28 A 28. SIMPLIC. phys. 115, 11. Il ragionamento di Parmenide, come informa Alessandro, è esposto da Teofrasto in questo modo nel primo libro della Storia della fisica [phys. opin. fr. 7; Dox. 483]:
Ciò che è altro dall'essere non è: ciò che non è non è nulla: dunque l'essere è uno.
Da Eudemo, in questo:
L'altro dall'essere non è; ma l'essere è detto univocamente: dunque l'essere è uno.
Se Eudemo ha scritto esattamente così in qualche altra parte, non saprei dire: nella Fisica [fr. 11 Spengel] dice di Parmenide queste parole, dalle quali forse è possibile ricavare la formula detta:
Non pare che Parmenide abbia dimostrato che uno è l'essere, neppure se gli si concede che l'essere si dice univocamente, ma solo [che è uno] ciò che si predica di ciascuna cosa nella categoria della sostanza: per esempio, degli uomini l'uomo.
Quando si diano le definizioni delle cose particolari, si vedrà che unico e identico è in tutte il concetto dell'essere, allo stesso modo come anche unico e identico è il concetto di animale negli animali. Ma a quel modo che, se tutte le cose fossero belle e non si potesse ritrovare nulla che non fosse bello, tutto certo sarebbe bello, ma con ciò il bello non sarebbe uno ma molti (sarà infatti bello tanto un colore, quanto un'occupazione, quanto un'altra cosa qualsiasi), - così anche tutte le cose saranno enti, ma non una sola né un'identica cosa: altro infatti è l'acqua, altro il fuoco. Non ci si deve meravigliare di Parmenide se ha seguito dei ragionamenti non degni di fede e si è lasciato ingannare da ciò che allora non era ancora in chiaro (nessuno infatti aveva ancora parlato né di πολλαχῶς, - fu il primo Platone a introdurre il δισσόν18* -, né di «per sé», e «per accidente»): e pare che da questo si sia fatto ingannare. Queste cose, e insieme la sillogistica, furono viste e studiate attraverso l'esperienza dei logoi e delle antilogie: infatti non avrebbe accolta la tesi se non gli fosse parsa logicamente necessaria. Ma gli antichi non conoscevano le leggi della rigorosa deduzione.
28 A 28. SIMPL. Phys. 115, 11 τὸν Παρμενίδου λόγον, ὡς ὁ Ἀλέξανδρος ἱστορεῖ, ὁ [I 222. 35] μὲν Θεόφραστος οὕτως ἐκτίθεται ἐν τῶι πρώτωι τῆς Φυσικῆς ἱστορίας [Phys. Op. 7. D. 483] 'τὸ παρὰ τὸ ὂν οὐκ ὄν˙ τὸ οὐκ ὂν οὐδέν˙ ἓν ἄρα τὸ ὄν', Εὔδημος δὲ οὕτως 'τὸ παρὰ τὸ ὂν οὐκ ὄν, ἀλλὰ καὶ μοναχῶς λέγεται τὸ ὄν˙ ἓν ἄρα τὸ ὄν". τοῦτο δὲ εἰ μὲν ἀλλαχοῦ που γέγραφεν οὕτως σαφῶς Εὔδημος, οὐκ ἔχω λέγειν˙ ἐν δὲ τοῖς Φυσικοῖς [fr. 11 Sp.] περὶ Παρμενίδου τάδε γράφει, ἐξ ὧν ἴσως [I 222. 40] συναγαγεῖν τὸ εἰρημένον δυνατόν˙ 'Π. δὲ οὐ φαίνεται δεικνύειν ὅτι ἓν τὸ ὄν, οὐδὲ εἴ τις αὐτῶι συγχωρήσειε μοναχῶς λέγεσθαι τὸ ὄν, εἰ μὴ τὸ ἐν τῶι τί κατηγορούμενον ἑκάστου ὥσπερ τῶν ἀνθρώπων ὁ ἄνθρωπος. καὶ ἀποδιδομένων τῶν λόγων καθ' ἕκαστον ἐνυπάρξει ὁ τοῦ ὄντος λόγος ἐν ἅπασιν εἷς καὶ ὁ αὐτὸς ὥσπερ καὶ ὁ τοῦ ζώιου ἐν τοῖς ζώιοις. ὥσπερ δὲ εἰ πάντα εἴη τὰ ὄντα καλὰ καὶ μηθὲν εἴη λαβεῖν [I 222. 45] ὃ οὐκ ἔστι καλόν, καλὰ μὲν ἔσται πάντα, οὐ μὴν ἕν γε τὸ καλὸν ἀλλὰ πολλὰ (τὸ μὲν [I 223. 1 App.] γὰρ χρῶμα καλὸν ἔσται τὸ δὲ ἐπιτήδευμα τὸ δὲ ὁτιδήποτε), οὕτω δὴ καὶ ὄντα μὲν πάντα ἔσται, ἀλλ' οὐχ ἓν οὐδὲ τὸ αὐτό˙ ἕτερον μὲν γὰρ τὸ ὕδωρ, ἄλλο δὲ τὸ πῦρ. Παρμενίδου μὲν οὖν 〈οὐκ ἂν〉 ἀγασθείη τις ἀναξιοπίστοις ἀκολουθήσαντος λόγοις καὶ ὑπὸ τοιούτων ἀπατηθέντος, ἃ οὔπω τότε διεσαφεῖτο (οὔτε γὰρ τὸ [I 223. 5 App.] πολλαχῶς ἔλεγεν οὐδείς, ἀλλὰ Πλάτων πρῶτος τὸ δισσὸν εἰσήγαγεν, οὔτε τὸ καθ' αὑτὸ καὶ κατὰ συμβεβηκός)˙ φαίνεταί τε ὑπὸ τούτων διαψευσθῆναι. ταῦτα δὲ ἐκ τῶν λόγων καὶ ἐκ τῶν ἀντιλογιῶν ἐθεωρήθη καὶ τὸ συλλογίζεσθαι˙ οὐ γὰρ συνεχωρεῖτο, εἰ μὴ φαίνοιτο ἀναγκαῖον. οἱ δὲ πρότερον ἀναποδείκτως ἀπεφαίνοντο'.