58 B 26. ARISTOT. metaph. N 3. 1091 a 13. Né ci può essere dubbio su questo, se i Pitagorici pensino che ci sia generazione. Perché dicono chiaramente che, una volta costituitosi l'uno, o da superfici o da colore o da seme o da altra cosa ancora, ché su questo sono incerti, subito dopo le parti dell'infinito più vicine all'uno furono attratte e limitate dal limite. Ma, dato che dicono della generazione e vogliono parlare della natura, la loro dottrina bisogna esaminarla quando si fanno ricerche sulla natura, e intanto, in questa ricerca, lasciarla da parte... Della generazione del dispari non parlano, perché, evidentemente, per essi la generazione è del pari. 58 B 26. ARISTOT. metaph. N 3. 1091 a 13 οἱ μὲν οὖν Πυθαγόρειοι πότερον οὐ ποιοῦσιν ἢ ποιοῦσι γένεσιν, οὐθὲν δεῖ διστάζειν˙ φανερῶς γὰρ λέγουσιν ὡς τοῦ ἑνὸς συσταθέντος, [I 457. 15 App.] εἴτ' ἐξ ἐπιπέδων εἴτ' ἐκ χροιᾶς εἴτ' ἐκ σπέρματος εἴτ' ἐξ ὧν ἀποροῦσιν εἰπεῖν, εὐθὺς τὸ ἔγγιστα τοῦ ἀπείρου ὅτι εἵλκετο καὶ ἐπεραίνετο ὑπὸ τοῦ πέρατος. ἀλλ' ἐπειδὴ κοσμοποιοῦσι καὶ φυσικῶς βούλονται λέγειν, δίκαιον αὐτοὺς ἐξετάζειν τῆι περὶ φύσεως, ἐκ δὲ τῆς νῦν ἀφεῖναι μεθόδου˙ ... τοῦ μὲν οὖν περιττοῦ γένεσιν οὔ φασιν, ὡς δῆλον ὅτι τοῦ ἀρτίου οὔσης γενέσεως.