31 A 16. STRAB. VI p. 274. Da una tale esplorazione dell'Etna si persuasero che molte favole si narrano, quali in particolare sono quelle che si dicono su Empedocle, e cioè che egli si gettasse nel cratere e perdesse uno dei calzari, che egli portava di bronzo, e che questo svelò l'accaduto; perché sarebbe stato rinvenuto poco lungi dalla bocca del cratere, eruttato dalla violenza del fuoco [cfr. p. 276]. HORAT. de art. poet. 458 sgg. Come se un cacciatore, intento ai merli, cada in un buco o in una fossa, e gridi pure ad alta voce: «Aiutate, o cittadini!», non vi sarà certo chi si prenderà cura di tirarlo su. E se anche ci sarà chi si prenderà cura di aiutarlo e di gettargli una fune, potrò ben dire: «Chi può sapere se egli si è buttato volontariamente e non vuole essere salvato?». E narrerò la morte del poeta siciliano. Desiderando Empedocle di essere ritenuto un dio immortale, freddo si gettò nell'Etna ardente. Sia a buon diritto lecito ai poeti di morire: colui che salva uno che non vuole fa azione simile a colui che uccide. 31 A 16. STRABO VI p. 274 [I 285. 1] νομίζειν δ' ἐκ τῆς τοιαύτης ὄψεως πολλὰ μυθεύεσθαι καὶ μάλιστα οἷά φασί τινες περὶ Ἐμπεδοκλέους, ὅτι καθάλοιτο εἰς τὸν κρατῆρα καὶ καταλίποι τοῦ πάθους ἴχνος τῶν ἐμβάδων τὴν ἑτέραν ἃς ἐφόρει χαλκᾶς. εὑρεθῆναι γὰρ ἔξω μικρὸν ἄπωθεν τοῦ χείλους τοῦ κρατῆρος ὡς ἀνερριμμένην [I 285. 5] ὑπὸ τῆς βίας τοῦ πυρός. [vgl. p. 276]. HORAT. Ars poet. 458ff.
si veluti merulis intentus decidit auceps
in puteum foveamve, licet "succurrite" longum
clamet "io cives!", non sit qui tollere curet.
si curet quis opem ferre et demittere funem
[I 285. 10] "qui scis, an prudens huc se deiecerit atque
servari nolit?" dicam, Siculique poetae
narrabo interitum. deus immortalis haberi
dum cupit Empedocles, ardentem frigidus Aetnam
insiluit. sit ius liceatque perire poetis
[I 285. 15] invitum qui servat, idem facit occidenti.