30 A 8. ARISTOT. phys. Δ 6. 213 b 12. Melisso dimostra anche che tutto è immobile con questo argomento: se si movesse è necessario, dice, che ci sia vuoto: ma il vuoto non è uno degli enti. ARISTOT. de gen. et corr. A 8. 325 a 2. Ad alcuni degli antichi infatti parve che l'essere fosse di necessità uno e immobile. Infatti il vuoto non esiste e non c'è il moto se non c'è distinto e separato dal resto il vuoto. E neppure può darsi che l'essere sia molteplice se non c'è qualcosa che separi. Non fa differenza ritenere che il tutto non sia continuo ma che essendo differenziato sia contiguo, dal dire che è molteplice e non uno e vuoto. Se infatti è interamente divisibile, nulla è uno, cosicché neppure è molteplice e il tutto sarà vuoto. Se invece per certe parti è divisibile e per certe parti no, in questo caso pare di trovarsi di fronte a una fantasticheria. Fino a che punto infatti e perché una parte dell'essere è così ed è piena e l'altra invece è distinta? Inoltre in ogni caso è necessario dire che il movimento non c'è. Per questi argomenti dunque procedendo oltre la sensazione e tenendola in nessun cale in quanto si deve seguire il ragionamento, dicono che l'essere è uno e immobile e alcuni che è infinito: difatti il limite limita verso il vuoto [cfr. 28 A 25]. 30 A 8. ARIST. Phys. Δ 6. 213 β 12 [I 266. 20] Μ. μὲν οὖν καὶ δείκνυσιν ὅτι τὸ πᾶν ἀκίνητον ἐκ τούτων˙ εἰ γὰρ κινήσεται, ἀνάγκη εἶναι, φησί, κενόν, τὸ δὲ κενὸν οὐ τῶν ὄντων. ARISTOT. de gen. et corr. A 8. 325 a 2 ἐνίοις γὰρ τῶν ἀρχαίων ἔδοξε τὸ ὂν ἐξ ἀνάγκης ἓν εἶναι καὶ ἀκίνητον˙ τὸ μὲν γὰρ κενὸν οὐκ ὄν, κινηθῆναι δ' οὐκ ἂν δύνασθαι μὴ ὄντος κενοῦ κεχωρισμένου. οὐδ' αὖ πολλὰ εἶναι μὴ ὄντος τοῦ διείργοντος. τοῦτο δ' [I 267. 1] οὐδὲν διαφέρειν, εἴ τις οἴεται μὴ συνεχὲς εἶναι τὸ πᾶν ἀλλ' ἅπτεσθαι διηιρημένον, τοῦ φάναι πολλὰ καὶ μὴ ἓν εἶναι καὶ κενόν. εἰ μὲν γὰρ πάντηι διαιρετόν, οὐθὲν εἶναι ἕν, ὥστε οὐδὲ πολλά, ἀλλὰ κενὸν τὸ ὅλον˙ εἰ δὲ τῆι μέν, τῆι δὲ μή, πεπλασμένωι τινὶ τοῦτ' ἐοικέναι˙ μέχρι πόσου γὰρ καὶ διὰ τί τὸ μὲν οὕτως ἔχει τοῦ ὅλου [I 267. 5 App.] καὶ πλῆρές ἐστι, τὸ δὲ διηιρημένον; ἔτι δ' ὁμοίως ἀναγκαῖον μὴ εἶναι κίνησιν. ἐκ μὲν οὖν τούτων τῶν λόγων ὑπερβάντες τὴν αἴσθησιν καὶ παριδόντες αὐτὴν ὡς τῶι λόγωι δέον ἀκολουθεῖν, ἓν καὶ ἀκίνητον τὸ πᾶν εἶναί φασι καὶ ἄπειρον ἔνιοι˙ τὸ γὰρ πέρας περαίνειν ἂν πρὸς τὸ κενόν. Vgl. 28 A 25.