58 B 27. ARISTOT. metaph. N 6. 1092 b 26. Si potrebbe domandare in che consiste il bene che viene dai numeri, quando una mescolanza sia fatta in un numero o razionale o dispari. Ora non è affatto vero che l'idromele sia più giovevole alla salute quando è mescolato in modo da dare tre volte tre; ma forse, quando contiene acqua, e non importa in che rapporto, giova più che quando, puro, è esprimibile in un numero. Inoltre nei miscugli il rapporto è per addizione, non per moltiplicazione: per esempio, tre parti e due parti, e non tre volte due. Ché nelle moltiplicazioni i termini devono essere dello stesso genere; ad esempio, nella serie AB Γ divisore dev'essere A, nella serie Δ EZ dev'essere Δ ; in modo, insomma, che tutti i termini siano divisi dallo stesso termine. Non ci potrà pertanto essere un numero del fuoco come BE Γ Z e un numero dell'acqua come «due volte tre». 17* Che se poi ogni cosa partecipa del numero, allora molte cose saranno identiche, avendo questa e quella lo stesso numero. Si può dunque dire che la causa d'una cosa è il numero, e che per esso la cosa è? O non è oscuro tutto questo? Ad esempio, c'è un numero dei movimenti del sole, e ce n'è uno dei movimenti della luna, e uno della vita e dell'età di ciascun animale. Ora che cosa può impedire che alcuni di questi numeri siano quadrati, altri cubi e uguali, altri doppi? Nulla; e anzi tra questi numeri devono volgersi tutte le cose se partecipano per necessità del numero e c'è la possibilità che cose diverse cadano sotto lo stesso numero. Sicché se alcune cose hanno lo stesso numero, esse, avendo numero della stessa specie, saranno identiche tra loro: ad esempio, il sole e la luna potranno essere la stessa cosa. Ma perché poi i numeri devono essere cause? Sette sono le vocali, sette le corde che formano la scala musicale, sette le Pleiadi, in sette anni gli animali mettono i denti (alcuni sì e alcuni no), sette erano i guerrieri che assalirono Tebe. Ora, costoro furono sette o la Pleiade è formata di sette stelle, perché questo numero ha la natura che ha, o non piuttosto quelli furono sette perché sette erano le porte, e la Pleiade ha sette stelle, perché tante ne contiamo noi? Perché, per esempio, nell'Orsa, alcuni contano dodici stelle e altri di più. Dicono poi anche che le consonanti doppie Ξ Ψ Ζ sono accordi, e che sono tre perché tre sono gli accordi. E non pensano che potrebbero essere moltissime; basta, per esempio, usare un segno solo per Γ e Ρ. Se poi dicono così perché ciascuna di queste consonanti è doppia delle altre, e oltre ad esse non ci sono altre consonanti doppie, la ragione è che tre sono i luoghi onde escono le consonanti, e che alla consonante di ciascun posto s'aggiunge il sigma; per questa ragione, e non perché gli accordi sono tre, le consonanti doppie sono tre: infatti gli accordi sono più di tre, e le consonanti doppie non possono essere di più. Costoro sono appunto simili agli antichi interpreti d'Omero, i quali scorgevano le somiglianze piccole e trascuravano quelle grandi. Alcuni dicono che ci son molte altre somiglianze di tal modo: ad esempio, sono simili le corde di mezzo e il verso epico, perché quelle sono l'una di otto e l'altra di nove misure, questo di diciassette sillabe, nove nella destra e otto nella sinistra. E dicono che la distanza dall'A all'Ω è la stessa che è tra la nota più bassa e la nota più alta del flauto, il cui numero è lo stesso che esprime l'interezza del cielo: s'osservi però che di tali somiglianze nessuno farebbe fatica a trovarne altre, e a dirle poi esistenti nelle cose eterne in quanto sono anche nelle cose corruttibili. Ma le proprietà che si lodano o si condannano nei numeri, e in generale le proprietà degli enti matematici, se, quando sono considerate (come da alcuni sono considerate) cause della natura, sfuggono a chi considera i princìpi come diciamo noi (perché nessuna d'esse è causa in nessuno dei modi che abbiamo definito parlando dei princìpi), tuttavia mostrano talvolta che il bene esiste, e che nella serie delle cose belle stanno il dispari, il diritto, l'uguale [le potenze di alcuni numeri];18* (stanno insieme, infatti, le stagioni e un tal numero). E anche tutte le altre conclusioni che traggono dai teoremi matematici hanno questa possibilità. Perciò sembra che si tratti di coincidenze: perché accidenti ci sono, ma sono comuni a cose diverse; la qualità fondamentale è invece una per ciascuna categoria dell'ente, e le qualità fondamentali sono analoghe tra di loro: ad esempio, quello che è il diritto per la lunghezza, il piano è per la superficie, e forse il dispari per il numero, e il bianco per il colore. 58 B 27. ARISTOT. metaph. N 6. 1092 b 26 [I 457. 20] ἀπορήσειε δ' ἄν τις καὶ τί τὸ εὖ ἐστι τὸ ἀπὸ τῶν ἀριθμῶν τῶι ἐν ἀριθμῶι εἶναι τὴν μίξιν, ἢ ἐν εὐλογίστωι ἢ ἐν περιττῶι. νυνὶ γὰρ οὐθὲν ὑγιεινότερον τρὶς τρία ἂν ἧι τὸ μελίκρατον κεκραμένον, ἀλλὰ μᾶλλον ὠφελήσειεν ἂν ἐν οὐθενὶ λόγωι ὂν ὑδαρὲς δὲ ἢ ἐν ἀριθμῶι ἄκρατον ὄν, ἔτι οἱ λόγοι ἐν προσθέσει ἀριθμῶν εἰσιν οἱ τῶν μίξεων, οὐκ ἐν ἀριθμοῖς, οἷον τρία πρὸς [I 457. 25 App.] δύο, ἀλλ' οὐ τρὶς δύο. τὸ γὰρ αὐτὸ δεῖ γένος εἶναι ἐν ταῖς πολλαπλασιώσεσιν. ὥστε δεῖ μετρεῖσθαι τῶι τε Α τὸν στοῖχον ἐφ' οὗ ΑΒΓ καὶ τῶι Δ τὸν ΔΕΖ˙ ὥστε τῶι αὐτῶι πάντα. οὔκουν ἔσται πυρὸς ΒΕΓΖ, καὶ ὕδατος ἀριθμὸς δὶς τρία. εἰ δ' ἀνάγκη πάντα ἀριθμοῦ κοινωνεῖν, ἀνάγκη πολλὰ συμβαίνειν τὰ αὐτά, καὶ ἀριθμὸν τὸν αὐτὸν τῶιδε καὶ ἄλλωι. ἆρ' οὖν τοῦτ' αἴτιον καὶ διὰ τοῦτό ἐστι τὸ [I 457. 30] πρᾶγμα, ἢ ἄδηλον; οἷον ἔστι τις τῶν τοῦ ἡλίου φορῶν ἀριθμός, καὶ πάλιν τῶν τῆς σελήνης, καὶ τῶν ζώιων γε ἑκάστου τοῦ βίου καὶ ἡλικίας˙ τί οὖν κωλύει ἐνίους μὲν τούτων τετραγώνους εἶναι, ἐνίους δὲ κύβους καὶ ἴσους, τοὺς δὲ διπλασίους; οὐθὲν γὰρ κωλύει, ἀλλ' ἀνάγκη ἐν τούτοις στρέφεσθαι, εἰ ἀριθμοῦ πάντα ἐκοινώνει ἐνεδέχετό τε τὰ διαφέροντα ὑπὸ τὸν αὐτὸν ἀριθμὸν πίπτειν. ὥστ' εἴ τισιν [I 457. 35 App.] ὁ αὐτὸς ἀριθμὸς συνεβεβήκει, ταὐτὰ ἂν ἦν ἀλλήλοις ἐκεῖνα τὸ αὐτὸ εἶδος ἀριθμοῦ ἔχοντα, οἷον ἥλιος καὶ σελήνη τὰ αὐτά. ἀλλὰ διὰ τί αἴτια ταῦτα; ἑπτὰ μὲν φωνήεντα, ἑπτὰ δὲ χορδαὶ ἢ ἁρμονίαι, ἑπτὰ δὲ αἱ πλειάδες, ἐν ἑπτὰ δὲ ὀδόντας βάλλει (ἔνιά γε, ἔνια δ' οὔ), ἑπτὰ δὲ οἱ ἐπὶ Θήβας. ἆρ' οὖν, ὅτι τοιοσδὶ ὁ ἀριθμὸς πέφυκεν, διὰ τοῦτο ἢ ἐκεῖνοι ἐγένοντο ἑπτὰ ἢ ἡ πλειὰς ἑπτὰ ἀστέρων ἐστίν; [I 457. 40] ἢ οἱ μὲν διὰ τὰς πύλας ἢ ἄλλην τινὰ αἰτίαν, τὴν δὲ ἡμεῖς οὕτως ἀριθμοῦμεν; τὴν [I 458. 1 App.] δὲ ἄρκτον γε δώδεκα, οἱ δὲ πλείους. ἐπεὶ καὶ τὸ Ξ Ψ Ζ συμφωνίας φασὶν εἶναι καί, ὅτι ἐκεῖναι τρεῖς, καὶ ταῦτα τρία. ὅτι δὲ μυρία ἂν εἴη τοιαῦτα, οὐθὲν μέλει˙ τῶι γὰρ Γ καὶ Ρ εἴη ἂν ἓν σημεῖον. εἰ δ' ὅτι διπλάσιον τῶν ἄλλων ἕκαστον, ἄλλο δ' οὔ, αἴτιον δὴ ὅτι τριῶν ὄντων τόπων ἑνὶ ἐφ' ἑκάστου ἐπιφέρεται τὸ σίγμα, [I 458. 5 App.] διὰ τοῦτο τρία μόνον ἐστίν, ἀλλ' οὐχ ὅτι αἱ συμφωνίαι τρεῖς, ἐπεὶ πλείους γε αἱ συμφωνίαι˙ ἐνταῦθα δ' οὐκέτι δύναται. ὅμοιοι δὴ καὶ οὗτοι τοῖς ἀρχαίοις Ὁμηρικοῖς, οἳ μικρὰς ὁμοιότητας ὁρῶσι, μεγάλας δὲ παρορῶσιν. λέγουσι δέ τινες ὅτι πολλὰ τοιαῦτα, οἷον αἵ τε μέσαι ἡ μὲν ἐννέα ἡ δὲ ὀκτώ, καὶ τὸ ἔπος δεκαεπτά, ἰσάριθμον τούτοις˙ βαίνεται δ' ἐν μὲν τῶι δεξιῶι ἐννέα συλλαβαῖς, ἐν δὲ τῶι ἀριστερῶι [I 458. 10 App.] ὀκτώ. καὶ ὅτι ἴσον τὸ διάστημα ἔν τε τοῖς γράμμασιν ἀπὸ τοῦ Α πρὸς τὸ Ω, καὶ ἀπὸ τοῦ βόμβυκος ἐπὶ τὴν ὀξυτάτην [νεάτην] ἐν αὐλοῖς, ἧς [?] ὁ ἀριθμὸς ἴσος τῆι οὐλομελείαι τοῦ οὐρανοῦ. ὁρᾶν δὲ δεῖ, μὴ τοιαῦτα οὐθεὶς ἂν ἀπορήσειεν οὔτε λέγειν οὔθ' εὑρίσκειν ἐν τοῖς ἀιδίοις, ἐπεὶ καὶ ἐν τοῖς φθαρτοῖς. ἀλλ' αἱ ἐν τοῖς ἀριθμοῖς φύσεις αἱ ἐπαινούμεναι καὶ τὰ τούτοις ἐναντία καὶ ὅλως τὰ ἐν [I 458. 15] τοῖς μαθήμασιν, ὡς μὲν λέγουσί τινες καὶ αἴτια ποιοῦσι τῆς φύσεως, ἔοικεν οὕτωσί [I 459. 1 App.] γε σκοπουμένους διαφεύγειν˙ κατ' οὐθένα γὰρ τρόπον τῶν διωρισμένων περὶ τὰς ἀρχὰς οὐθὲν αὐτῶν αἴτιον. ἔστιν ὣς μέντοι ποιοῦσι φανερὸν ὅτι τὸ εὖ ὑπάρχει καὶ τῆς συστοιχίας ἐστὶ τῆς τοῦ καλοῦ τὸ περιττόν, τὸ εὐθύ, τὸ ἴσον [αἱ δυνάμεις ἐνίων ἀριθμῶν]˙ ἅμα γὰρ ὧραι καὶ ἀριθμὸς τοιοσδί. καὶ τἆλλα δὴ ὅσα συνάγουσιν [I 459. 5] ἐκ τῶν μαθηματικῶν θεωρημάτων πάντα ταύτην ἔχει τὴν δύναμιν. διὸ καὶ ἔοικε συμπτώμασιν˙ ἔστι γὰρ συμβεβηκότα μέν, ἀλλ' οἰκεῖα ἀλλήλοις πάντα, ἓν δὲ τὸ ἀνὰ λόγον˙ ἐν ἑκάστηι γὰρ τοῦ ὄντος κατηγορίαι ἐστὶ τὸ ἀνὰ λόγον, ὡς εὐθὺ ἐν μήκει, οὕτως ἐν πλάτει τὸ ὁμαλόν, ἴσως ἐν ἀριθμῶι τὸ περιττόν, ἐν δὲ χρόαι τὸ λευκόν.