72 A 6. ARRIAN. anab. VI 10, 5. E anche di questo è diffusa la fama, che egli [Callistene] resistesse ad Alessandro quanto all'adorazione [da lui pretesa]. Era stato convenuto, una volta, da Alessandro coi filosofi e coi più famosi tra i Persiani e i Medi che lo circondavano, che si facesse menzione di questo discorso [dell'adorazione] durante il bere; e cominciò il discorso Anassarco, sostenendo che Alessandro era ritenuto un dio a molto maggior diritto di Dioniso e di Eracle, non solo a cagion delle imprese tanto numerose e tanto grandi che Alessandro aveva compiuto, ma anche perché Dioniso, essendo tebano, non interessava affatto ai Macedoni, ed Eracle, essendo argivo, non interessava neppure lui se non per quanto concerneva la stirpe di Alessandro: infatti Alessandro era un Eraclide; più giusto era dunque che i Macedoni, a lor volta, tributassero onori divini al loro re. Infatti, diceva, non vi era alcun dubbio su questo, che l'avrebbero adorato come dio quando egli avesse abbandonato i mortali; e allora, quanto era più giusto onorarlo da vivo, che non da morto senza alcun vantaggio di colui che riceve l'onore! (11) Essendo stati fatti questi ed altrettali ragionamenti da parte di Anassarco, quelli che ne condividevano l'idea lodavano il discorso e già volevano cominciare a compiere atto di adorazione verso il re; ma i Macedoni, che erano molti, infastiditi da questo discorso, rimanevano in silenzio. E Callistene prese allora la parola, dicendo: «Io non intendo affatto dire, o Anassarco, che Alessandro sia indegno di alcuno degli onori quanti ve ne sono che si convengono a un mortale, ecc.». CURT. VIII 5, 8. Un certo Agide di Argo, autore di pessimi versi dopo Cherilo, e il siciliano Cleone... Costoro allora gli spalancavano il cielo e millantavano che Eracle e il padre Libero e Castore e Polluce avrebbero ceduto il posto al nuovo dio. 72 A 6. ARR. Anab. VI 10, 5 ὑπὲρ δὲ τῆς προσκυνήσεως ὅπως ἠναντιώθη Ἀλεξάνδρωι [II 237. 25] καὶ τοιόσδε κατέχει λόγος. ξυγκεῖσθαι μὲν γὰρ τῶι Ἀλεξάνδρωι πρὸς τοὺς σοφιστάς τε καὶ τοὺς ἀμφ' αὐτὸν Περσῶν καὶ Μήδων τοὺς δοκιμωτάτους μνήμην τοῦ λόγου τοῦδε ἐν πότωι ἐμβαλεῖν˙ ἄρξαι δὲ τοῦ λόγου Ἀνάξαρχον, ὡς πολὺ δικαιότερον ἂν θεὸν νομιζόμενον Ἀλέξανδρον Διονύσου τε καὶ Ἡρακλέους, μὴ ὅτι τῶν ἔργων ἕνεκα ὅσα καὶ ἡλίκα καταπέπρακται Ἀλεξάνδρωι, ἀλλὰ καὶ ὅτι [II 237. 30] Διόνυσος μὲν Θηβαῖος ἦν οὐδέν τι προσήκων Μακεδόσι, καὶ Ἡρακλῆς Ἀργεῖος οὐδὲ οὗτος προσήκων ὅτι μὴ κατὰ γένος τὸ Ἀλεξάνδρου˙ Ἡρακλείδην γὰρ εἶναι Ἀλέξανδρον˙ Μακεδόνας δὲ ἂν τὸν σφῶν βασιλέα δικαιότερον θείαις τιμαῖς κοσμοῦντας. καὶ γὰρ οὐδὲ ἐκεῖνο εἶναι ἀμφίλογον ὅτι ἀπελθόντα γε ἐξ ἀνθρώπων ὡς θεὸν τιμήσουσι˙ πόσωι δὴ δικαιότερον ζῶντα γεραίρειν ἤπερ τελευτήσαντα ἐς [II 237. 35 App.] οὐδὲν ὄφελος τῶι τιμωμένωι. c. 11 λεχθέντων δὲ τούτων τε καὶ τοιούτων λόγων πρὸς Ἀναξάρχου τοὺς μὲν μετεσχηκότας τῆς βουλῆς ἐπαινεῖν τὸν λόγον καὶ δὴ ἐθέλειν ἄρχεσθαι τῆς προσκυνήσεως˙ τοὺς Μακεδόνας δὲ τοὺς πολλοὺς ἀχθομένους τῶι λόγωι σιγῆι ἔχειν. Καλλισθένην δὲ ὑπολαβόντα˙ ' Ἀλέξανδρον μέν, εἰπεῖν, ὦ Ἀνάξαρχε, οὐδεμιᾶς ἀνάξιον ἀποφαίνω τιμῆς ὅσαι ξύμμετροι ἀνθρώπωι κτλ.' CURT. VIII 5, 8 [II 237. 40] Agis quidem Argivus, pessimorum carminum post Choerilum conditor, et ex Sicilia Cleo ... hi tum caelum illi aperiebant Herculemque et Patrem Liberum et cum Polluce Castorem novo numini cessuros esse iactabant.