B. FRAMMENTI

DELLA NATURA


70 B 1. CICER. ac. pr. II 23, 73 [dopo 68 B 165]. E questo Metrodoro di Chio, che ebbe per lui [Democrito] la massima ammirazione, al principio del suo libro intitolato Della natura scrive:

Io affermo che noi non sappiamo se sappiamo o ignoriamo qualche cosa; e che non sappiamo neppure se sappiamo o non sappiamo questa cosa stessa né assolutamente se esista qualche cosa o no.

EUSEB. praep. evang. XIV 19, 8 [dal suo compendio biografico]. Restano da esaminare insieme con questi anche coloro che seguono la strada opposta e che affermano doversi prestare in tutto fede alle sensazioni del corpo: tra questi troviamo Metrodoro di Chio e Protagora di Abdera. Metrodoro dunque dicono che fu scolaro di Democrito; e che pose come princìpi il pieno e il vuoto, dei quali l'uno rappresenta l'essere e l'altro il non essere. Scrisse appunto un libro Della natura, a cui diede questo esordio:

Nessuno di noi sa nulla e neppure questa cosa stessa, se sappiamo o non sappiamo, 〈né assolutamente se esista qualche cosa o no〉.

Il quale esordio fu fonte di cattive ispirazioni a Pirrone,8* Vissuto dopo questi tempi. Procedendo, poi, dice:

B. FRAGMENTE

ΜΗΤΡΟΔΟΡΟΥ ΠΕΡΙ ΦΥΣΕΩΣ
[II 233. 30]

70 B 1. CIC. Ac. pr. II 23, 73 [nach 68 B 165 II 177, 22] is qui hunc maxime est admiratus Chius Metrodorus initio libri qui est De natura "nego, inquit, scire nos sciamusne aliquid an nihil sciamus, ne id ipsum quidem nescire aut scire scire nos, nec omnino sitne aliquid an [II 234. 1] nihil sit". EUS. P. E.XIV 19, 8 [aus seinem biogr. Compendium] ἕπεται τούτοις [mit den Aristippeern] συνεξετάσαι καὶ τοὺς τὴν ἐναντίαν βαδίσαντας καὶ πάντα χρῆναι πιστεύειν ταῖς τοῦ σώματος αἰσθήσεσιν ὁρισαμένους, ὧν εἶναι Μητρόδωρον τὸν Χῖον καὶ Πρωταγόραν [II 234. 5 App.] τὸν Ἀβδηρίτην. τὸν μὲν οὖν Μητρόδωρον Δημοκρίτου ἔφασαν ἀκηκοέναι˙ ἀρχὰς δὲ ἀποφήνασθαι τὸ πλῆρες καὶ τὸ κενόν, ὧν τὸ μὲν ὄν, τὸ δὲ μὴ ὂν εἶναι. γράφων γέ τοι Περὶ φύσεως εἰσβολῆι ἐχρήσατο τοιαύτηι˙ 'οὐδεὶς ἡμῶν οὐδὲν οἶδεν οὐδ' αὐτὸ τοῦτο, πότερον οἴδαμεν ἢ οὐκ οἴδαμεν οὐδ' αὐτὸ τὸ μὴ [II 234. 10] εἰδέναι καὶ τὸ εἰδέναι οἴδαμεν (ὅτι ἔστιν) οὐδ' ὅλως πότερον ἔστι τι ἢ οὐκ ἔστιν'. ἥτις εἰσβολὴ κακὰς ἔδωκεν ἀφορμὰς τῶι μετὰ ταῦτα γενομένωι Πύρρωνι [vgl. 72 A 1. 2.]. προβὰς δέ φησιν ὅτι