58 B 5. ARISTOT. metaph. A 5. 986 a 15 [cfr. 44 B 15]. Pare che anche costoro, che pensavano che principio fosse il numero, pensassero il principio sia come materia e sia come qualità accidentale e condizione delle cose che sono. Elementi del numero ponevano il pari e il dispari, l'uno pensato come infinito e l'altro come limitato;3* l'unità la consideravano derivante da entrambi4* (dicevano quindi che essa è pari e dispari); e dall'unità pensavano che nascesse il numero e che nei numeri consistesse, come ho detto, tutto il mondo.
Altri Pitagorici5* dicevano che i principi sono dieci, quelli che secondo la serie son detti: limite e illimitato, dispari e pari, uno e molteplice, destro e sinistro, maschio e femmina, fermo e mosso, diritto e curvo, luce e tenebre, buono e cattivo, quadrato e rettangolo. Similmente pare che pensasse anche Alcmeone di Crotone [24 A 3], sia che questo pensiero l'accogliesse lui da essi, sia che l'accogliessero essi da lui: ché Alcmeone fiorì quando Pitagora era vecchio, e parlò in modo simile ad essi. Dice che di due modi è la maggior parte delle cose umane; e intende parlare delle contrarietà, che non definisce come i Pitagorici, ma prende a caso: ad esempio, bianco e nero, dolce e amaro, buono e cattivo, grande e piccolo. Costui dunque delle varie contrarietà parlò buttando giù quel che gli veniva, senza distinzione: i Pitagorici invece dissero quante e quali esse erano. Comunque, l'uno e gli altri sono d'accordo in questo, che i contrari son princìpi delle cose che sono: quanti e quali essi siano, soltanto i Pitagorici hanno detto. Ora, come si possano ricondurre tali cause a quelle di cui ho parlato, non è chiaro: perché essi non ne hanno discorso con nitidezza; sembra tuttavia che pongano gli elementi nel genere della materia; perché dicono che compongono e formano la sostanza essendo immanenti ad essa.

Per quello che riguarda gli antichi che dicevano essere più d'uno gli elementi della natura, basta conoscere quello che hanno pensato. Alcuni però, parlando del tutto, hanno mostrato di concepire come una la natura, se pure non tutti nello stesso modo, per essersi gli uni espressi meglio e gli altri peggio, e per aver gli uni parlato in modo più conveniente, gli altri in modo meno conveniente a quello che è la natura. Perché, supponendo uno l'ente, non hanno fatto come alcuni fisiologi che dall'uno fanno nascere le cose come da materia, ma hanno parlato in altro modo, ché quelli aggiungono il movimento e parlano della generazione del tutto, questi dicono che l'uno è immoto.

58 B 5. ARISTOT. metaph. A 5. 986 a 15 [I 452. 30 App.] [vgl. 44 B 15] φαίνονται δὴ καὶ οὗτοι τὸν ἀριθμὸν νομίζοντες ἀρχὴν εἶναι καὶ ὡς ὕλην τοῖς οὖσι καὶ ὡς πάθη τε καὶ ἕξεις, τοῦ δὲ ἀριθμοῦ στοιχεῖα τό τε ἄρτιον καὶ τὸ περιττόν, τούτων δὲ τὸ μὲν ἄπειρον, τὸ δὲ πεπερασμένον, τὸ δ' ἓν ἐξ ἀμφοτέρων εἶναι τούτων (καὶ γὰρ ἄρτιον εἶναι καὶ περιττόν), τὸν δ' ἀριθμὸν ἐκ τοῦ ἑνός, ἀριθμοὺς δέ, καθάπερ εἴρηται, τὸν ὅλον οὐρανόν.
[I 452. 35 App.] ἕτεροι δὲ τῶν αὐτῶν τούτων τὰς ἀρχὰς δέκα λέγουσιν εἶναι τὰς κατὰ συστοιχίαν λεγομένας˙
πέρας καὶ ἄπειρον
περιττὸν καὶ ἄρτιον
ἓν καὶ πλῆθος
[I 452. 40] δεξιὸν καὶ ἀριστερόν
ἄρρεν καὶ θῆλυ
ἠρεμοῦν καὶ κινούμενον
εὐθὺ καὶ καμπύλον
φῶς καὶ σκότος
[I 452. 45] ἀγαθὸν καὶ κακόν
τετράγωνον καὶ ἑτερόμηκες.
[I 453. 1 App.] ὅνπερ τρόπον ἔοικε καὶ Ἀλκμαίων ὁ Κροτωνιάτης [24 A 3] ὑπολαβεῖν˙ καὶ ἤτοι οὗτος παρ' ἐκείνων ἢ ἐκεῖνοι παρὰ τούτου παρέλαβον τὸν λόγον τοῦτον˙ καὶ γὰρ ἐγένετο τὴν ἡλικίαν Ἀλκμαίων 〈νέος〉 ἐπὶ γέροντι Πυθαγόραι, ἀπεφήνατο δὲ παραπλησίως τούτοις. φησὶ γὰρ εἶναι δύο τὰ πολλὰ τῶν ἀνθρωπίνων, λέγων [I 453. 5] τὰς ἐναντιότητας οὐχ ὥσπερ οὗτοι διωρισμένας ἀλλὰ τὰς τυχούσας, οἷον λευκὸν μέλαν, γλυκὺ πικρόν, ἀγαθὸν κακόν, μέγα μικρόν. οὗτος μὲν οὖν ἀδιορίστως ἀπέρριψε περὶ τῶν λοιπῶν, οἱ δὲ Πυθαγόρειοι καὶ πόσαι καὶ τίνες αἱ ἐναντιώσεις ἀπεφήναντο. παρὰ μὲν οὖν τούτων ἀμφοῖν τοσοῦτον ἔστι λαβεῖν ὅτι τἀναντία ἀρχαὶ τῶν ὄντων˙ τὸ δὲ ὅσαι, παρὰ τῶν ἑτέρων, καὶ τίνες αὗταί εἰσιν. πῶς μέντοι [I 453. 10 App.] πρὸς τὰς εἰρημένας αἰτίας ἐνδέχεται συναγαγεῖν, σαφῶς μὲν οὐ διήρθρωται παρ' ἐκείνων, ἐοίκασι δ' ὡς ἐν ὕλης εἴδει τὰ στοιχεῖα τάττειν˙ ἐκ τούτων γὰρ ὡς ἐνυπαρχόντων συνεστάναι καὶ πεπλάσθαι φασὶ τὴν οὐσίαν.
τῶν μὲν οὖν παλαιῶν καὶ πλείω λεγόντων τὰ στοιχεῖα τῆς φύσεως ἐκ τούτων ἱκανόν ἐστι θεωρῆσαι τὴν διάνοιαν˙ εἰσὶ δέ τινες οἳ περὶ τοῦ παντὸς ὡς ἂν μιᾶ˙
[I 453. 15] οὔσης φύσεως ἀπεφήναντο, τρόπον δὲ οὐ τὸν αὐτὸν πάντες οὔτε τοῦ καλῶς οὔτε τοῦ κατὰ τὴν φύσιν. εἰς μὲν οὖν τὴν νῦν σκέψιν τῶν αἰτίων οὐδαμῶς συναρμόττει περὶ αὐτῶν ὁ λόγος˙ οὐ γὰρ ὥσπερ ἔνιοι τῶν φυσιολόγων ἓν ὑποθέμενοι τὸ ὂν ὅμως γεννῶσιν ὡς ἐξ ὕλης τοῦ ἑνός, ἀλλ' ἕτερον τρόπον οὗτοι λέγουσιν˙ ἐκεῖνοι μὲν γὰρ προστιθέασι κίνησιν, γεννῶντές γε τὸ πᾶν, οὗτοι δὲ ἀκίνητον εἶναί φασιν.