DOTTRINA
21 A 28. ARISTOT. de M. X. G.22* cc. 3-4 p. 977 a sgg.
c. 3 (1) Egli dice, applicando l'argomento a dio, che è impossibile, se qualcosa è, che sia nato. Infatti è necessario che ciò che è nato sia nato o dal simile o dal dissimile: ora, né l'una né l'altra alternativa è possibile. Perché né si addice di più al simile di essere generato dal simile piuttosto che non generarlo (infatti delle cose che sono appunto uguali, identiche sono le proprietà e si comportano reciprocamente in modo uguale), né si può ammettere che il dissimile sia nato dal dissimile. (2) Se infatti il più forte nascesse dal più debole o il maggiore dal minore o il superiore dall'inferiore o all'inverso l'inferiore dal superiore, si avrebbe una nascita dell'essere dal non essere: il che è impossibile. Dio dunque per queste ragioni è eterno23*(3). Poi, se dio è, tra tutte le cose, la suprema, deve, egli dice, essere uno. Se infatti gli dèi fossero due o più, esso cesserebbe di essere fra tutto il supremo e ottimo. Infatti ciascuno dei molti, essendo dio, dovrebbe avere questi attributi nella stessa maniera; perché questo è essere dio e questa è la prerogativa di dio, dominare ma non essere dominato, ed essere, fra tutte le cose, la suprema. Per cui, in quanto non è il supremo, in tanto non è dio. (4) Posto dunque che gli dèi siano molti, se fossero per certi aspetti superiori e per altri inferiori gli uni agli altri, non sarebbero dèi: perché il divino ha la prerogativa intrinseca di non essere dominato. (5) Se poi fossero uguali, non avrebbero natura divina, perché dio deve essere il supremo: l'uguale invece non è né migliore né peggiore dell'uguale. Cosicché se dio è e se è una natura di tal genere, dio è uno solo. Infatti neppure potrebbe tutto ciò che volesse se fossero molti: dunque dio è uno solo. (6) Se poi è uno, è uguale in ogni sua parte, e vede e ode e ha gli altri sensi in ogni sua parte: se no, le parti di dio fra di loro dominerebbero e sarebbero dominate; il che è impossibile 24*.
(7) Questo dio che è uguale in ogni parte è sferico: infatti non può essere per un verso uguale e per l'altro no, ma per ogni verso. (8) Se è eterno e uno e omogeneo e sferico non può essere né infinito né limitato25*. Quanto al primo punto, è il non essere che è infinito: esso infatti non ha né principio né mezzo né fine né alcun'altra distinzione di parti: tale appunto è l'infinito; ma non è possibile che l'essere sia come il non essere. Quanto al secondo punto, c'è limitazione reciproca se c'è molteplicità. L'uno non può essere simile né al non essere né ai molti: infatti essendo uno non ha nulla con cui confinare. (9) Un tale uno quale egli dice essere il dio, né si muove né è immobile. Immobile è infatti il non essere, perché né altro può passare in lui, né lui in altro26*. Si muovono le cose che sono più d'una: l'una infatti deve muovere verso l'altra. Dunque, nulla può essere mosso verso il non essere: (10) infatti il non essere non è in alcun luogo; e se ci fosse movimento di una cosa verso l'altra, l'uno sarebbe più d'uno. Per questa ragione, dunque, si muove ciò che è due o più di uno, mentre è statico e immobile il nulla. (11) L'uno né sta immobile né si muove: non è infatti uguale né al non essere né ai molti. Per tutto ciò un dio che sia così come abbiamo detto, cioè eterno e uno, uguale e sferico, non può essere né infinito né limitato, né in stasi né in moto.
c. 4 (1) Prima di tutto, dunque, anche costui, come Melisso [30 A 5] suppone che ciò che nasce nasca dall'essere. Eppure che cosa impedisce che ciò che nasce non nasca né dal simile <né dal dissimile>, ma bensì dal non essere? Inoltre dio è ingenerato per nulla più che tutte le altre cose, se è vero che tutte le cose sono nate o dal simile o dal dissimile (che però è assurdo). Cosicché o non c'è nulla oltre dio o anche le altre se sono eterne. (2) Inoltre, egli considera dio come supremo, intendendo con ciò il più potente e il migliore. Non è questa l'opinione normale, ma invece che in molte cose gli dèi siano superiori gli uni agli altri. Dunque questa credenza sulla divinità egli non l'ha presa dal pensiero comune. (3) E che dio sia il supremo si dice che egli non lo intenda nel senso che la natura di dio sia tale riguardo ad altro, ma riguardo al suo proprio modo di essere, poiché in verità nel caso della relazione ad altro, nulla impedirebbe che egli fosse superiore non in grazia della sua propria bontà e forza, ma in grazia della debolezza degli altri. Nessuno vorrà dire che dio è supremo in questo senso, ma che il suo stesso modo d'essere è il migliore possibile, e che nulla gli manca per trovarsi e bene e bellamente: infatti a chi si trovi in questa situazione spetta anche insieme quell'attributo di supremo. (4) Nulla impedisce che tale sia la loro condizione pur essendo molti, tutti trovandosi nella migliore situazione possibile ed essendo superiori a tutte le altre cose, ma non a se stessi. (5) E ci sono, come pare, anche le altre cose. Dice infatti che dio è supremo: questo in relazione, necessariamente, ad altro. Poi, per la ragione che è uno, non è punto detto che debba vedere e udire in ogni sua parte: infatti, se anche egli, in una sua parte, non vede, non perciò vede peggio, ma non vede. Ma forse, che egli senta in ogni sua parte, non vuoi dire altro che questo, che così si troverebbe nella più felice condizione, quando fosse in ogni parte uguale. (6) Inoltre, perché dio, se è uguale, dovrebbe essere sferico e non potrebbe avere invece un'altra forma qualsiasi pur considerando che in ogni sua parte vede e in ogni sua parte domina? Infatti, come quando diciamo che la biacca è bianca in ogni sua parte, nient'altro vogliamo dire se non che la bianchezza imprime la sua propria tinta in tutte le sue parti, così qui che cosa impedisce che vede e ode e domina in tutte le sue parti si dica nel senso che, qualsiasi parte se ne prenda, esso avrà queste qualità? Come non è necessario per queste ragioni che la biacca sia sferica, così neppure è necessario che lo sia dio. (7) Inoltre, come è possibile che non sia né infinito né finito una volta che è corpo e ha grandezza? Infinito è precisamente ciò che non ha limite pur comportando un limite e il limite si verifica sempre nella grandezza e nella quantità e in tutto ciò che ha quantità; cosicché, se non ha limite, dal momento che è grandezza, deve essere infinito. (8) Ancora: dal momento che è sferico è necessario che abbia un limite: infatti ha degli estremi, se ha in sé un centro, là dove dista di più [dal centro]. Ma un centro lo ha, dato che è sferico: infatti sferico è ciò che ha uguale distanza dal centro agli estremi. (9) Che un corpo abbia degli estremi o dei limiti, la cosa è la stessa *** infatti se anche il non essere è infinito, perché non può essere infinito anche l'essere? Che cosa impedisce che qualcosa d'identico si predichi dell'essere e del non essere? ** [testo corrotto] ** ma l'uno e l'altro sono enunciabili e pensabili * e il non essere non è bianco. Dunque, o tutti gli esseri sono bianchi, perché non venga applicato uno stesso predicato all'essere e al non essere, oppure nulla impedisce, come credo, che alcuni degli esseri non siano bianchi. Così dunque essi accoglieranno anche l'altra negazione, cioè l'infinito, *** [testo corrotto] **. Cosicché anche l'essere o è infinito o limitato. (10) Certamente è anche strano l'attribuire al non essere l'infinità: infatti non tutto ciò che non ha limite noi lo diciamo infinito, così come non diremmo neppure disuguale ciò che non è uguale. (11) Ancora: perché dio, se è uno, non potrebbe avere limite, ben inteso non riguardo a un altro dio? E se dio è soltanto uno, anche le parti di dio saranno soltanto uno. (12) Inoltre, anche questo è strano, che, perché ai molti avviene di avere un limite gli uni verso gli altri, per questo l'uno non debba avere limite. Infatti molti attributi sono identici tanto per i molti quanto per l'uno, dal momento che anche l'essere è ad essi comune. Sarebbe certo strano che, dal momento che i molti sono, negassimo che dio è, allo scopo che in questo modo non sia simile a loro. (13) Inoltre, che cosa impedisce che sia limitato e abbia dei limiti, se è uno? Così anche Parmenide [28 B 8, 47] dice che essendo uno è «da ogni lato, simile alla massa di ben rotonda sfera, di ugual forza dal centro in tutte le direzioni». Infatti il limite è necessario che sia limite di qualche cosa, ma non già verso qualcosa, e neppure è necessario che ciò che ha un limite lo abbia verso qualche cosa, come a dire limitato verso l'infinito che lo affianca, ma bensì essere limitato è avere degli estremi, e avendo degli estremi non è necessario che li abbia verso qualche cosa. (14) Alcune cose dunque sono limitate e confinano con qualcosa, altre invece sono limitate sì ma non limitate verso qualche cosa. (15) Ancora: quell'immobilità dell'essere e del <non> essere, <bisogna dire che ritenere il non essere immobile> perché è l'essere che si muove, è strano come erano strane le affermazioni precedenti. E inoltre qualcuno potrebbe certo ritenere che non è la stessa cosa non muoversi ed essere immobile, ma che l'un termine è negazione del muoversi, come il non uguale, che può essere predicato del non essere, l'altro, cioè non si muove, si dice per il fatto di trovarsi attualmente in una condizione determinata, così come il disuguale, e si dice del contrario del muoversi cioè dell'essere in quiete, come in genere anche le altre negazioni con α privativa si dicono dei contrari. È giusto dire del non essere che non si muove, ma non gli appartiene l'essere in quiete. Allo stesso modo neppure lo essere immobile indica la stessa cosa dell'essere in quiete: invece Senofane lo adopera per indicare l'essere in quiete e dice che il non essere è in quiete perché non ha mutamento. (16) Certamente è strano, come abbiamo detto più sopra, dire che è sbagliato attribuire all'essere un predicato che attribuiamo al non essere, specialmente quando questo predicato sia una negazione, quale è anche il non muoversi e il non spostarsi. Infatti, come già è stato detto, molti sarebbero i termini a cui si negherebbe la possibilità di fungere da predicati degli enti. Neppure i molti infatti si potrebbero dire non uno, se appunto anche il non essere è non uno. (17) Inoltre, in certi casi * [testo corrotto] ** ... ; per esempio è necessario che ciò che è o quantità o grandezza sia o uguale o disuguale, e che ciò che è numero sia o pari o dispari; così certamente anche l'essere, se è corpo, è necessario che sia o in quiete o in moto. (18) Inoltre, se dio e l'uno non si muove per la ragione che sono i molti che si muovono gli uni verso gli altri, che cosa impedisce che anche dio si muova verso altro? Infatti Senofane non dice per nulla che c'è solo uno, ma che c'è un solo dio. (19) Ma, anche se fosse così, che cosa impedisce che, muovendosi le parti di dio le une verso le altre, dio venga a muoversi circolarmente? Infatti non potrà, come fa Zenone, dire che una tale unità è molteplicità, perché lui stesso afferma che dio è corpo, sia che chiami dio questo tutto o altra cosa qualsiasi; e infatti come potrebbe essere sferico se fosse incorporeo? (20) Inoltre soltanto se incorporeo potrebbe essere né in moto né in stasi, in quanto appunto non sarebbe in nessun luogo. Ma siccome è corpo, e lo abbiamo già detto, che cosa rende impossibile che egli sia in moto?
LEHRE

21 A 28. [ARIST.] de Melisso Xenophane Gorgia cc. 3. 4. ed. Bekker
p. 977a c. 3 (1) Ἀδύνατόν φησιν εἶναι, εἴ τι ἔστι, γενέσθαι, τοῦτο λέγων
[15] ἐπὶ τοῦ θεοῦ˙ ἀνάγκη γὰρ ἤτοι ἐξ ὁμοίου ἢ ἐξ ἀνομοίου γενέσθαι τὸ γενόμενον˙ δυνατὸν δὲ οὐδέτερον˙ οὔτε γὰρ ὅμοιον ὑφ' ὁμοίου προσήκειν τεκνωθῆναι μᾶλλον ἢ τεκνῶσαι (ταὐτὰ γὰρ ἅπαντα τοῖς γε ἴσοις καὶ ὁμοίως ὑπάρχειν πρὸς ἄλληλα) οὔτ' ἂν ἐξ ἀνομοίου τἀνόμοιον γενέσθαι. (2) εἰ γὰρ [20 App.] γίγνοιτο ἐξ ἀσθενεστέρου τὸ ἰσχυρότερον ἢ ἐξ ἐλάττονος τὸ μεῖζον ἢ ἐκ χείρονος τὸ κρεῖττον, ἢ τοὐναντίον τὰ χείρω ἐκ τῶν κρειττόνων, τὸ ὂν ἐξ οὐκ ὄντος ἂν γενέσθαι˙ ὅπερ ἀδύνατον. ἀίδιον μὲν οὖν διὰ ταῦτα εἶναι τὸν θεόν. (3) εἰ δ' ἔστιν ὁ θεὸς ἁπάντων κράτιστον, ἕνα φησὶν αὐτὸν προσήκειν εἶναι. εἰ γὰρ [25 App.] δύο ἢ πλείους εἶεν, οὐκ ἂν ἔτι κράτιστον καὶ βέλτιστον αὐτὸν εἶναι πάντων. ἕκαστος γὰρ ὢν θεὸς τῶν πολλῶν ὁμοίως ἂν τοιοῦτος εἴη. τοῦτο γὰρ θεὸν καὶ θεοῦ δύναμιν εἶναι, κρατεῖν, ἀλλὰ μὴ κρατεῖσθαι, καὶ πάντων κράτιστον εἶναι. ὥστε καθὸ μὴ κρείττων, κατὰ τοσοῦτον οὐκ εἶναι θεόν. (4) πλειόνων [30 App.] οὖν ὄντων, εἰ μὲν εἶεν τὰ μὲν ἀλλήλων κρείττους τὰ δὲ ἥττους, οὐκ ἂν εἶναι θεούς˙ πεφυκέναι γὰρ τὸ θεῖον μὴ κρατεῖσθαι. (5) ἴσων δὲ ὄντων, οὐκ ἂν ἔχειν θεοῦ φύσιν, ὃν δεῖν εἶναι κράτιστον˙ τὸ δὲ ἴσον οὔτε βέλτιον οὔτε χεῖρον εἶναι τοῦ ἴσου. ὥστ' εἴπερ εἴη τε καὶ τοιοῦτον εἴη θεός, ἕνα μόνον εἶναι τὸν [35 App.] θεόν. οὐδὲ γὰρ οὐδὲ πάντα δύνασθαι ἂν ἃ βούλοιτο [οὐ γὰρ ἂν δύνασθαι] πλειόνων ὄντων˙ ἕνα ἄρα εἶναι μόνον. (6) ἕνα δ' ὄντα ὅμοιον εἶναι πάντη, ὁρῶντα καὶ ἀκούοντα τάς τε ἄλλας αἰσθήσεις ἔχοντα πάντη˙ εἰ γὰρ μή, κρατεῖν ἂν καὶ κρατεῖσθαι ὑπ' ἀλλήλων τὰ μέρη θεοῦ [ὄντα], ὅπερ ἀδύνατον.
977b [1] (7) πάντη δ' ὅμοιον ὄντα σφαιροειδῆ εἶναι˙ οὐ γὰρ τῆ μὲν τῆ δ' οὐ τοιοῦτον εἶναι, ἀλλὰ πάντη. (8) ἀίδιον δὲ ὄντα καὶ ἕνα καὶ 〈ὅμοιον καὶ〉 σφαιροειδῆ οὔτε ἄπειρον οὔτε πεπεράνθαι. ἄπειρον μὲν 〈γὰρ〉 τὸ μὴ ὂν εἶναι˙ τοῦτο γὰρ οὔτε μέσον οὔτε ἀρχὴν καὶ τέλος οὔτ' [5 App.] ἄλλο οὐδὲν μέρος ἔχειν, τοιοῦτον δὲ εἶναι τὸ ἄπειρον˙ οἷον δὲ τὸ μὴ ὄν, οὐκ ἂν εἶναι τὸ ὄν˙ περαίνειν δὲ πρὸς ἄλληλα, εἰ πλείω εἴη. τὸ δὲ ἓν οὔτε τῶι οὐκ ὄντι οὔτε τοῖς πολλοῖς ὡμοιῶσθαι˙ ἓν γὰρ 〈ὂν〉 οὐκ ἔχειν, πρὸς ὅτι περανεῖ. (9) τὸ δὴ τοιοῦτον ἕν, ὃν τὸν θεὸν εἶναι λέγει, οὔτε κινεῖσθαι οὔτε ἀκίνητον [10 App.] εἶναι˙ ἀκίνητον μὲν γὰρ εἶναι τὸ μὴ ὄν˙ οὔτε γὰρ ἂν εἰς αὐτὸ ἕτερον οὔτ' ἐκεῖνο εἰς ἄλλο ἐλθεῖν. κινεῖσθαι δὲ τὰ πλείω ὄντα ἑνός˙ ἕτερον γὰρ εἰς ἕτερον δεῖν κινεῖσθαι. εἰς μὲν οὖν τὸ μὴ ὂν οὐδὲν ἂν κινηθῆναι. (10) τὸ γὰρ μὴ ὂν οὐδαμῆ εἶναι, εἰ δὲ εἰς ἄλληλα μεταβάλλοι, πλείω ἂν τὸ ἓν [15 App.] εἶναι ἑνός. διὰ ταῦτα δὴ κινεῖσθαι μὲν ἂν τὰ δύο ἢ πλείω ἑνός, ἠρεμεῖν δὲ καὶ ἀκίνητον εἶναι τὸ οὐδέν.
(11) τὸ δὲ ἓν οὔτε ἀτρεμεῖν οὔτε κινεῖσθαι˙ οὔτε γὰρ τῶι μὴ ὄντι οὔτε τοῖς πολλοῖς ὅμοιον εἶναι˙ κατὰ πάντα δὲ οὕτως ἔχοντα τὸν θεόν, ἀίδιόν τε καὶ ἕνα, ὅμοιόν τε καὶ σφαιροειδῆ ὄντα, οὔτε ἄπειρον
[20 App.] οὔτε πεπερασμένον οὔτε ἠρεμοῦντα οὔτε κινητὸν εἶναι.
c. 4 (1) Πρῶτον μὲν οὖν λαμβάνει τὸ γιγνόμενον καὶ οὗτος ἐξ ὄντος γίγνεσθαι, ὥσπερ ὁ Μέλισσος [30 A 5]. καίτοι τί κωλύει μήτ' ἐξ ὁμοίου 〈μήτ' ἐξ ἀνομοίου〉 τὸ γιγνόμενον γίγνεσθαι, ἀλλ' ἐκ μὴ ὄντος; ἔτι οὐδὲν μᾶλλον ὁ θεὸς ἀγένητος ἢ καὶ τἆλλα πάντα, εἴπερ
[25 App.] ἅπαντα ἐξ ὁμοίου ἢ ἐξ ἀνομοίου γέγονεν (ὅπερ ἀδύνατον). ὥστε ἢ οὐδέν ἐστι παρὰ τὸν θεὸν ἢ καὶ τὰ ἄλλα ἀίδια πάντα. (2) ἔτι κράτιστον τὸν θεὸν λαμβάνει, τοῦτο δυνατώτατον καὶ βέλτιστον λέγων˙ οὐ δοκεῖ δὲ τοῦτο κατὰ τὸν νόμον, ἀλλὰ πολλὰ κρείττους εἶναι ἀλλήλων οἱ θεοί. οὐκ οὖν ἐκ τοῦ δοκοῦντος [30 App.] εἴληφε ταύτην κατὰ τοῦ θεοῦ τὴν ὁμολογίαν. (3) τό τε κράτιστον εἶναι τὸν θεὸν οὐχ οὕτως ὑπολαμβάνειν λέγεται, ὡς πρὸς ἄλλο τι τοιαύτη ἡ τοῦ θεοῦ φύσις, ἀλλὰ πρὸς τὴν αὑτοῦ διάθεσιν, ἐπεὶ τοί γε πρὸς ἕτερον οὐδὲν ἂν κωλύοι μὴ τῆι αὑτοῦ ἐπιεικείαι καὶ ῥώμηι ὑπερέχειν, ἀλλὰ διὰ τὴν τῶν [35 App.] ἄλλων ἀσθένειαν. θέλοι δ' ἂν οὐδεὶς οὕτω τὸν θεὸν φάναι κράτιστον εἶναι, ἀλλ' ὅτι αὐτὸς ἔχει ὡς οἷόν τε ἄριστα, καὶ οὐδὲν ἐλλείπει καὶ εὖ καὶ καλῶς ἔχειν αὐτῶι˙ τἆλλα γὰρ ἴσως ἔχοντι κἀκεῖνο ἂν συμβαίνοι. (4) οὕτω δὲ διακεῖσθαι [39] καὶ πλείους αὐτοὺς ὄντας οὐδὲν ἂν κωλύοι, ἅπαντας ὡς 978a [1] οἷόν τε ἄριστα διακειμένους, καὶ κρατίστους τῶν ἄλλων, οὐχ αὑτῶν ὄντας. (5) ἔστι δ', ὡς ἔοικε, καὶ ἄλλα. κράτιστον γὰρ εἶναι τὸν θεόν φησι, τοῦτο δὲ τινῶν εἶναι ἀνάγκη˙ ἕνα τ' ὄντα πάντη ὁρᾶν καὶ ἀκούειν οὐδὲν προσήκει˙ οὐδὲ γὰρ εἰ μὴ καὶ [5] τῆδ' ὁρᾶι; χεῖρον ὁρᾶι ταύτη, ἀλλ' οὐχ ὁρᾶι. ἀλλ' ἴσως τοῦτο βούλεται τὸ πάντη αἰσθάνεσθαι, ὅτι οὕτως ἂν βέλτιστα ἔχοι, ὅμοιος ὢν πάντη. (6) ἔτι τοιοῦτος ὢν διὰ τί σφαιροειδὴς ἂν εἴη, ἀλλ' οὐχ [ὅτι] ἑτέραν τινὰ μᾶλλον ἔχων ἰδέαν, ὅτι πάντη ἀκούει καὶ πάντη κρατεῖ; ὥσπερ γὰρ ὅταν λέγωμεν τὸ [10] ψιμύθιον ὅτι πάντη ἐστὶ λευκόν, οὐδὲν ἄλλο σημαίνομεν ἢ ὅτι ἐν ἅπασιν αὐτοῦ τοῖς μέρεσιν ἐγκέχρωσται ἡ λευκότης˙ τί δὴ κωλύει οὕτως κἀκεῖ τὸ πάντη ὁρᾶν καὶ ἀκούειν καὶ κρατεῖν λέγεσθαι, ὅτι ἅπαν ὃ ἄν τις αὐτοῦ λαμβάνηι μέρος, τοῦτ' ἔσται πεπονθός; ὥσπερ δὲ οὐδὲ τὸ [15 App.] ψιμύθιον, οὐδὲ τὸν θεὸν ἀνάγκη εἶναι διὰ τοῦτο σφαιροειδῆ. (7) ἔτι μήτε ἄπειρον 〈εἶναι〉 μήτε πεπεράνθαι σῶμά γε ὄντα καὶ ἔχοντα μέγεθος πῶς οἷόν τε, εἴπερ τοῦτ' ἐστὶν ἄπειρον ὃ ἂν μὴ ἔχηι πέρας δεκτικὸν ὂν πέρατος, πέρας δ' ἐν μεγέθει καὶ πλήθει ἐγγίγνεται καὶ ἐν ἅπαντι τῶι ποσῶι, ὥστε εἰ μὴ ἔχει [20 App.] πέρας μέγεθος ὂν ἄπειρόν ἐστιν; (8) ἔτι δὲ σφαιροειδῆ ὄντα ἀνάγκη πέρας ἔχειν˙ ἔσχατα γὰρ ἔχει, εἴπερ μέσον ἔχει αὑτοῦ, οὗ πλεῖστον ἀπέχει. μέσον δὲ ἔχει σφαιροειδὴς ὤν˙ τοῦτο γάρ ἐστι σφαιροειδὲς ὃ ἐκ τοῦ μέσου ὁμοίως πρὸς τὰ ἔσχατα. (9) σῶμα δ' ἔσχατα ἢ πέρατα ἔχειν, οὐδὲν διαφέρει. * * * εἰ [25 App.] γὰρ καὶ τὸ μὴ ὂν ἄπειρόν ἐστι, τί οὐκ ἂν καὶ τὸ ὂν ἄπειρον; τί γὰρ κωλύει ἔνια ταὔτ' ἂν λεχθῆναι κατὰ τοῦ ὄντος καὶ μὴ ὄντος; τό τε γὰρ ὂν οὐκ ὂν οὐδεὶς νῦν αἰσθάνεται, καὶ ὂν δέ τις οὐκ ἂν αἰσθάνοιτο ἃ νῦν˙ ἄμφω δὲ λεκτὰ καὶ διανοητά * * * οὐ λευκόν τε τὸ μὴ ὄν˙ ἢ οὖν διὰ τοῦτο τὰ ὄντα πάντα λευκά, ὅπως [30 App.] μή τι ταὐτὸ κατὰ τοῦ ὄντος σημήνωμεν καὶ μὴ ὄντος, ἢ οὐδέν, οἶμαι, κωλύει καὶ τῶν ὄντων τι μὴ εἶναι λευκόν˙ οὕτω δὲ καὶ μᾶλλον ἂν ἀπόφασιν δέξαιτο [τὸ ἄπειρον], εἰ κατὰ τὸ πάλαι λεχθέν τι [μᾶλλον] παρὰ τὸ μὴ ἔχειν 〈πέρας〉 ἐστὶν ἄπειρον˙ ὥστε καὶ τὸ ὂν ἢ ἄπειρον ἢ πέρας ἔχον ἐστίν. (10) ἴσως δὲ [35 App.] ἄτοπον καὶ τὸ προσάπτειν τῶι μὴ ὄντι ἀπειρίαν˙ οὐ γὰρ πᾶν, εἰ μὴ ἔχει πέρας, ἄπειρον λέγομεν, ὥσπερ οὐδ' ἄνισον οὐκ ἂν φαῖμεν εἶναι τὸ μὴ ἴσον. (11) ἔ〈τι〉 τί οὐκ ἂν ἔχοι ὁ θεὸς πέρας εἷς ὤν, ἀλλ' οὐ πρὸς θεόν; εἰ δὲ ἓν μόνον ἐστὶν ὁ θεός, 〈ἓν〉 ἂν εἴη 978b [1 App.] μόνον καὶ τὰ τοῦ θεοῦ μέρη. (12) ἔτι καὶ τοῦτ' ἄτοπον, εἰ τοῖς πολλοῖς ξυμβέβηκεν πεπεράνθαι πρὸς ἄλληλα, διὰ τοῦτο τὸ ἓν μὴ ἔχειν πέρας. πολλὰ γὰρ τοῖς πολλοῖς καὶ τῶι ἑνὶ ὑπάρχει ταὐτά, ἐπεὶ καὶ τὸ εἶναι κοινὸν αὐτοῖς ἐστιν. [5] ἄτοπον οὖν ἴσως ἂν εἴη, εἰ διὰ τοῦτο μὴ φαῖμεν εἶναι τὸν θεόν, εἰ τὰ πολλὰ ἔστιν, ὅπως μὴ ὅμοιον ἔσται αὐτοῖς ταύτη.
(13) ἔτι τί κωλύει πεπεράνθαι καὶ ἔχειν πέρατα ἓν ὄντα τὸν θεόν; ὡς καὶ ὁ Παρμενίδης [28 B 8, 47] λέγει ἓν ὂν εἶναι αὐτὸν "πάντοθεν εὐκύκλου σφαίρας ἐναλίγκιον ὄγκωι, μεσσόθεν ἰσοπαλές".
[10] τὸ γὰρ πέρας τινὸς μὲν ἀνάγκη εἶναι, οὐ μέντοι πρός τί γε, οὐδὲ ἀνάγκη τὸ ἔχον πέρας πρός τι ἔχειν πέρας, ὡς πεπερασμένον πρὸς τὸ [μὴ] ἐφεξῆς ἄπειρον, ἀλλ' ἔστι τὸ πεπεράνθαι ἔσχατα ἔχειν, ἔσχατα δ' ἔχον οὐκ [14 App.] ἀνάγκη πρός τι ἔχειν. (14) ἐνίοις μὲν οὖν συμβαίνοι [14a App.] γ' ἂν καὶ πεπεράνθαι 〈καὶ〉 πρός τι συνάπτειν, τοῖς [14b] δὲ πεπεράνθαι μέν, μὴ μέντοι πρός τι πεπεράνθαι. [15 App.] (15) πάλιν περὶ τοῦ ἀκίνητον εἶναι τὸ ὂν καὶ τὸ 〈μὴ〉 ὄν [15a App.] 〈λεκτέον ὅτι τὸ ὑπολαμβάνειν ἀκίνητον εἶναι τὸ μὴ ἄν〉, [16 App.] ὅτι καὶ τὸ ὂν κινεῖται, ἴσως ὁμοίως τοῖς ἔμπροσθεν ἄτοπον. καὶ ἔτι˙ ἆρά γε οὐ ταὐτὸ ἄν τις ὑπολάβοι τὸ μὴ κινεῖσθαι [18 App.] καὶ τὸ ἀκίνητον εἶναι, ἀλλὰ τὸ μὲν ἀπόφασιν τοῦ κινεῖσθαι, ὥσπερ τὸ μὴ ἴσον, ὅπερ καὶ κατὰ τοῦ μὴ ὄντος εἰπεῖν [20 App.] ἀληθές, τὸ δὲ ἀκίνητον τῶι ἔχειν πως ἤδη λέγεσθαι, ὥσπερ τὸ ἄνισον, καὶ ἐπὶ τῶι ἐναντίωι τοῦ κινεῖσθαι, τῶι ἠρεμεῖν, ὡς καὶ σχεδὸν αἱ ἀπὸ τοῦ α̅ ἀποφάσεις ἐπὶ ἐναντίοις λέγονται; τὰ μὲν οὖν μὴ κινεῖσθαι ἀληθὲς ἐπὶ τοῦ μὴ ὄντος, τὸ δὲ ἠρεμεῖν οὐχ ὑπάρχει τῶι μὴ ὄντι. ὁμοίως δὲ οὐδὲ 〈τὸ〉 [25 App.] ἀκίνητον εἶναι σημαίνει ταὐτόν. ἀλλ' οὗτος ἐπὶ τῶι ἠρεμεῖν αὐτῶι χρῆται, καὶ φησὶ τὸ μὴ ὂν ἠρεμεῖν, ὅτι οὐκ ἔχει μετάβασιν. (16) ὅπερ τε καὶ ἐν τοῖς ἄνω εἴπομεν, ἄτοπον ἴσως, εἴ τι τῶι μὴ ὄντι προσάπτομεν, τοῦτο μὴ ἀληθὲς εἶναι κατὰ τοῦ ὄντος εἰπεῖν, ἄλλως τε κἂν ἀπόφασις ἧι τὸ λεχθέν, οἷον [30 App.] καὶ τὸ μὴ κινεῖσθαι μηδὲ μεταβαίνειν ἐστί. πολλὰ γὰρ ἄν, καθάπερ καὶ ἐλέχθη, ἀφαιροῖτο τῶν ὄντων κατηγορεῖν. οὐδὲ γὰρ ἂν πολλὰ ἀληθὲς εἰπεῖν εἴη μὴ ἕν, εἴπερ καὶ τὸ μὴ ὄν ἐστι μὴ ἕν.
(17) ἔτι ἐπ' ἐνίων τἀναντία ξυμβαίνειν δοκεῖ κατὰ τὰς αὐτὰς ἀποφάσεις˙ οἷον ἀνάγκη ἢ ἴσον
[35 App.] ἢ ἄνισον, ἄν τι πλῆθος ἢ μέγεθος ἦι, καὶ ἄρτιον ἢ περιττόν, ἂν ἀριθμὸς ἧι˙ ὁμοίως δ' ἴσως καὶ τὸ 〈ὂν ἢ〉 ἠρεμεῖν ἢ κινεῖσθαι ἀνάγκη, ἂν σῶμα ἦι˙ (18) ἔτι εἰ καὶ διὰ τοῦτο μὴ κινεῖται ὁ θεός τε καὶ τὸ ἕν, ὅτι τὰ πολλὰ κινεῖται τῶι 979a [1 App.] εἰς ἄλληλα ἰέναι, τί κωλύει καὶ τὸν θεὸν κινεῖσθαι εἰς ἄλλο; οὐδα〈μοῦ γὰρ λέγει〉 ὅτι 〈ἕν ἐστι〉 μόνον, ἀλλ' ὅτι εἷς μόνος θεός. (19) εἰ δὲ καὶ οὕτως, τί κωλύει εἰς ἄλληλα κινουμένων τῶν μερῶν τοῦ 〈θεοῦ〉 κύκλωι φέ〈ρεσθαι τὸν〉 θεόν; οὐ γὰρ δὴ τὸ τοιοῦτον ἕν, ὥσπερ ὁ Ζήνων, [5 App.] πολλὰ εἶναι φήσει. αὐτὸς γὰρ σῶμα λέγει εἶναι τὸν θεόν, εἴτε τόδε τὸ πᾶν εἴτε ὅ τι δήποτε αὐτὸ λέγων˙ ἀσωματος γὰρ ὢν πῶς ἂν σφαιροειδὴς εἴη; (20) ἔτι μόνως γ' ἂν οὕτως οὔτ' ἂν κινοῖτο οὔτ' ἂν ἠρεμοῖ μηδαμοῦ γε ὤν; ἐπεὶ δὲ σῶμά ἐστι, τί ἂν αὐτὸ κωλύοι κινεῖσθαι, ὡς ἐλέχθη;