82 B 3 a. G [ARISTOT.] de M.X.G. c. 5-6. 979 a 11- 980 b 21.40* Gorgia afferma che nulla esiste; se poi esiste, è inconoscibile; se poi anche esiste ed è conoscibile, non è però manifestabile ad altri.
(2) E che nulla esiste, egli lo deduce così: mettendo insieme le dottrine di quegli altri filosofi, che ragionando delle cose esistenti, sostengono, a quanto pare, gli uni contro gli altri princìpi contrari - gli uni dimostrando che l'ente è uno e non molteplice, gli altri, che è molteplice e non uno; gli uni, che gli enti sono ingenerati, gli altri, che sono generati - contro gli uni e gli altri egli trae la sua conclusione [che nulla esiste]. (3) Infatti, egli dice, se qualcosa esiste, 〈sarà necessariamente o uno o molteplice, e questi saranno o ingenerati o generati; ma se accade〉 che non sia né uno né molti, né ingenerato né generato, allora nulla esiste; perché se qualcosa esistesse, sarebbe o l'una o l'altra di queste possibilità. E che l'essere non è né uno né molteplice, né ingenerato né generato, egli si assume di dimostrarlo, parte secondo Melisso, parte secondo Zenone, dopo la precedente dimostrazione sua propria, nella quale afferma che non può darsi né l'essere né il non essere.41*
(4) E infatti, se il non essere consiste nel non esistere, il non essere per nulla sarà meno dell'essere; perché il non essere è non essere, e l'essere è essere, sicché il fatto che le cose non siano non vale meno del fatto che esse siano ...42* (5) Se tuttavia il non essere esiste, allora, egli afferma, l'essere, che è il suo contrapposto, non esiste; perché se il non essere è, è logico che l'essere non sia. (6) Nulla pertanto, egli afferma, può esistere, se essere e non essere non sono la stessa cosa. Che se poi fossero la stessa, neppur così alcunché esisterebbe; poiché il non ente non è, e così anche l'ente, dal momento che è la stessa cosa del non ente. Questo, pertanto, è il suo primo ragionamento.

C. 6 (1) Ma in nessun modo risulta, dagli argomenti che ha portato, che nulla sia; perché le dimostrazioni sostenute anche da altri, così vengono confutate.
(2) Se infatti il non essere è, o è in senso assoluto, oppure è anche, ugualmente, non essere. Ma questo né appare come un dato reale, né è una necessità logica; anzi, è come quando si hanno due enti, di cui uno è, l'altro non è: la verità è che l'uno esiste, l'altro no, perché l'ente è esistente, mentre il non ente non è esistente. (3) Perché dunque non è possibile né essere né non essere? e l'essere ambedue, non o l'uno o l'altro, non è possibile? Infatti, egli afferma, per nulla il non essere sarebbe meno dell'essere, ammesso che il non essere fosse qualcosa, dato che nessuno sostiene che il non essere non esista in alcun modo.
(4) Che se poi il non ente è non esistente, neppure così il non ente esisterebbe in modo simile all'ente, perché l'uno è non ente, l'altro, per di più, è.43* (5) Se poi ciò fosse vero in senso assoluto (e come suonerebbe strana la proposizione «il non essere è»!), se così appunto fosse, ne risulta forse che il tutto non sia, piuttosto che sia? Anzi, posta così la questione, sembra che debba accadere il contrario.
(6) Se infatti il non essere è ente, e l'essere è ente, tutto è, poiché sia gli enti sia i non enti esistono; poiché dal fatto che il non ente è, non segue necessariamente che l'essere non sia. (7) Che se uno così concludesse, cioè che il non ente fosse, e l'ente non fosse, tuttavia non sarebbe men vero che qualcosa c'è: infatti i non enti esisterebbero, secondo il ragionamento di costui.

(8) E se poi sono la stessa cosa l'essere e il non essere, nulla di più ci sarebbe di quello che ci sarebbe, proprio come anche lui afferma, che se sono la stessa cosa il non ente e l'ente, e l'ente non è, allo stesso modo del non ente, sicché nulla esiste, capovolgendo è egualmente lecito dire che tutto è: poiché esiste tanto il non essere che l'essere, sicché tutto è.

(9) Dopo questo ragionamento, egli aggiunge: Se l'ente è, è o ingenerato o generato. E se è ingenerato, lo suppone infinito per i principi di Melisso [30 B 2]; ma l'infinito non potrebbe essere in alcun luogo.

Né infatti potrebbe esser contenuto in se stesso, né in altro, perché ci sarebbero così due infiniti, il contenuto e il contenente.

Ma se non è in alcun luogo, non è nulla secondo l'argomento di Zenone circa lo spazio [cfr. 29 A 24].

(10) Per queste ragioni dunque non è ingenerato, ma certo neppur generato. Nulla certo potrebbe generarsi dall'ente né dal non ente; perché se l'ente si trasformasse, non sarebbe più per se stesso ente, e così anche il non essere, se diventasse [qualcosa], non sarebbe più non essere. (11) Neppure dall'essere sarebbe possibile il divenire; se infatti il non essere non è, nulla può nascer dal nulla; se poi il non essere per se stesso è, per quelle stesse ragioni per cui nulla può nascer dall'essere, egualmente non può dal non essere. (12) Se dunque, posto che qualcosa esista, essa deve essere necessariamente o ingenerata o generata, e questo è impossibile, è impossibile che qualcosa anche esista. (13) E ancora: se qualcosa esiste, dice, è o uno o più; ma se non è né uno né più, nulla può esistere. * * * .44*
(14) Neppure, dice, alcunché potrebbe muoversi. Che se si muovesse, non più sarebbe qual è, ma l'essere diverrebbe non essere, e il non essere sarebbe generato.
(15) E ancora, se si muove e tutt'uno si sposta, non essendo continuo l'essere si separerà, né in questo punto ci sarà più l'essere; e se si muove in ogni parte, in ogni parte esso si trova diviso. (16) E se è così, l'essere non si trova dovunque, ma è in difetto, dice, là dove è diviso, usando l'espressione «esser diviso» riferito all'essere, invece di «vuoto», come è scritto nei ragionamenti detti di Leucippo. (17) Se dunque è nulla, egli dice che le dimostrazioni ingannano. Poiché tutte le cose pensate devono esistere, e il non essere, se non è, neppure deve esser pensato. (18) Se questo è vero, non esisterebbe il falso, neppure se, egli afferma, si dicesse che cocchi corrono a gara sulla superficie marina; poiché tutto il pensato sarebbe egualmente valido.

(19) E infatti le cose vedute ed udite in tanto esistono, in quanto ciascuna di esse è pensata; e se non è questo il motivo, pure, come nulla esiste più realmente di quel che vediamo, così nulla esiste più realmente di quel che pensiamo. (20) E come nel primo caso molti vedrebbero le stesse cose, anche nel secondo molti penserebbero le stesse cose ... ma quali siano le vere, è oscuro; sicché, se anche esistono, le cose per noi sarebbero inconoscibili.

(21) E se anche fossero conoscibili, in che modo, egli osserva, uno potrebbe manifestarle ad un altro? quello che uno vede, come, egli si chiede, potrebbe esprimerlo con la parola? o come questo potrebbe divenir chiaro a chi ascolta senza averlo veduto? Come infatti la vista non conosce i suoni, così neppure l'udito ode i colori, ma i suoni; e chi parla, pronunzia, ma non pronunzia né colore né oggetto.
(22) Quello dunque di cui uno non ha un proprio concetto, come potrà concepirlo per opera d'un altro mediante la parola o un qualche segno di natura diversa dal fatto, o non dovrà piuttosto, se è un colore, vederlo, se è un rumore, udirlo? Infatti chi parla non usa, per esprimersi, un rumore o un colore, ma una parola; perciò neppure è possibile pensare un colore, ma solo vederlo, né pensare un suono, ma udirlo.

(23) E se anche è ammissibile conoscere ed esprimere quello che si conosce, come poi, chi ascolta, potrà immaginare il medesimo oggetto? Ché non è possibile che una stessa cosa sia contemporaneamente in più soggetti, fra di loro separati; ché allora l'uno sarebbe due. (24) E se anche fosse vero, egli dice, che il medesimo oggetto di pensiero si trovasse in più persone, nulla impedisce che non appaia loro uguale, poiché esse non si somigliano in tutto fra loro, né si trovano nella stessa condizione; ché se fossero nell'identica condizione, sarebbero uno e non due. (25) Né poi la stessa persona, evidentemente, prova sensazioni simili nel medesimo tempo, ma altre con l'udito, altre con la vista; e in modo differente ora e in passato. Sicché difficilmente uno potrebbe avere sensazioni uguali a quelle d'un altro.
(26) E così, nulla esiste; e se anche esistesse, nulla sarebbe conoscibile; se poi anche fosse conoscibile, nessuno potrebbe farlo conoscere ad un altro, per la ragione che gli oggetti esterni non sono parole, e che nessuno concepisce le cose nel modo stesso d'un altro. Tutte queste aporie sono anche di altri più antichi filosofi, sicché nello studio intorno ad essi, anche su queste bisogna esercitare l'indagine.

82 B 3 a. G [ARISTOT.] de M.X.G. c. 5-6. 979 a 11- 980 b 21. Οὐκ εἶναί φησιν οὐδέν: εἰ δ' ἔστιν, ἄγνωστον εἶναι: εἰ δὲ καὶ ἔστι καὶ γνωστόν, ἀλλ' οὐ δηλωτὸν ἄλλοις.
(2) καὶ ὅτι μὲν οὐκ ἔστι, συνθεὶς τὰ ἑτέροις εἰρημένα, ὅσοι περὶ τῶν ὄντων λέγοντες τἀναντία, ὡς δοκοῦσιν, ἀποφαίνονται αὑτοῖς, οἱ μὲν ὅτι ἓν καὶ οὐ πολλά, οἱ δὲ αὖ ὅτι πολλὰ καὶ οὐχ ἕν, καὶ οἱ μὲν ὅτι ἀγένητα, οἱ δ' ὡς γενόμενα ἐπιδεικνύντες ταῦτα, συλλογίζεται κατ' ἀμφοτέρων.

(3) ἀνάγκη γάρ, φησίν, εἴ τί ἐστι, μήτε ἓν μήτε πολλὰ εἶναι, μήτε ἀγέννητα μήτε γενόμενα, οὐδὲν ἂν εἴη. εἰ γὰρ μὴ εἴη τι, τούτων ἂν θάτερα εἴη.

ὅτι οὐκ ἔστιν οὔτε ἓν οὔτε πολλά, οὔτε ἀγέννητα οὔτε γενόμενα, τὰ μὲν ὡς Μέλισσος, τὰ δὲ ὡς Ζήνων ἐπιχειρεῖ δεικνύειν μετὰ τὴν πρώτην ἴδιον αὐτοῦ ἀπόδειξιν, ἐν ᾗ λέγει ὅτι οὐκ ἔστιν οὔτε εἶναι οὔτε μὴ εἶναι.

(4) εἰ μὲν γὰρ τὸ μὴ εἶναι ἔστι μὴ εἶναι, οὐδὲν ἂν ἧττον, τὸ μὴ ὂν τοῦ ὄντος εἴη. τό τε γὰρ μὴ ὄν ἐστι μὴ ὄν, καὶ τὸ ὂν ὄν, ὥστε οὐδὲν μᾶλλον ἢ εἶναι ἢ οὐκ εἶναι τὰ πράγματα.
(5) εἰ δ' ὅμως τὸ μὴ εἶναί ἐστι, τὸ εἶναι, φησίν, οὐκ ἔστι τὸ ἀντικείμενον. εἰ γὰρ τὸ μὴ εἶναί ἐστι, τὸ εἶναι [ἢ] μὴ εἶναι προσήκει. (6) ὥστε οὐκ ἂν οὕτως, φησίν, οὐδὲν ἂν εἴη, εἰ μὴ ταὐτόν ἐστιν εἶναί τε καὶ μὴ εἶναι. εἰ δὲ ταὐτό, καὶ οὕτως οὐκ ἂν εἴη οὐδέν: τό τε γὰρ μὴ ὂν οὐκ ἔστι καὶ τὸ ὄν, ἐπείπερ ταὐτὸ τῷ μὴ ὄντι. οὗτος μὲν οὖν ὁ αὐτὸς λόγος ἐκείνου.

C. 6 (1) Οὐδαμόθεν δὲ συμβαίνει ἐξ ὧν εἴρηκεν, μηδὲν εἶναι. ἃ γὰρ καὶ ἀποδείκνυσιν, οὕτως διαλέγεται.

(2) εἰ τὸ μὴ ὄν ἐστιν ἢ ἔστιν, ἁπλῶς εἰπεῖν εἴη, καὶ ἔστιν ὅμοιον μὴ ὄν. τοῦτο δὲ οὔτε φαίνεται οὕτως οὔτε ἀνάγκη, ἀλλ' ὡσπερεὶ δυοῖν, ὄντος, τοῦ δ' οὐκ ὄντος, τὸ μὲν ἔστι, τὸ δ' οὐκ ἀληθές, ὅτι ἐστὶ τὸ μὲν μὴ ὄν.

(3) διότι οὖν οὐκ ἔστιν, οὔτε εἶναι οὔτε μὴ εἶναι τὰ ἄμφω οὔθ' ἕτερον οὐκ ἔστιν. οὐδὲν γάρ, φησίν, εἴη ἂν τὸ μὴ εἶναι τοῦ εἶναι, εἴπερ εἴη τι καὶ τὸ μὴ εἶναι. οὐδείς φησιν εἶναι τὸ μὴ εἶναι οὐδαμῶς.

(4) εἰ δὲ καὶ ἔστι τὸ μὴ ὂν μὴ ὄν, οὐδ' οὕτως ὁμοίως ἂν εἴη τὸ μὴ ὂν τῷ ὄντι: τὸ μὲν γάρ ἐστι μὴ ὄν, τὸ δὲ καὶ ἔστιν ἔτι.
(5) εἰ δὲ καὶ ἁπλῶς εἰπεῖν ἀληθές, ὡς δὴ θαυμάσιόν τ' ἂν εἴη τὸ μὴ ὄν ἐστιν. ἀλλ' εἰ δὴ οὕτω, πότερον μᾶλλον ξυμβαίνει τὰ πάντα εἶναι ἢ μὴ εἶναι; αὐτὸ γὰρ οὕτω γε τοὐναντίον ἔοικε γίνεσθαι.
(6) εἰ γὰρ τό τε μὴ ὄν ἐστι καὶ τὸ ὂν ὄν ἐστιν, ἅπαντά ἐστιν. καὶ γὰρ τὰ ὄντα καὶ τὰ μὴ ὄντα ἐστίν. οὐκ ἀνάγκη γάρ, εἰ τὸ μη μὴ εἶναι; αὐτὸ γὰρ οὕτω γε τοὐναντίον ἔοικε γίνεσθαι.
(7) εἰ γὰρ τό τε μὴ ὄν ἐστι καὶ τὸ ὂν ὄν ἐστιν, ἅπαντά ἐστιν. καὶ γὰρ τὰ ὄντα καὶ τὰ μὴ ὄντα ἐστίν. οὐκ ἀνάγκη γάρ, εἰ τὸ μὴ ὄν ἐστι, καὶ τὸ ὂν μὴ εἶναι.
(8) εἰ δὴ καὶ οὕτω τις ξυγχωρεῖ, καὶ τὸ μὲν μὴ ὂν εἴη, τὸ δὲ ὂν μὴ εἴη, ὅμως οὐδὲν ἧττον εἴη ἄν: τὰ γὰρ μὴ ὄντα εἴη κατὰ τὸν ἐκείνου λόγον. εἰ δὲ ταὐτόν ἐστι καὶ τὸ εἶναι καὶ τὸ μὴ εἶναι, οὐδ' οὕτως μᾶλλον οὐκ [εἴη] ἄν τι εἴη. ὡς γὰρ κἀκεῖνος λέγει, ὅτι εἰ ταὐτὸν μὴ ὂν καὶ ὄν, τό τε ὂν οὐκ ἔστι καὶ τὸ μὴ ὄν. ὥστε οὐδέν ἐστιν, ἀντιστρέψαντι ἔστιν ὁμοίως φάναι ὅτι πάντα ἐστίν. τό τε γὰρ μὴ ὄν ἐστι καὶ τὸ ὄν, ὥστε πάντα ἐστίν. (9) μετὰ δὲ τοῦτον τὸν λόγον φησίν: εἰ δὲ ἔστιν, ἤτοι ἀγέννητον ἢ γενόμενον εἶναι. καὶ εἰ μὲν ἀγένητον, ἄπειρον αὐτὸ τοῖς τοῦ Μελίσσου [30 B 2] ἀξιώμασι λαμβάνει: τὸ δ' ἄπειρον οὐκ ἂν εἶναί ποτε. οὔτε γὰρ ἐν αὑτῷ οὔτ' ἂν ἐν ἄλλῳ εἶναι: δύο γὰρ ἂν οὕτως ἢ πλείω εἶναι, τό τε ἐνὸν καὶ τὸ ἐν ᾧ, μηδαμοῦ δὲ ὂν οὐδὲ εἶναι κατὰ τὸν Ζήνωνος λόγον περὶ τῆς χώρας[cfr. 29 A 24].
(10) ἀγέννητον μὲν οὖν διὰ ταῦτ' οὐκ εἶναι, οὐ μὴν οὐδὲ γενόμενον. γενέσθαι γοῦν οὐδὲν ἂν οὔτ' ἐξ ὄντος οὔτ' ἐκ μὴ ὄντος. εἰ γὰρ τὸ ὂν μεταπέσοι, οὐκ ἂν ἔτ' εἶναι τὸ ὄν, ὥσπερ γ' εἰ καὶ τὸ μὴ ὂν γένοιτο, οὐκ ἂν ἔτι εἴη μὴ ὄν. (11) οὐδὲ μὴν οὐδ' ἐξ ὄντος ἂν γενέσθαι. εἰ μὲν γὰρ μή ἐστι τὸ μὴ ὄν, οὐδὲν ἂν ἐκ μηδενὸς ἂν γενέσθαι: εἰ δ' ἔστι τὸ μὴ ὄν, δι' ἅπερ οὐδ' ἐκ τοῦ ὄντος, διὰ ταῦτα οὐδ' ἐκ τοῦ μὴ ὄντος γενέσθαι.
(12) εἰ οὖν ἀνάγκη μέν, εἴπερ ἔστι τι, ἤτοι ἀγέννητον εἶναι ἢ γενόμενον, ταῦτα δὲ ἀδύνατόν τι καὶ εἶναι. ἔτι εἴπερ ἔστιν, ἓν ἢ πλείω, φησίν, ἐστίν: εἴτε μήτε ἓν μήτε πολλά, οὐδὲν ἂν εἴη. καὶ ἓν μὲν ***.

(14) οὐδ' ἂν κινηθῆναί φησιν. οὐδενὶ γὰρ κινηθείη, ἢ οὐκ ἂν ἔτι, ἢ ὡσαύτως ἔχον, ἀλλὰ τὸ μὲν οὐκ ἂν εἴη, τὸ δ' οὐκ ὂν γεγονὸς εἴη.
(15) ἔτι δὲ ἢ κινεῖ ἢ κινεῖται, καὶ εἰ μεταφέρεται οὐ συνεχὲς ὄν, διήρηται τὸ ὄν, οὔτε τι ταύτῃ: ὥστε πάντῃ κινεῖται, πάντῃ διῄρηται. (16) εἰ δ' οὕτως, πάντα οὐκ ἔστιν. ἐκλιπὲς γὰρ ταύτῃ, φησίν, ᾗ διῄρηται, τοῦ ὄντος, ἀντὶ τοῦ κενοῦ τὸ διῃρῆσθαι λέγων, καθάπερ ἐν τοῖς Λευκίππου καλουμένοις λόγοις γέγραπται.
(17) εἰ μὲν οὖν οὐδέν, τὰς ἀποδείξεις λέγειν ἅπαντα. δεῖ γὰρ τὰ φρονούμενα εἶναι, καὶ τὸ μὴ ὄν, εἴπερ μή ἐστι, μηδὲ φρονεῖσθαι.

(18) εἰ δ' οὕτως, οὐδὲν ἂν εἶναι ψεῦδος οὐδείς φησιν, οὐδ' εἰ ἐν τῷ πελάγει φαίη ἁμιλλᾶσθαι ἅρματα. πάντα γὰρ ἂν ταῦτα εἴη.

(19) καὶ γὰρ τὰ ὁρώμενα καὶ ἀκουόμενα διὰ τοῦτό ἐστιν, ὅτι φρονεῖται ἕκαστα αὐτῶν: εἰ δὲ μὴ διὰ τοῦτο, ἀλλ' ὥσπερ οὐδὲν μᾶλλον ἃ ὁρῶμεν ἐστίν, οὕτω μᾶλλον ἃ ὁρῶμεν ἢ διανοούμεθα. (20) καὶ γὰρ ὥσπερ ἐκεῖ πολλοὶ ἂν ταῦτα ἴδοιεν, καὶ ἐνταῦθα πολλοὶ ἂν ταῦτα διανοηθείημεν. τὸ οὖν μᾶλλον δὴ τοιάδ' ἐστί, ποῖα δὲ τἀληθῆ, ἄδηλον. ὥστε καὶ εἰ ἔστιν, ἡμῖν γε ἄγνωστα εἶναι τὰ πράγματα.
(21) εἰ δὲ καὶ γνωστά, πῶς ἄν τις, φησί, δηλώσειεν ἄλλῳ; ὃ γὰρ εἶδε, πῶς ἄν τις, φησί, τοῦτο εἴποι λόγῳ; ἢ πῶς ἂν ἐκείνῳ δῆλον ἀκούσαντι γίγνοιτο, μὴ ἰδόντι; 980b ὥσπερ γὰρ οὐδὲ ἡ ὄψις τοὺς φθόγγους γιγνώσκει, οὕτως οὐδὲ ἡ ἀκοὴ τὰ χρώματα ἀκούει, ἀλλὰ φθόγγους: καὶ λέγει ὁ λέγων, ἀλλ' οὐ χρῶμα οὐδὲ πρᾶγμα.

(22) ὃ οὖν τις μὴ ἐννοεῖ, πῶς αἰτεῖ παρ' ἄλλου λόγῳ ἢ σημείῳ τινὶ ἑτέρου πράγματος ἐννοήσειεν, ἀλλ' ἢ ἐὰν μὲν χρῶμα ἰδών, ἐὰν δὲ μος.

ἀρχὴν γὰρ οὐ λέγε γοει δὲ χρῶμα, ἀλλὰ λόγον, ὥστ' οὐδὲ διανοεῖσθαι χρῶμα ἔστιν, ἀλλ' ὁρᾶν, οὐδὲ ψόφον, ἀλλ' ἀκούειν.

(23) εἰ δὲ καὶ ἐνδέχεται, γινώσκει τε καὶ ἀναγινώσκει λέγων. ἀλλὰ πῶς ὁ ἀκούων τὸ αὐτὸ ἐννοήσει; οὐ γὰρ οἷόν τε τὸ αὐτὸ ἅμα ἐν πλείοσι καὶ χωρὶς οὖσιν εἶναι: δύο γὰρ ἂν εἴη τὸ ἕν.

(24) εἰ δὲ καὶ εἴη, φησίν, ἐν πλείοσι καὶ ταὐτόν, οὐδὲν κωλύει μὴ ὅμοιον φαίνεσθαι αὐτοῖς, μὴ πάντῃ ὁμοίοις ἐκείνοις οὖσιν καὶ ἐν τῷ αὐτῷ, εἴ τι ἐν τοιούτου εἴησαν, ἀλλ' οὐ δύο εἶεν.

(25) φαίνεται δὲ οὐδ' αὐτὸς αὑτῷ ὅμοια αἰσθανόμενος ἐν τῷ αὐτῷ χρόνῳ, ἀλλ' ἕτερα τῇ ἀκοῇ καὶ τῇ ὄψει, καὶ νῦν τε καὶ πάλαι διαφόρως. ὥστε σχολῇ ἄλλῳ πᾶν ταὐτὸ αἴσθοιτό τις.

(26) οὕτως οὐκ ἔστιν, ἕν ἐστι γνωστόν, οὐδεὶς ἂν αὐτὸ ἑτέρῳ δηλώσειεν, διά τε τὸ μὴ εἶναι τὰ πράγματα λεκτά, καὶ ὅτι οὐδεὶς ἕτερον ἑτέρῳ ταὐτὸν ἐννοεῖ.
ἅπαντες δὲ καὶ οὕτως ἑτέρων ἀρχαιοτέρων εἰσὶν ἀπορίαι, ὥστε ἐν τῇ περὶ ἐκείνων σκέψει καὶ ταῦτα ἐξεταστέον.