47 A 3. HORAT. carm. I 28. Misurasti, Archita, il cielo e la terra e l'innumerabile arena, ed ora ti tiene racchiuso il piccolo dono d'un po' di sabbia presso il lido del Matino. Non ti giova aver tentato le case celesti e aver percorso con la mente il cielo rotondo: eri destinato a morire. Morì il padre di Pelope, commensale degli dèi, e morì Titone, trasportato lontano nel cielo, e Minosse, ammesso ai segreti di Giove; racchiuso nel Tartaro è anche il Pantoide, due volte sceso nell'Orco, benché, staccando lo scudo e domandando la testimonianza dei tempi di Troia, all'atra morte dicesse che spettano soltanto i nervi e le ossa, conoscitore non spregevole, a tuo giudizio, della natura e della verità. Ma tutti sono destinati a una stessa notte, e alla via della morte, che una sola volta si può percorrere. 47 A 3. HORAT. c. I 28
te maris et terrae numeroque carentis arenae
[I 422. 15] mensorem cohibent, Archyta,
pulveris exigui prope litus parva Matinum
munera, nec quicquam tibi prodest
aerias temptasse domos animoque rotundum
percurrisse polum morituro.
[I 422. 20] occidit et Pelopis genitor, conviva deorum,
Tithonusque remotus in auras
et Iovis arcanis Minos admissus, habentque
Tartara Panthoiden iterum Orco
demissum, quamvis clipeo Troiana refixo
[I 422. 25] tempora testatus nihil ultra
nervos atque cutem morti concesserat atrae
iudice te non sordidus auctor
naturae verique. sed omnis una manet nox,
et calcanda semel via leti.