino era, come dice Ippoboto, figlio di Metone, a sua volta figlio di Empedocle. La stessa cosa 〈dice〉 anche Timeo nel quindicesimo libro delle Storie [fr. 93 F.H.G. I 215] 〈aggiungendo〉 che l'Empedocle nonno del poeta divenne un uomo illustre. Ma anche Ermippo dice le medesime cose [fr. 27 F.H.G. III 42]. Similmente Eraclide nel libro Sulle malattie [fr. 74 Voss] dice che Empedocle era di splendida casata, dal momento che il nonno allevava cavalli da corsa. E anche Eratostene negli Olimpionici [F.Gr.Hist. 241 F 7 II 1014] dice che il padre di Metone vinse nella 71. a olimpiade [496 a. C.], servendosi della testimonianza di Aristotele [fr. 71 Rose]. (52) Apollodoro il grammatico nelle Cronache [F.Gr.Hist. 244 F 32 II 1028] dice che

era figlio di Metone, e a Turii
da poco compiutamente fondata
Glauco dice [fr. 6 F.H.G. II 24] che egli venne

aggiungendo in seguito:

e coloro che narrano che esule dalla patria
venne a Siracusa e per essa combatteva
contro gli Ateniesi, sbagliano completamente,
come io credo; egli infatti era o morto o assai
vecchio, il che non sembra probabile.

Aristotele [fr. 71, cfr. § 74] dice infatti che egli (come pure Eraclito) morì all'età di sessanta anni. Colui che poi vinse nella 71.a olimpiade

col celete era il nonno a lui omonimo,

cosicché insieme anche 〈di costui〉 viene indicato il tempo da Apollodoro.1* (53) Satiro nelle Vite [fr. 11 F.H.G. III 162] dice che Empedocle era figlio di Exeneto, e che lui stesso lasciò un figlio di nome Exeneto; e che nella medesima olimpiade lui vinse con il cavallo da corsa e suo figlio nella lotta, o come dice Eraclide nell'Epitome [fr. 6 F.H.G. III 169], nella corsa.
Io poi trovai nei Memorabili di Favorino [fr. 3 F.H.G. III 578] che Empedocle sacrificò in onore dei teori un bue impastato di miele e farina, e che ebbe un fratello di nome Callicratide. Telauge, il figlio di Pitagora, nell'Epistola a Filolao, dice che Empedocle era figlio di Archinomo. (54) Che fosse di Agrigento di Sicilia lo dice egli stesso all'inizio delle Purificazioni [segue B 112]. E questo, per quanto riguarda la sua stirpe.2*
Testimonia Timeo nel nono libro [fr. 81 F.H.G. I 211] che egli ascoltò Pitagora, dicendo che riconosciuto una volta colpevole di furtiva divulgazione delle dottrine (come poi anche Platone) gli fu impedito di esserne partecipe; e che egli stesso fa ricordo di Pitagora, dicendo: « ... » [B 129]. Altri affermano che egli disse ciò riferendosi a Parmenide. (55) Dice Neante [F.Gr.Hist. 81 F 26 II 197] che fino a Filolao e ad Empedocle i Pitagorici comunicavano le loro dottrine; ma che quando Empedocle le rese pubbliche attraverso la sua poesia, stabilirono la norma che non fossero comunicate a nessun poeta (e questo dice che dovette subirlo anche Platone: anche costui infatti ne restò escluso). Quale poi dei Pitagorici Empedocle ascoltò, non disse, non essendo degna di fede l'epistola nota come di Telauge [la quale dice] che fu discepolo di Ippaso e di Brotino. Teofrasto invece dice [phys. opin. fr. 3; Dox. 477, 18 n.] che fu seguace e, nei suoi poemi, imitatore di Parmenide: anche egli infatti espose in versi la sua dottrina sulla natura. (56) Ermippo invece dice [fr. 27 F.H.G. III 42] che egli fu seguace non di Parmenide ma di Senofane, col quale fu anche in relazioni personali e ne imitò la poesia; e che dopo fu in relazione con i Pitagorici. Alcidamante nel Fisico [fr. 6 O. A. II 156 b 6] dice che contemporaneamente Zenone ed Empedocle furono discepoli di Parmenide e che poi in seguito si divisero, e mentre Zenone coltivò una sua propria filosofia, l'altro divenne discepolo di Anassagora e di Pitagora, e di questo emulò l'austerità della vita ed il portamento, di quello la teoria sulla natura.3* (57) Aristotele nel Sofista [fr. 65 Rose; cfr. A 10] dice che Empedocle per primo inventò la retorica e Zenone la dialettica. Nel libro Sui poeti [fr. 70], inoltre, dice che nella poesia fu omerico e di grandi capacità espressive, poiché è immaginoso nelle metafore e si serve di tutti gli altri ritrovati relativi alla tecnica poetica; e aggiunge che, avendo egli scritto anche altri poemi, e cioè la Spedizione di Serse e il Proemio ad Apollo,una sua sorella (o una figlia, come dice Ieronimo [fr. 24 Hiller]) bruciò in seguito queste opere, involontariamente il Proemio, volontariamente invece quella di argomento persiano, perché era incompiuta. (58) Inoltre aggiunge che scrisse anche tragedie e discorsi politici; ma Eraclide, figlio di Serapione,4* dice che le tragedie erano di un altro. Ieronimo dice che ne trovò quarantatré e Neante [F.Gr.Hist. 84 F 27 11 197] che Empedocle scrisse le tragedie quando era giovane e che egli stesso ne reperì sette. Satiro poi nelle sue Vite [fr. 12 F.H.G. III 162] dice che fu ottimo medico e retore. E fu suo discepolo Gorgia di Leontini [82 A 3], uomo eccellente nella retorica e che ci ha lasciato un'arte retorica; che questi sia poi vissuto centonove anni lo testimonia Apollodoro nelle Cronache [F.Gr.Hist. 244 F 33 II 1029]. (59) Riferisce poi Satiro che Gorgia avrebbe detto di essere stato personalmente presente mentre Empedocle compiva un rito magico. Ma lo stesso Empedocle proclama questo ed altro nei suoi poemi, dove dice: « ... » [B. 111]. (60) Anche Timeo nel diciottesimo libro [fr. 94 F.H.G. I 215] ricorda che quest'uomo per molti rispetti fu oggetto di meraviglia. E infatti, poiché una volta i venti etesii soffiavano con tale violenza da mandare in rovina i raccolti, ordinò di scuoiare degli asini e di fare degli otri, che pose sui colli e sulle alture con lo scopo di frenare la corrente d'aria: ed essendosi il vento interrotto, egli fu chiamato «domatore dei venti». Eraclide nell'opera Sulle malattie [fr. 75 Voss] dice che rivelò anche a Pausania tutto ciò che riguardava la donna rimasta senza respiro. E Pausania era il suo amato, secondo quanto riferiscono Aristippo e Satiro, al quale, altresì, così dedicò il poema Sulla natura: « ... » [B1] e per cui compose anche un epigramma: (61) « ... » [B 154]. Della donna rimasta senza respiro Eraclide [fr. 72 Voss] dice che si trattava di questo, e cioè che passò trenta giorni senza respirare e senza battiti di polso: onde chiama Empedocle medico e indovino, desumendolo nello stesso tempo anche da questi versi: (62) « ... » [B 112]. (63) Riferisce poi 〈Timeo〉 che egli chiama «grande» Agrigento, poiché la abitavano ottocentomila uomini; e che così egli disse dei suoi concittadini dediti al lusso: «Gli Agrigentini vivono voluttuosamente come se dovessero morire l'indomani, mentre poi costruiscono delle dimore come se dovessero vivere sempre». Si narra che il rapsodo Cleomene abbia cantato ad olimpia il Poema lustrale, come riferisce anche Favorino nelle sue Memorie. Aristotele [fr. 66 Rose] afferma che egli era di sensi liberali e alieno da ogni comando, dal momento che rifiutò il regno a lui offerto, come dice anche Xanto nella sua opera su Empedocle, preferendo chiaramente una condizione modesta. (64) Le stesse cose afferma anche Timeo [fr. 88 a E.H. G. I 214], adducendo in pari tempo la ragione che egli era di tendenze popolari. Narra infatti che, invitato da uno dei magistrati, poiché, pur essendo già avanzato il banchetto, non veniva portato da bere, e mentre tutti gli altri se ne stavano tranquilli, egli, che era mal disposto verso i soprusi, ordinò che si portasse da bere; ma l'ospite disse che bisognava aspettare l'ufficiale del Consiglio. Quando questi giunse fu fatto simposiarco, certo per proposta dell'ospite, e diede inizio ad un regime dispotico; comandò infatti che bevessero o che, altrimenti, si versasse il vino sulla testa <di chi rifiutava>. Per il momento Empedocle stette tranquillo: il giorno dopo però, trascinandoli in giudizio, li fece condannare a morte entrambi, l'ospite e il simposiarco. Questo è dunque l'inizio della sua attività politica.5* (65) Un'altra volta, poiché il medico Acrone chiedeva un'area dal Consiglio, per innalzare un monumento funebre al padre in riconoscimento della sua eccellenza nell'arte medica, Empedocle, che frattanto era sopraggiunto, gliela fece negare; e dopo aver parlato dell'uguaglianza politica, fece ancora questa domanda: quale iscrizione in metro elegiaco vi porremo? forse questa: « ... » [B 155] ? Altri riferiscono il secondo verso in questo modo:


Di somma vetta sommo sepolcro copre.6*

Alcuni dicono che questo epigramma sia di Simonide. (66) Poi Empedocle fece sciogliere l'assemblea dei Mille, che era durata tre anni; onde risulta che egli era nel numero non soltanto dei ricchi, ma anche di quelli che avevano sensi democratici. E Timeo nei libri undicesimo e dodicesimo [manca in F.H.G.] (spesso infatti lo ricorda) dice che egli aveva un atteggiamento contrastante nella vita politica <e nella poesia: nella prima infatti> si mostra <misurato e equo>,7* nella seconda invece ostentatore e pieno di sé; dice infatti: « ... » [B 112, 4. 5] e così via. Quando poi si recò ad Olimpia fu oggetto di molta ammirazione, cosicché nessuno era tanto spesso menzionato nei discorsi quanto Empedocle. (67) Più tardi <mentre egli era lontano dalla patria> si opposero al suo ritorno i discendenti dei suoi avversari; onde morì nel Peloponneso, dove si era rifugiato. Neppure costui risparmiò Timone [fr. 42 Diels], ma lo attaccò dicendo:

Empedocle, che strepita
parole da piazza; quante ne conosceva, tante ne ammucchiava,
egli che stabilì dei princìpi bisognosi di altri princìpi.

Intorno alla sua morte ci sono narrazioni differenti:8* Eraclide [fr. 76 Voss], infatti, dopo aver narrato l'episodio della donna esanime, e quindi che Empedocle era venuto in grande fama, avendo rimandata viva quella donna morta, dice che egli celebrò un sacrificio in un podere di Pisianatte. Furono invitati anche alcuni degli amici, e tra questi anche Pausania. (68) Dopo il banchetto, mentre gli altri se ne andavano in disparte a riposare, gli uni sotto gli alberi, dal momento che lì vicino c'era aperta campagna, e gli altri poi dove volessero, egli solo invece rimase nel luogo dove aveva banchettato. Quando, sul far del giorno, essi si alzarono, lui solo non fu ritrovato. Ricercato e interrogati i servi, questi dissero di non saperne nulla; ad eccezione di uno, il quale affermò che nel mezzo della notte si era udita una voce fortissima che chiamava Empedocle, e che, alzatosi, vide una luce celeste e un bagliore di torce, e poi niente altro. Meravigliandosi i presenti dell'accaduto, Pausania, disceso, mandò gente a ricercarlo. Dopo però li fece smettere dal continuare, dicendo che erano accadute cose degne piuttosto di preghiera e che bisognava sacrificare a lui, come ad uno che è diventato un dio. (69) Ermippo [fr. 27 F.H.G. III 42] dice che Empedocle curò una certa Pantea, di Agrigento, della cui sorte i medici ormai disperavano, e che per questo celebrò un sacrificio: gli invitati erano circa ottanta. Ippoboto [Eraclide:fr. 77 Voss] dice che Empedocle, alzatosi, s'incamminò verso l'Etna e che, giunto ai crateri del vulcano, vi si gettò e scomparve, volendo accreditare la voce, circolante su di lui, che era diventato un dio; ma poi tutto si venne a sapere, avendo il vulcano rigettato uno dei suoi calzari: soleva infatti portarli di bronzo. Pausania si pronunciò contro questa tradizione. (70) (Diodoro di Efeso, scrivendo di Anassimandro, dice che Empedocle lo imitò, assumendone l'atteggiamento tragico e riprendendone il modo pomposo di vestire.) Essendo scoppiata una pestilenza e banchettando i Selinuntini presso il fiume, apparve Empedocle: ed essi, alzatisi, lo venerarono e lo adorarono come un dio. Volendo egli dar credito a questa supposizione, si gettò nel fuoco del vulcano. (71) A tutti costoro si oppose Timeo [fr. 98 F.H.G. I 218] dicendo espressamente che Empedocle se ne andò nel Peloponneso e più non tornò: per questo la sua morte è avvolta nell'oscurità. Facendone poi espressamente il nome, polemizza nel quattordicesimo libro contro Eraclide, asserendo che Pisianatte era di Siracusa, che non aveva alcun podere ad Agrigento e che Pausania, se si fosse realmente diffusa una tale fama [sulla morte di Empedocle], avrebbe fatto innalzare un monumento per l'amico o una statua o un sacello, come per un dio; egli infatti era ricco.

Come è dunque possibile - dice - che si sia gettato nel cratere se [Pausania], pur essendo uno di quelli che gli stavano vicino, non ne fa mai ricordo? Morì dunque nel Peloponneso.
(72) Né è strano che non se ne mostri la tomba: ciò accade anche per molti altri.

Dopo aver detto queste cose Timeo prosegue:

Del resto, in generale, Eraclide è uomo tale da narrare storie incredibili, lui che dice che un uomo è caduto dalla luna.

Ippoboto afferma che una statua velata di Empedocle stava prima in Agrigento, la quale, poi, tolto il velo, si ergeva davanti al senato in Roma, certamente trasportata lì dai Romani. Ed infatti ancora vanno in giro sue immagini dipinte.Neante di Cizico, che scrisse anche dei Pitagorici, dice [F.Gr.Hist. 84 F 28 II 197] che, morto Metone, ebbe inizio la tirannide, e che infine Empedocle persuase gli Agrigentini a por fine alle discordie e ad istituire l'eguaglianza politica.9* (73) Dice ancora che Empedocle dotò delle proprie ricchezze molte sue concittadine povere. Perciò vestiva di porpora e portava un serto aureo, come ricorda Favorino nelle Memorie, e calzari di bronzo e una corona apollinea. Aveva lunga la chioma e servi che l'accompagnavano, era sempre severo e di aspetto impassibile. Così passeggiava e a chi lo incontrava appariva insignito di una dignità quasi regale. In seguito recandosi a Messina, ad una festa solenne, cadde dal cocchio e si ruppe un femore; ammalatosi per questo incidente, morì a settantasette anni. [Dice pure che] a Megara c'è la sua tomba.
(74) Sulla sua età dissente Aristotele: dice infatti che morì a sessanta anni. Altri a centonove. Fiorì nell' 84. a olimpiade [444-1]. Demetrio di Trezene nel libro Contro i sofisti [F.H.G. IV 383] dice, con espressione omerica [Od. XI 278], che lui,

fissando un alto braccio ad un aereo corniolo
s'impiccò per la gola, e l'anima all'Ade discese.

Nella lettera di Telauge sopra ricordata [§ 53, 55] si dice che, caduto in mare per la sua debolezza senile, vi morì. Queste cose dunque [sinarrano] della sua morte. [Seguono due epigrammi di Diogene Laerzio.] (76) Queste furono le sue dottrine: quattro sono gli elementi: fuoco, acqua, terra, aria; vi è poi l'Amicizia, per la quale questi elementi stanno insieme, e la Contesa, per la quale si separano. Dice così: « ... » [B 6, 2-3], per Zeus intendendo il fuoco, per Era la terra, per Edoneo l'aria, per Nesti l'acqua, « ... » [B 17, 6], essendo eterna questa vicenda cosmica; infatti aggiunge: «... »[B 17, 7-8]. (77) E afferma che il sole è una gran massa di fuoco, maggiore della luna; che la luna ha forma di disco, e che il cielo è cristallino. E che l'anima riveste ogni specie di animali e di piante; dice infatti: « ... » [B 117].

Il poema Sulla natura e le Purificazioni comprendono cinquemila versi; lo scritto Sulla medicina seicento [Lobone, fr. 18 Crönert]. Delle tragedie abbiamo già parlato [§ 58].

31 [21]. EMPEDOKLES

A. LEBEN UND LEHRE

LEBEN

31 A 1. DIOG. VIII 51 ff. [I 276. 20 App.] Ἐμπεδοκλῆς, ὥς φησιν Ἱππόβοτος, Μέτωνος ἦν υἱὸς τοῦ Ἐμπεδοκλέους Ἀκραγαντῖνος. τὸ δ' αὐτὸ καὶ Τίμαιος ἐν τῆι πεντεκαιδεκάτηι τῶν Ἱστοριῶν [fr. 93 F.H.G. I 215] 〈λέγει προσιστορῶν〉 ἐπίσημον ἄνδρα γεγονέναι τὸν [I 277. 1 App.] Ἐμπεδοκλέα τὸν πάππον τοῦ ποιητοῦ. ἀλλὰ καὶ Ἕρμιππος [fr. 27 F.H.G. III 42] τὰ αὐτὰ τούτωι φησίν. ὁμοίως Ἡρακλείδης ἐν τῶι Περὶ νόσων [fr. 74 Voss], ὅτι λαμπρᾶς ἦν οἰκίας ἱπποτροφηκότος τοῦ πάππου. λέγει δὲ καὶ Ἐρατοσθένης ἐν τοῖς Ὀλυμπιονίκαις [F.Gr.Hist. 241 F 7 II 1014] τὴν πρώτην καὶ ἑβδομηκοστὴν [I 277. 5 App.] ὀλυμπιάδα [496] νενικηκέναι τὸν τοῦ Μέτωνος πατέρα, μάρτυρι χρώμενος Ἀριστοτέλει [fr. 71]. (52) Ἀπολλόδωρος δ' ὁ γραμματικὸς ἐν τοῖς Χρονικοῖς [F.Gr.Hist. 244 F 32 II 1028] φησιν ὡς

ἦν μὲν Μέτωνος υἱός, εἰς δὲ Θουρίους
αὐτὸν νεωστὶ παντελῶς ἐκτισμένους
[I 277. 10 App.] 〈ὁ〉 Γλαῦκος [fr. 6 F.H.G. II 24] ἐλθεῖν φησιν.

εἶθ' ὑποβάς˙

οἱ δ' ἱστοροῦντες, ὡς πεφευγὼς οἴκοθεν
εἰς τὰς Συρακούσας μετ' ἐκείνων ἐπολέμει
πρὸς Ἀθηνάους, ἔμοι 〈γε〉 τελέως ἀγνοεῖν
[I 277. 15 App.] δοκοῦσιν˙ ἢ γὰρ οὐκέτ' ἦν ἢ παντελῶς
ὑπεργεγηρακώς, ὅπερ οὐχὶ φαίνεται.

Ἀριστοτέλης [fr. 71, vgl. § 74] γὰρ αὐτὸν (ἔτι τε Ἡράκλειτον) ἑξήκοντα ἐτῶν φησι τετελευτηκέναι. ὁ δὲ 〈τὴν〉 μίαν καὶ ἑβδομηκοστὴν ὀλυμπιάδα νενικηκὼς

κέλητι τούτου πάππος ἦν ὁμώνυμος,

[I 277. 20 App.] ὥσθ' ἅμα καὶ 〈τούτου〉 τὸν χρόνον ὑπὸ τοῦ Ἀπολλοδώρου σημαίνεσθαι. (53) Σάτυρος δὲ ἐν τοῖς Βίοις [fr. 11 F.H.G. III 162] φησίν, ὅτι Ἐμπεδοκλῆς υἱὸς μὲν ἦν Ἐξαινέτου, κατέλιπε δὲ καὶ αὐτὸς υἱὸν Ἐξαίνετον˙ ἐπί τε τῆς αὐτῆς ὀλυμπιάδος τὸν μὲν ἵππωι κέλητι νενικηκέναι, τὸν δὲ υἱὸν αὐτοῦ πάληι ἤ, ὡς Ἡρακλείδης ἐν τῆι Ἐπιτομῆι [fr. 6 F.H.G. III 169] δρόμωι. ἐγὼ δὲ εὖρον ἐν τοῖς ὑπομνήμασι Φαβωρίνου [I 277. 25 App.] [fr. 3 F.H.G. III 578] ὅτι καὶ βοῦν ἔθυσε τοῖς θεωροῖς ὁ Ἐμπεδοκλῆς ἐκ μέλιτος καὶ ἀλφίτων, καὶ ἀδελφὸν ἔσχε Καλλικρατίδην. Τηλαύγης δ' ὁ Πυθαγόρου παῖς ἐν τῆι πρὸς Φιλόλαον ἐπιστολῆι φησι τὸν Ἐμπεδοκλέα Ἀρχινόμου εἶναι υἱόν. (54) ὅτι δ' ἦν Ἀκραγαντῖνος ἐκ Σικελίας, αὐτὸς ἐναρχόμενος τῶν Καθαρμῶν φησιν˙ 'ὦ . . . πόλεος' [B 112]. καὶ τὰ μὲν περὶ τοῦ γένους αὐτοῦ [I 277. 30] τάδε. ἀκοῦσαι δ' αὐτὸν Πυθαγόρου Τίμαιος διὰ τῆς ἐνάτης [fr. 81 F.H.G. I 211] ἱστορεῖ, λέγων ὅτι καταγνωσθεὶς ἐπὶ λογοκλοπίαι τότε καθὰ καὶ Πλάτων τῶν λόγων ἐκωλύθη μετέχειν. μεμνῆσθαι δὲ καὶ αὐτὸν Πυθαγόρου λέγοντα˙ 'ἦν . . . πλοῦτον' [B 129]. οἱ δὲ τοῦτο εἰς Παρμενίδην αὐτὸν λέγειν ἀναφέροντα. (55) φησὶ δὲ [I 277. 35] Νεάνθης [F.Gr.Hist. 81 F 26 II 197] ὅτι μέχρι Φιλολάου καὶ Ἐμπεδοκλέους ἐκοινώνουν [I 278. 1 App.] οἱ Πυθαγορικοὶ τῶν λόγων˙ ἐπεὶ δ' αὐτὸς διὰ τῆς ποιήσεως ἐδημοσίωσεν αὐτά, νόμον ἔθεντο μηδενὶ μεταδώσειν ἐποποιῶι (τὸ δ' αὐτὸ καὶ Πλάτωνα παθεῖν φησι˙ καὶ γὰρ τοῦτον κωλυθῆναι). τίνος μέντοι γε αὐτῶν ἤκουσεν ὁ Ἐμπεδοκλῆς, οὐκ εἶπε˙ τὴν γὰρ περιφερομένην ὡς Τηλαύγους ἐπιστολὴν ὅτι τε μετέσχεν Ἱππάσου καὶ [I 278. 5 App.] Βροτίνου, μὴ εἶναι ἀξιόπιστον. ὁ δὲ Θεόφραστος [Phys. Opin. fr. 3; D. 477, 18 not.] Παρμενίδου φησὶ ζηλωτὴν αὐτὸν γενέσθαι καὶ μιμητὴν ἐν τοῖς ποιήμασι˙ καὶ γὰρ ἐκεῖνον ἐν ἔπεσι τὸν περὶ φύσεως ἐξενεγκεῖν λόγον. (56) Ἕρμιππος [fr. 27 F.H.G. III 42] δὲ οὐ Παρμενίδου, Ξενοφάνους δὲ γεγονέναι ζηλωτήν, ὧι καὶ συνδιατρῖψαι καὶ μιμήσασθαι τὴν ἐποποιίαν˙ ὕστερον δὲ τοῖς Πυθαγορικοῖς ἐντυχεῖν.
Ἀλκιδάμας [I 278. 10] δ' ἐν τῶι Φυσικῶι [OA II 156 b 6 Sauppe] φησι κατὰ τοὺς αὐτοὺς χρόνους Ζήνωνα καὶ Ἐμπεδοκλέα ἀκοῦσαι Παρμενίδου, εἶθ' ὕστερον ἀποχωρῆσαι, καὶ τὸν μὲν Ζήνωνα κατ' ἰδίαν φιλοσοφῆσαι, τὸν δὲ Ἀναξαγόρου διακοῦσαι καὶ Πυθαγόρου˙ καὶ τοῦ μὲν τὴν σεμνότητα ζηλῶσαι τοῦ τε βίου καὶ τοῦ σχήματος, τοῦ δὲ τὴν φυσιολογίαν.
(57) Ἀριστοτέλης δὲ ἐν τῶι Σοφιστῆι [fr. 65; vgl. A 10] φησι πρῶτον [I 278. 15 App.] Ἐμπεδοκλέα ῥητορικὴν εὑρεῖν, Ζήνωνα δὲ διαλεκτικήν. ἐν δὲ τῶι Περὶ ποιητῶν [fr. 70] φησιν ὅτι καὶ Ὁμηρικὸς ὁ Ἐμπεδοκλῆς καὶ δεινὸς περὶ τὴν φράσιν γέγονεν, μεταφορητικός τε ὢν καὶ τοῖς ἄλλοις τοῖς περὶ ποιητικὴν ἐπιτεύγμασι χρώμενος˙ καὶ διότι γράψαντος αὐτοῦ καὶ ἄλλα ποιήματα τήν τε Ξέρξου διάβασιν καὶ προοίμιον εἰς Ἀπόλλωνα, ταῦθ' ὕστερον κατέκαυσεν ἀδελφή τις αὐτοῦ (ἢ θυγάτηρ, ὥς [I 278. 20 App.] φησιν Ἱερώνυμος [fr. 24 Hiller]), τὸ μὲν προοίμιον ἄκουσα, τὰ δὲ Περσικὰ βουληθεῖσα διὰ τὸ ἀτελείωτα εἶναι. (58) καθόλου δέ φησι καὶ τραγωιδίας αὐτὸνγράψαι καὶ πολιτικούς˙ Ἡρακλείδης δὲ ὁ τοῦ Σαραπίωνος ἑτέρου φησὶν εἶναι τὰς τραγωιδίας. Ἱερώνυμος δὲ τρισὶ καὶ τετταράκοντά φησιν ἐντετυχηκέναι, Νεάνθης [F.Gr.Hist. 84 F 27 11 197] δὲ νέον ὄντα γεγραφέναι τὰς τραγωιδίας καὶ αὐτῶν [I 278. 25 App.] ἑπτὰ ἐντετυχηκέναι. φησὶ δὲ Σάτυρος ἐν τοῖς Βίοις [fr. 12 F.H.G. III 162], ὅτι καὶ ἰατρὸς ἦν καὶ ῥήτωρ ἄριστος. Γοργίαν γοῦν τὸν Λεοντῖνον [82 A 3] αὐτοῦ γενέσθαι μαθητήν, ἄνδρα ὑπερέχοντα ἐν ῥητορικῆι καὶ τέχνην ἀπολελοιπότα˙ ὅν φησιν Ἀπολλόδωρος ἐν Χρονικοῖς [F.Gr.Hist. 244 F 33 II 1029] ἐννέα πρὸς τοῖς ἑκατὸν ἔτη βιῶναι. (59) τοῦτόν φησιν ὁ Σάτυρος λέγειν, ὡς αὐτὸς παρείη τῶι Ἐμπεδοκλεῖ [I 278. 30 App.] γοητεύοντι. ἀλλὰ καὶ αὐτὸν διὰ τῶν ποιημάτων ἐπαγγέλλεσθαι τοῦτό τε καὶ ἄλλα πλείω, δι' ὧν φησι˙ 'φάρμακα . . . ἀνδρός' [B 111]. (60) φησὶ δὲ καὶ Τίμαιος ἐν τῆι ὀκτωκαιδεκάτηι [fr. 94 F.H.G. I 215] κατὰ πολλοὺς τρόπους τεθαυμάσθαι τὸν ἄνδρα. καὶ γὰρ ἐτησίων ποτὲ σφοδρῶς πνευσάντων ὡς τοὺς καρποὺς λυμῆναι, κελεύσας ὄνους ἐκδαρῆναι καὶ ἀσκοὺς ποιῆσαι περὶ τοὺς λόφους καὶ τὰς ἀκρωρείας [I 278. 35 App.] διέτεινε πρὸς τὸ συλλαβεῖν τὸ πνεῦμα˙ λήξαντος δὲ κωλυσανέμαν κληθῆναι. Ἡρακλείδης τε ἐν τῶι περὶ νόσων [fr. 75 Voss] φησὶ καὶ Παυσανίαι ὑφηγήσασθαι [I 279. 1] αὐτὸν τὰ περὶ τὴν ἄπνουν. ἦν δ' ὁ Παυσανίας, ὥς φησιν Ἀρίστιππος καὶ Σάτυρος, ἐρώμενος αὐτοῦ, ὧι δὴ καὶ τὰ Περὶ φύσεως προσπεφώνηκεν οὕτως˙ 'Παυσανίη . . . υἱέ" [B1]. ἀλλὰ καὶ ἐπίγραμμα εἰς αὐτὸν ἐποίησεν˙ (61) "Παυσανίην . . . ἀδύτων' [fr. 72 Voss] τὴν γοῦν ἄπνουν ὁ Ἡρακλείδης φησὶ τοιοῦτόν [I 279. 5 App.] τι εἶναι, ὡς τριάκοντα ἡμέρας συντηρεῖν ἄπνουν καὶ ἄσφυκτον τὸ σῶμα˙ ὅθεν εἶπεν αὐτὸν καὶ ἰητρὸν καὶ μάντιν, λαμβάνων ἅμα καὶ ἀπὸ τούτων τῶν στίχων˙ (62) 'ὦ φίλοι . . . βάξιν' [B 112].
(63) μέγαν δὲ τὸν Ἀκράγαντα εἰπεῖν φησι [ποταμὸν ἄλλα], ἐπεὶ μυριάδες αὐτὸν κατώικουν ὀγδοήκοντα˙ ὅθεν τὸν Ἐμπεδοκλέα εἰπεῖν τρυφώντων αὐτῶν˙ " Ἀκραγαντῖνοι τρυφῶσι μὲν ὡς αὔριον ἀποθανούμενοι, [I279. 10 App.] οἰκίας δὲ κατασκευάζονται ὡς πάντα τὸν χρόνον βιωσόμενοι". αὐτοὺς δὲ τούτους τοὺς Καθαρμοὺς [ἐν] Ὀλυμπίασι ῥαψωιδῆσαι λέγεται Κλεομένη τὸν ῥαψωιδόν, ὡς καὶ Φαβωρῖνος ἐν Ἀπομνημονεύμασι. φησὶ δ' αὐτὸν καὶ Ἀριστοτέλης [fr. 66] ἐλεύθερον γεγονέναι καὶ πάσης ἀρχῆς ἀλλότριον, εἴ γε τὴν βασιλείαν αὐτῶι διδομένην παρηιτήσατο, καθάπερ Ξάνθος ἐν τοῖς περὶ αὐτοῦ λέγει, τὴν λιτότητα δηλονότι [I 279. 15 App.] πλέον ἀγαπήσας. (64) τὰ δ' αὐτὰ καὶ Τίμαιος [fr. 88 a E.H. G. I 214] εἴρηκε, τὴν αἰτίαν ἅμα παρατιθέμενος τοῦ δημοτικὸν εἶναι τὸν ἄνδρα. φησὶ γὰρ ὅτι κληθεὶς ὑπό τινος τῶν ἀρχόντων, ὡς προβαίνοντος τοῦ δείπνου τὸ ποτὸν οὐκ εἰσεφέρετο, τῶν [δ'] ἄλλων ἡσυχαζόντων, μισοπονήρως διατεθεὶς ἐκέλευσεν εἰσφέρειν˙ ὁ δὲ κεκληκὼς ἀναμένειν ἔφη τὸν τῆς βουλῆς ὑπηρέτην. ὡς δὲ παρεγένετο, ἐγενήθη [I 279. 20 App.] συμποσίαρχος, τοῦ κεκληκότος δηλονότι καταστήσαντος, ὃς ὑπεγράφετο τυραννίδος ἀρχήν˙ ἐκέλευσε γὰρ ἢ πίνειν ἢ καταχεῖσθαι τῆς κεφαλῆς. τότε μὲν οὖν ὁ Ἐμπεδοκλῆς ἡσύχασε˙ τῆι δ' ὑστεραίαι εἰσαγαγὼν εἰς δικαστήριον ἀπέκτεινε καταδικάσας ἀμφοτέρους, τόν τε κλήτορα καὶ τὸν συμποσίαρχον. ἀρχὴ μὲν οὖν αὐτῶι τῆς πολιτείας ἥδε. (65) πάλιν δὲ Ἄκρωνος τοῦ ἰατροῦ τόπον αἰτοῦντος [I 279. 25] παρὰ τῆς βουλῆς εἰς κατασκευὴν πατρώιου μνήματος διὰ τὴν ἐν τοῖς ἰατροῖς ἀκρότητα παρελθὼν ὁ Ἐμπεδοκλῆς ἐκώλυσε, τά τε ἄλλα περὶ ἰσότητος διαλεχθεὶς καί τι καὶ τοιοῦτον ἐρωτήσας˙ τί δὲ ἐπιγράψομεν ἐλεγεῖον; ἢ τοῦτο˙ 'ἄκρον . . . ἀκροτάτης' [B 157]; τινὲς δὲ τὸν δεύτερον στίχον οὕτω προφέρονται˙

'ἀκροτάτης κορυφῆς τύμβος ἄκρος κατέχει.'

[I 279. 30 App.] τοῦτό τινες Σιμωνίδου φασὶν εἶναι. (66) ὕστερον δ' ὁ Ἐμπεδοκλῆς καὶ τὸ τῶν χιλίων ἄθροισμα κατέλυσε συνεστὼς ἐπὶ ἔτη τρία, ὥστε οὐ μόνον ἦν τῶν πλουσίων, ἀλλὰ καὶ τῶν τὰ δημοτικὰ φρονούντων. ὅ γέ τοι Τίμαιος ἐν τῆι ι̅α̅ καὶ ι̅β̅ [fehlt FHG] (πολλάκις γὰρ αὐτοῦ μνημονεύει) φησὶν ἐναντίαν ἐσχηκέναι γνώμην [I 280. 1 App.] αὐτὸν 〈ἔν〉 τε τῆι πολιτείαι 〈καὶ ἐν τῆι ποιήσει˙ ὅπου μὲν γὰρ μέτριον καὶ ἐπιεικῆ〉 φαίνεσθαι, ὅπου δὲ ἀλαζόνα καὶ φίλαυτον [ἐν τῆι ποιήσει]˙ φησὶ γοῦν˙ 'χαίρετ' ... πωλεῦμαι' καὶ τὰ ἑξῆς [B 112, 4. 5]. καθ' ὃν δὲ χρόνον ἐπεδήμει Ὀλυμπίασιν, ἐπιστροφῆς ἠξιοῦτο πλείονος, ὥστε μηδενὸς ἑτέρου μνείαν γίγνεσθαι ἐν ταῖς ὁμιλίαις [I 280. 5 App.] τοσαύτην ὅσην Ἐμπεδοκλέους. (67) ὕστερον μέντοι τοῦ Ἀκράγαντος οἰκιζομένου [?] ἀντέστησαν αὐτοῦ τῆι καθόδωι οἱ τῶν ἐχθρῶν ἀπόγονοι˙ διόπερ εἰς Πελοπόννησον ἀποχωρήσας ἐτελεύτησεν. οὐ παρῆκε δ' οὐδὲ τοῦτον ὁ Τίμων [fr. 42 Diels vgl. 31 A 43], ἀλλ' ὧδ' αὐτοῦ καθάπτεται λέγων˙

'καὶ Ἐμπεδοκλῆς ἀγοραίων
[I 280. 10 App.] ληκητὴς ἐπέων˙ ὅσα δ' ἔσθενε, τοσσάδ' ἔειλεν,
ἀρχῶν ὃς διέθηκ' ἀρχὰς ἐπιδευέας ἄλλων'.

περὶ δὲ τοῦ θανάτου διάφορός ἐστιν αὐτοῦ λόγος˙ Ἡρακλείδης [fr. 76 Voss] μὲν γὰρ τὰ περὶ τῆς ἄπνου διηγησάμενος, ὡς ἐδοξάσθη Ἐμπεδοκλῆς ἀποστείλας τὴν νεκρὰν ἄνθρωπον ζῶσαν, φησὶν ὅτι θυσίαν συνετέλει πρὸς τῶι Πεισιάνακτος [I 280. 15 App.] ἀγρῶι. συνεκέκληντο δὲ τῶν φίλων τινές, ἐν οἷς καὶ Παυσανίας. (68) εἶτα μετὰ τὴν εὐωχίαν οἱ μὲν ἄλλοι χωρισθέντες ἀνεπαύοντο, οἱ μὲν ὑπὸ τοῖς δένδροις ὡς ἀγροῦ παρακειμένου, οἱ δ' ὅπηι βούλοιντο, αὐτὸς δὲ ἔμεινεν ἐπὶ τοῦ τόπου ἐφ' οὗπερ κατεκέκλιτο. ὡς δὲ ἡμέρας γενηθείσης ἐξανέστησαν, οὐχ ηὑρέθη μόνος. ζητουμένου δὲ καὶ τῶν οἰκετῶν ἀνακρινομένων καὶ φασκόντων μὴ εἰδέναι, εἷς τις [I 280. 20 App.] ἔφη μέσων νυκτῶν φωνῆς ὑπερμεγέθους ἀκοῦσαι προσκαλουμένης Ἐμπεδοκλέα, εἶτα ἐξαναστὰς ἑωρακέναι φῶς οὐράνιον καὶ λαμπάδων φέγγος, ἄλλο δὲ μηδέν˙ τῶν δὲ ἐπὶ τῶι γενομένωι ἐκπλαγέντων καταβὰς ὁ Παυσανίας ἔπεμψέ τινας ζητήσοντας. ὕστερον δὲ ἐκώλυεν πολυπραγμονεῖν, φάσκων εὐχῆς ἄξια συμβεβηκέναι καὶ θύειν αὐτῶι δεῖν καθαπερεὶ γεγονότι θεῶι. (69) Ἕρμιππος [fr. 27 F.H.G. III 42] [I 280. 25 App.] δέ φησι Πάνθειάν τινα Ἀκραγαντίνην ἀπηλπισμένην ὑπὸ τῶν ἰατρῶν θεραπεῦσαι αὐτὸν καὶ διὰ τοῦτο τὴν θυσίαν ἐπιτελεῖν˙ τοὺς δὲ κληθέντας εἶναι πρὸς τοὺς ὀγδοήκοντα. Ἱππόβοτος [Heraclides fr. 77 Voss] δέ φησιν ἐξαναστάντα αὐτὸν ὡδευκέναι ὡς ἐπὶ τὴν Αἴτνην, εἶτα παραγενόμενον ἐπὶ τοὺς κρατῆρας τοῦ πυρὸς ἐναλέσθαι καὶ ἀφανισθῆναι, βουλόμενον τὴν περὶ αὑτοῦ φήμην βεβαιῶσαι ὅτι [I 280. 30 App.] γεγόνοι θεός, ὕστερον δὲ γνωσθῆναι, ἀναρριπισθείσης αὐτοῦ μιᾶς τῶν κρηπίδων˙ [I 281. 1 App.] χαλκᾶς γὰρ εἴθιστο ὑποδεῖσθαι. πρὸς τοῦθ' ὁ Παυσανίας ἀντέλεγε. (70) (Διόδωρος δ' ὁ Ἐφέσιος περὶ Ἀναξιμάνδρου γράφων φησὶν ὅτι τοῦτον ἐζηλώκει, τραγικὸν ἀσκῶν τῦφον καὶ σεμνὴν ἀναλαβὼν ἐσθῆτα). τοῖς Σελινουντίοις ἐμπεσόντος λοιμοῦ διὰ τὰς ἀπὸ τοῦ παρακειμένου ποταμοῦ δυσωδίας, ὥστε καὶ αὐτοὺς [I 281. 5 App.] φθείρεσθαι καὶ τὰς γυναῖκας δυστοκεῖν, ἐπινοῆσαι τὸν Ἐμπεδοκλέα καὶ δύο τινὰς ποταμοὺς τῶν σύνεγγυς ἐπαγαγεῖν ἰδίαις δαπάναις˙ καὶ καταμίξαντα γλυκῆναι τὰ ῥεύματα. οὕτω δὴ λήξαντος τοῦ λοιμοῦ καὶ τῶν Σελινουντίων εὐωχουμένων ποτὲ παρὰ τῶι ποταμῶι, ἐπιφανῆναι τὸν Ἐμπεδοκλέα˙ τοὺς δ' ἐξαναστάντας προσκυνεῖν καὶ προσεύχεσθαι καθαπερεὶ θεῶι. ταύτην οὖν θέλοντα βεβαιῶσαι τὴν διάληψιν [I 281. 10 App.] εἰς τὸ πῦρ ἐναλέσθαι. (71) τούτοις δ' ἐναντιοῦται Τίμαιος [fr. 98 F.H.G. I 218] ῥητῶς λέγων ὡς ἐξεχώρησεν εἰς Πελοπόννησον καὶ τὸ σύνολον οὐκ ἐπανῆλθεν˙ ὅθεν αὐ