58 B 22. ARISTOT. metaph. A 8. 989 b 29. I principi e gli elementi di cui si servono i filosofi che sono detti Pitagorici, sono assai lontani da quelli dei fisiologi. E la causa è in questo, che essi non li hanno presi dalle cose sensibili; gli enti matematici infatti, se si eccettuano quelli che riguardano l'astronomia, sono senza movimento. E tuttavia anche i Pitagorici discutono e si occupano di tutto quello che riguarda la natura; e parlano della generazione del cielo ed esaminano quello che avviene nelle sue parti e quali sono le sue vicende e quale la sua attività. E dei loro princìpi e delle loro cause si servono esclusivamente per condurre quest'indagine, come se si trovassero d'accordo con gli altri fisiologi nel pensare che ente è soltanto ciò che è percepibile e si trova entro quello ch'è chiamato cielo. Eppure le cause e i principi di cui parlano sono, come dicemmo, tali da permettere di salire anche agli enti che stanno più in alto; anzi meglio s'addicono a quest'indagine che a quella sulla natura. Invece essi non dicono da che possa aver origine il movimento quando ci siano soltanto il limite e l'illimitato e il pari e il dispari, o come possano esserci generazione e corruzione e le attività degli enti che si muovono nel cielo senza che ci siano movimento e mutamento. Inoltre, anche se si concedesse loro, o fosse dimostrato, che da questi princìpi sono le grandezze, come mai i corpi possono essere alcuni leggeri e altri pesanti? Perché, da quanto dicono e suppongono, è chiaro che essi, quando parlano dei corpi matematici, intendono parlare nello stesso tempo dei corpi sensibili (ed è per questo che nulla hanno detto del fuoco e della terra e degli altri corpi simili a questi, perché nulla essi hanno detto di appropriato sui corpi percepibili). E ancora: in che senso si deve intendere che il numero e le proprietà dei numeri sono causa delle cose che sono e si muovono nel cielo e sempre si sono mosse, pur non essendoci altro numero oltre quello onde è composto il cosmo? Se infatti, come essi dicono, in questa parte sono opinione e opportunità, e in un'altra, un po' più in alto o un po' più in basso, sono ingiustizia e separazione o mescolanza (e, per dimostrarlo, essi dicono che ciascuna di queste cose è numero e che in quei luoghi è già una certa quantità di grandezze composte di numeri, per il fatto che le qualità dei numeri che le costituiscono devono trovarsi in quei luoghi), forse questo numero (e cioè il numero in cui consiste ciascuna di esse) è il medesimo che è nel cielo, o è un altro numero che esiste oltre quello? [Cfr. ARISTOT. metaph. N 3. 1090 a 20.] 58 B 22. ARISTOT. metaph. A 8. 989 b 29 [I 456. 15 App.] οἱ μὲν οὖν ταῖς μὲν ἀρχαῖς καὶ τοῖς στοιχείοις ἐκτοπωτέροις χρῶνται τῶν φυσιολόγων (τὸ δ' αἴτιον ὅτι παρέλαβον αὐτὰς οὐκ ἐξ αἰσθητῶν˙ τὰ γὰρ μαθηματικὰ τῶν ὄντων ἄνευ κινήσεώς ἐστιν, ἔξω τῶν περὶ τὴν ἀστρολογίαν), διαλέγονται μέντοι καὶ πραγματεύονται περὶ φύσεως πάντα˙ γεννῶσί τε γὰρ τὸν οὐρανόν, καὶ περὶ τὰ [I 456. 20] τούτου μέρη καὶ τὰ πάθη καὶ τὰ ἔργα διατηροῦσι τὸ συμβαῖνον. καὶ τὰς ἀρχὰς καὶ τὰ αἴτια εἰς ταῦτα καταναλίσκουσιν, ὡς ὁμολογοῦντες τοῖς ἄλλοις φυσιολόγοις ὅτι τό γε ὂν τοῦτ' ἐστὶν ὅσον αἰσθητόν ἐστι καὶ περιείληφεν ὁ καλούμενος οὐρανός. τὰς δ' αἰτίας καὶ τὰς ἀρχάς, ὥσπερ εἴπομεν, ἱκανὰς λέγουσιν ἐπαναβῆναι καὶ ἐπὶ τὰ ἀνωτέρω τῶν ὄντων, καὶ μᾶλλον ἢ τοῖς περὶ φύσεως λόγοις ἁρμοττούσας. ἐκ [I 456. 25] τίνος μέντοι τρόπου κίνησις ἔσται πέρατος καὶ ἀπείρου μόνον ὑποκειμένων καὶ περιττοῦ καὶ ἀρτίου, οὐθὲν λέγουσιν, ἢ πῶς δυνατὸν ἄνευ κινήσεως καὶ μεταβολῆς γένεσιν εἶναι καὶ φθορὰν ἢ τὰ τῶν φερομένων ἔργα κατὰ τὸν οὐρανόν. ἔτι δὲ εἴτε δοίη τις αὐτοῖς ἐκ τούτων εἶναι τὸ μέγεθος εἴτε δειχθείη τοῦτο, ὅμως τίνα τρόπον ἔσται τὰ μὲν κοῦφα τὰ δὲ βάρος ἔχοντα τῶν σωμάτων; ἐξ ὧν γὰρ ὑποτίθενται [I 456. 30 App.] καὶ λέγουσιν, οὐθὲν μᾶλλον περὶ τῶν μαθηματικῶν λέγουσι σωμάτων ἢ περὶ τῶν αἰσθητῶν˙ διὸ περὶ πυρὸς ἢ γῆς ἢ τῶν ἄλλων τῶν τοιούτων σωμάτων οὐδ' ὁτιοῦν εἰρήκασιν, ἅτε οὐθὲν περὶ τῶν αἰσθητῶν οἶμαι λέγοντες ἴδιον. ἔτι δὲ πῶς δεῖ λαβεῖν αἴτια μὲν εἶναι τὰ τοῦ ἀριθμοῦ πάθη καὶ τὸν ἀριθμὸν τῶν κατὰ τὸν οὐρανὸν ὄντων καὶ γιγνομένων καὶ ἐξ ἀρχῆς καὶ νῦν, ἀριθμὸν δ' ἄλλον [I 456. 35 App.] μηθένα εἶναι παρὰ τὸν ἀριθμὸν τοῦτον ἐξ οὗ συνέστηκεν ὁ κόσμος; ὅταν γὰρ ἐν τωιδὶ μὲν τῶι μέρει δόξα καὶ 〈τόλμα, ἐν τωιδὶ δὲ καιρὸς αὐτοῖς ἦι, μικρὸν δὲ ἄνωθεν ἢ κάτωθεν ἀδικία καὶ κρίσις ἢ μίξις, ἀπόδειξιν δὲ λέγωσιν ὅτι τούτων ἓν ἕκαστον ἀριθμός ἐστι, συμβαίνει δὲ κατὰ τοῦτον τὸν τόπον ἤδη πλῆθος εἶναι τῶν συνισταμένων μεγεθῶν διὰ τὸ τὰ πάθη ταῦτα ἀκολουθεῖν τοῖς τόποις [I 456. 40] ἑκάστοις, πότερον οὗτος ὁ αὐτός ἐστιν ἀριθμὸς ὁ ἐν τῶι οὐρανῶι, ὃν δεῖ λαβεῖν ὅτι τούτων ἕκαστόν ἐστιν, ἢ παρὰ τοῦτον ἄλλος; Vgl. ARISTOT. metaph. N 3. 1090 a 20.