44 A 13. THEOL. ARITHM. p. 82, 10 de Falco. Speusippo, figlio della sorella di Platone, Potone, e successore di Platone, prima di Senocrate, nella direzione dell'Accademia, studiate attentamente le dottrine esposte dai Pitagorici, e soprattutto gli scritti di Filolao, compose un grazioso libretto, che intitolò Sui numeri dei Pitagorici [fr. 4 Lang]. Nella prima metà di questo libro tratta con grande eleganza dei numeri lineari e dei poligonali, e d'ogni specie di numeri piani e solidi3*, e delle cinque figure solide attribuite agli elementi cosmici e delle loro proprietà e delle loro relazioni, e della proporzione continua e di quella discontinua. Poi, nella seconda metà tratta senz'altro del dieci, dicendo ch'esso più d'ogni altro numero è conforme alla natura, e creatore delle cose, essendo come una specie che dà origine ai compimenti cosmici di per se stessa (e non in quanto noi così la concepiamo o la poniamo a caso), fondamento e modello perfettissimo al dio facitore del tutto.
Parla d'esso così:
Il dieci è 〈numero〉 perfetto; ed è conforme a ragione e a natura il fatto che noi Greci e gli altri uomini tutti, sempre, nel trattare i numeri, ci incontriamo spontaneamente in esso. Perché esclusivamente sue sono molte proprietà del numero perfetto; e molte altre proprietà esso possiede che, se non sono esclusivamente sue, tuttavia il numero perfetto deve possedere. Perché il numero perfetto deve essere pari, sì da contenere in ugual misura, e non quali più e quali meno, i pari e i dispari: infatti, il dispari precedendo il pari, l'ultimo numero, quello che conclude la serie, deve essere pari; altrimenti il dispari prevarrebbe sul pari. Poi deve avere un ugual numero di numeri semplici e composti e il dieci li ha in ugual numero ed è il più piccolo dei numeri che hanno questa proprietà. Perché, se è vero che anche altri numeri, come il dodici e alcuni altri, l'hanno, il dieci è la base loro. Ordunque il dieci, essendo il primo e il più piccolo dei numeri che hanno questa proprietà, ed essendo d'altra parte il solo ad aver la proprietà d'essere il primo tra quanti hanno ugual numero di numeri semplici e di numeri composti, ha, in questo, perfezione. Poi, oltre a questa, ha la proprietà di contenere un 〈ugual〉 numero di multipli e sottomultipli, di cui i multipli son multipli: sottomultipli sono i numeri fino al cinque, eccettuato il quattro che è multiplo del due, multipli quelli fino al dieci, eccettuato il sette che non è multiplo di alcun numero: e dunque in ugual numero sono i multipli e i sottomultipli. Poi, nel dieci sono compresi tutti i rapporti, quello d'uguaglianza, quello di maggioranza, quello di minoranza, quello del superparticolare, e tutti gli altri. Ci sono inoltre i numeri lineari e quelli piani e quelli solidi, perché l'uno è punto, il due è linea, il tre è triangolo, il quattro piramide: e questi son tutti primi, e principi di ciascun numero dello stesso genere. E, delle proporzioni, prima è quella che si scorge in questi numeri, quella cioè per cui ogni numero supera di un'unità il numero precedente, e che ha perfezione nel dieci. Poi, primi tra i numeri piani e i numeri solidi sono questi: punto, linea, triangolo, piramide: e questi compiono il numero del dieci e vi hanno perfezione; perché negli angoli e nelle facce della piramide è il numero quattro, negli spigoli il sei, onde si compie il dieci; e il quattro è medesimamente nelle distanze e negli estremi del punto e della linea, il sei nei lati e negli angoli del triangolo, onde ancora si compie il dieci 4*. Il dieci si trova poi anche nelle figure piane se sono considerate secondo il numero. Perché prima figura piana è il triangolo equilatero, che in certo modo ha un solo lato e un solo angolo: dico uno solo, perché il triangolo equilatero ha lati e angoli uguali, e l'uguale, non ammettendo distinzione, è della specie dell'uno. Seconda figura piana è il semiquadrato: questo, avendo una sola differenza tra lati e tra angoli, si esprime nel due. Terzo è il triangolo ch'è metà dell'equilatero, o semitriangolo: ivi ogni elemento è diverso dagli altri, sicché il suo numero è il tre. La medesima progressione fino al quattro è nei solidi, se tu li esamini, sì che anche così si raggiunge il numero dieci. La prima piramide, costruita su di un triangolo equilatero, ha spigoli e facce tutti uguali, e dunque si può dire una sola faccia e un solo spigolo. La seconda, costruita su di un quadrato, si esprime col numero due, perché, avendo una sola differenza (quella tra gli angoli alla base, chiusi, ciascuno, da tre facce, e l'angolo al vertice chiuso da quattro facce) da questo è resa simile al due. La terza, costruita sul semiquadrato, è espressa dal numero tre; perché, oltre alla differenza che abbiamo visto esserci nel triangolo semiquadrato ch'è la sua base, ha un'altra differenza, quella tra l'angolo al vertice e quelli alla base: questa piramide dunque, che ha l'angolo sulla perpendicolare abbassata sul centro dell'ipotenusa della base, rassomiglia al tre. Al quattro è per la stessa ragione comparabile la quarta piramide, quella costruita sul semitriangolo. Queste figure per tal modo hanno perfezione nel dieci5*. Lo stesso è nella generazione: principio primo riguardo alla grandezza è il punto, secondo la linea, terzo la superficie, quarto il solido. Cfr. THEOL. ARITHM. p. 81, 15 de Falco. Fede si chiama [la decade], perché, secondo Filolao, abbiamo salda fede in essa e nelle sue parti, se le cose le studiamo profondamente. Perciò si può chiamare anche Memoria, per le ragioni per cui anche la monade fu detta Mnemosine. LAUR. LYD. de mens. I 15. A ragione dunque Filolao la chiamò decade, come quella che accoglie l'infinito [cfr. B 11].
44 A 13. THEOLOG. ARITHM. p. 82, 10 ὅτι καὶ Σπεύσιππος, ὁ Πωτώνης μὲν υἱὸς τῆς τοῦ Πλάτωνος ἀδελφῆς, διάδοχος δὲ Ἀκαδημίας πρὸ Ξενοκράτου, ἐκ τῶν ἐξαιρέτως σπουδασθεισῶν ἀεὶ Πυθαγορικῶν ἀκροάσεων, μάλιστα δὲ τῶν Φιλολάου συγγραμμάτων, [I 400. 25 App.] βιβλίδιόν τι συντάξας γλαφυρὸν ἐπέγραψε μὲν αὐτὸ Περὶ Πυθαγορικῶν ἀριθμῶν [fr. 4 Lang Bonn 1911 S. 53 ff.], ἀπ' ἀρχῆς δὲ μέχρι ἡμίσους περὶ τῶν ἐν αὐτοῖς γραμμικῶν ἐμμελέστατα διεξελθὼν πολυγωνίων τε καὶ παντοίων τῶν ἐν ἀριθμοῖς ἐπιπέδων ἅμα καὶ στερεῶν, περί τε τῶν πέντε σχημάτων, ἃ τοῖς κοσμικοῖς ἀποδίδοται στοιχείοις, ἰδιότητός 〈τε〉 αὐτῶν καὶ πρὸς ἄλληλα κοινότητος, [I 400. 30 App.] ἀναλογίας τε καὶ ἀνακολουθίας, μετὰ ταῦτα λοιπὸν θάτερον [τὸ] τοῦ βιβλίου ἥμισυ περὶ δεκάδος ἄντικρυς ποιεῖται, φυσικωτάτην αὐτὴν ἀποφαίνων καὶ τελεστικωτάτην τῶν ὄντων, οἷον εἶδός τι τοῖς κοσμικοῖς ἀποτελέσμασι τεχνικὸν ἀφ' ἑαυτῆς (ἀλλ' οὐχ ἡμῶν νομισάντων ἢ ὡς ἔτυχε) θεμέλιον ὑπάρχουσαν καὶ παράδειγμα παντελέστατον τῶι τοῦ παντὸς ποιητῆι θεῶι προεκκειμένην. λέγει δὲ [I 401. 1 App.] τὸν τρόπον τοῦτον περὶ αὐτῆς˙ 'ἔστι δὲ τὰ δέκα τέλειος 〈ἀριθμός〉, καὶ ὀρθῶς τε καὶ κατὰ φύσιν εἰς τοῦτον καταντῶμεν παντοίως ἀριθμοῦντες Ἕλληνές τε καὶ πάντες ἄνθρωποι οὐδὲν αὐτοὶ ἐπιτηδεύοντες˙ πολλὰ γὰρ ἴδια ἔχει, ἃ προσήκει τὸν οὕτω τέλειον ἔχειν, πολλὰ δὲ ἴδια μὲν οὐκ ἔστιν αὐτοῦ, δεῖ δὲ ἔχειν αὐτὰ τέλειον. [I 401. 5 App.] πρῶτον μὲν οὖν ἄρτιον δεῖ εἶναι, ὅπως ἴσοι ἐνῶσιν οἱ περισσοὶ καὶ ἄρτιοι, καὶ μὴ ἑτερομερεῖς˙ ἐπεὶ γὰρ πρότερος ἀεί ἐστιν ὁ περισσὸς τοῦ ἀρτίου, εἰ μὴ ἄρτιος εἴη ὁ συμπεραίνων, πλεονεκτήσει ὁ ἕτερος. εἶτα δὲ ἴσους ἔχειν χρὴ τοὺς πρώτους καὶ ἀσυνθέτους καὶ τοὺς δευτέρους καὶ συνθέτους˙ ὁ δὲ δέκα ἔχει ἴσους, καὶ οὐδεὶς ἂν ἄλλος ἐλάσσων τῶν δέκα τοῦτο ἔπαθεν ἀριθμός, πλείων δὲ τάχα [I 401. 10 App.] (καὶ γὰρ ὁ ι̅β̅ καὶ ἄλλοι τινές), ἀλλὰ πυθμὴν αὐτῶν ὁ δέκα. καὶ πρῶτος τοῦτο ἔχων καὶ ἐλάχιστος τῶν ἐχόντων τέλος τι ἔχει, καὶ ἴδιόν πως αὐτοῦ τοῦτο γέγονε τὸ ἐν πρώτωι αὐτῶι ἴσους ἀσυνθέτους τε καὶ συνθέτους ὦφθαι, ἔχων τε τοῦτο ἔχει πάλιν 〈ἴσους〉 καὶ τοὺς πολλαπλασίους καὶ τοὺς ὑποπολλαπλασίους, ὧν εἰσι πολλαπλάσιοι˙ ἔχει μὲν γὰρ ὑποπολλαπλασίους τοὺς μέχρι πέντε, τοὺς δὲ ἀπὸ [I 401. 15 App.] τῶν ἓξ μέχρι τῶν δέκα [οἱ] πολλαπλασίους αὐτῶν˙ ἐπεὶ δὲ τὰ ζ̅ οὐδενός, ἐξαιρετέον˙ καὶ τὰ δ̅, ὡς πολλαπλάσια τοῦ β̅, ὥστε ἴσους εἶναι πάλιν [δεῖ]. ἔτι πάντες οἱ λόγοι ἐν τῶι ι̅, ὅ τε τοῦ ἴσου καὶ τοῦ μείζονος καὶ τοῦ ἐλάττονος καὶ τοῦ ἐπιμορίου καὶ τῶν λοιπῶν εἰδῶν ἐν αὐτῶι, καὶ οἱ γραμμικοὶ 〈καὶ〉 οἱ ἐπίπεδοι καὶ οἱ στερεοί. τὸ μὲν γὰρ α̅ στιγμή, τὰ δὲ β̅ γραμμή, τὰ δὲ γ̅ τρίγωνον, τὰ [I 401. 20] δὲ δ̅ πυραμίς˙ ταῦτα δὲ πάντα ἐστὶ πρῶτα καὶ ἀρχαὶ τῶν καθ' ἕκαστον ὁμογενῶν. καὶ ἀναλογιῶν δὲ πρώτη αὕτη ἐστὶν ἡ ἐν αὐτοῖς ὀφθεῖσα, ἡ τὸ ἴσον μὲν ὑπερέχουσα, τέλος δὲ ἔχουσα ἐν τοῖς δέκα. ἔν τε ἐπιπέδοις καὶ στερεοῖς πρῶτά ἐστι ταῦτα, στιγμή, γραμμή, τρίγωνον, πυραμίς˙ ἔχει δὲ ταῦτα τὸν τῶν δέκα ἀριθμὸν καὶ τέλος ἴσχει˙ τετρὰς μὲν γὰρ ἐν πυραμίδος γωνίαις ἢ βάσεσιν, ἑξὰς δὲ ἐν πλευραῖς, [I 401. 25 App.] ὥστε δέκα˙ τετρὰς δὲ πάλιν ἐν στιγμῆς καὶ γραμμῆς διαστήμασι καὶ πέρασιν, ἑξὰς δὲ ἐν τριγώνου πλευραῖς καὶ γωνίαις, ὥστε πάλιν δέκα. καὶ μὴν καὶ ἐν τοῖς σχήμασι κατ' ἀριθμὸν σκεπτομένωι συμβαίνει˙ πρῶτον γάρ ἐστι τρίγωνον τὸ ἰσόπλευρον, ὃ ἔχει μίαν πως γραμμὴν καὶ γωνίαν˙ λέγω δὲ μίαν, διότι ἴσας ἔχει˙ ἄσχιστον γὰρ ἀεὶ καὶ ἑνοειδὲς τὸ ἴσον˙ δεύτερον δὲ τὸ ἡμιτετράγωνον˙ [I 401. 30 App.] μίαν γὰρ ἔχον παραλλαγὴν γραμμῶν καὶ γωνιῶν ἐν δυάδι ὁρᾶται˙ τρίτον δὲ τὸ τοῦ ἰσοπλεύρου ἥμισυ τὸ καὶ ἡμιτρίγωνον˙ πάντως γὰρ ἄνισον καθ' ἕκαστον, τὸ δὲ πᾶν αὐτοῦ τρία ἐστί. καὶ ἐπὶ τῶν στερεῶν εὑρίσκοις ἂν ἄχρι τῶν τεττάρων προϊὸν τὸ τοιοῦτο, ὥστε δεκάδος καὶ οὕτως ψαύει˙ γίνεται γάρ πως ἡ μὲν πρώτη [I 402. 1 App.] πυραμὶς μίαν πως γραμμήν τε καὶ ἐπιφάνειαν ἐν ἰσότητι ἔχουσα, ἐπὶ τοῦ ἰσοπλεύρου ἱσταμένη˙ ἡ δὲ δευτέρα δύο, ἐπὶ τετράγωνον ἐγηγερμένη, μίαν παραλλαγὴν ἔχουσα παρὰ τῆς ἐπὶ τῆς βάσεως γωνίας, ὑπὸ τριῶν ἐπιπέδων περιεχομένη, τὴν κατὰ κορυφὴν ὑπὸ τεττάρων συγκλειομένη, ὥστε ἐκ τούτου δυάδι ἐοικέναι˙ ἡ δὲ τρίτη [I 402. 5 App.] τριάδι, ἐπὶ ἡμιτετραγώνου βεβηκυῖα καὶ σὺν τῆι ὀφθείσηι μιᾶι ὡς ἐν ἐπιπέδωι τῆι ἡμιτετραγώνωι ἔτι καὶ ἄλλην ἔχουσα διαφορὰν τὴν τῆς κορυφαίας γωνίας, ὥστε τριάδι ἂν ὁμοιοῖτο, πρὸς ὀρθὰς τὴν γωνίαν ἔχουσα τῆι τῆς βάσεως μέσηι πλευρᾶι˙ τετράδι δὲ ἡ τετάρτη κατὰ ταὐτά, ἐπὶ ἡμιτετραγώνωι βάσει συνισταμένη, ὥστε τέλος ἐν τοῖς δέκα λαμβάνειν τὰ λεχθέντα. τὰ αὐτὰ δὲ καὶ ἐν τῆι γενέσει˙ πρώτη [I 402. 10 App.] μὲν γὰρ ἀρχὴ εἰς μέγεθος στιγμή, δευτέρα γραμμή, τρίτη ἐπιφάνεια, τέταρτον στερεόν.' Vgl. THEOL. Ap. 81, 15 Πίστις γε μὴν καλεῖται [sc. ἡ δεκάς], ὅτι κατὰ τὸν Φιλόλαον δεκάδι καὶ τοῖς αὐτῆς μορίοις περὶ τῶν ὄντων οὐ παρέργως καταλαμβανομένοις πίστιν βεβαίαν ἔχομεν. διόπερ καὶ Μνήμη λέγοιτ' ἂν ἐκ τῶν αὐτῶν, [I 402. 15 App.] ἀφ' ὧν καὶ μονὰς Μνημοσύνη ὠνομάσθη. LAUR. LYD. de mens. I 15 ὀρθῶς οὖν αὐτὴν ὁ Φ. δεκάδα προσηγόρευσεν ὡς δεκτικὴν τοῦ ἀπείρου. Vgl. B 11.