58 B 28. ARISTOT. phys. Γ 4. 203 a 1. Tutti quelli che si sono occupati seriamente di tale ricerca, hanno discorso dell'infinito, e tutti l'hanno considerato un principio delle cose che sono. Alcuni, come i Pitagorici e Platone, credono che l'infinito sia principio per se stesso, non come attributo di altro, ma come sostanza esso medesimo: con questa differenza, che i Pitagorici pensano che sia nelle cose sensibili (ché non pensano al numero come a cosa separata), e che infinito sia anche ciò che è fuori del cielo, e Platone invece pensa che fuori non ci sia alcun corpo sensibile, e neanche le idee che non sono in nessun luogo, e che l'infinito sia nelle cose sensibili e nelle idee. Poi essi dicono che l'infinito è il pari: perché questo, accolto e limitato dal dispari, è quello che dà infinità alle cose. Una prova di questo si trova, per essi, in ciò che accade nei numeri: se si pongono i gnomoni intorno all'uno, e, separatamente, intorno al due, in questo caso l'aspetto della figura è sempre diverso, in quello sempre lo stesso. STOB. ecl. I pr. 10 p. 22, 16. Se si dispongono intorno all'uno i gnomoni dispari successivi, la figura che ne risulta è sempre un quadrato: se invece si dispongono nello stesso modo i gnomoni pari, le figure che ne risultano sono sempre di lati disuguali e diverse, e non quadrate: nessuna è uguale un ugual numero di volte. SIMPLIC. phys. 455, 20. Costoro [i Pitagorici] dicevano che il numero pari è infinito, perché ogni numero pari, come spiegano gli esegeti, si divide in parti uguali, e ciò che si divide in parti uguali è infinito per dicotomia, la divisione in parti uguali potendo procedere all'infinito: il dispari invece, aggiungendosi al pari, lo limita, impedendo la divisione in parti uguali. È chiaro che questa divisione, che procede all'infinito, la pensavano nelle grandezze, non nei numeri. 58 B 28. ARISTOT. phys. Γ 4. 203 α 1 [I 459. 10 App.] πάντες γὰρ οἱ δοκοῦντες ἀξιολόγως ἧφθαι τῆς τοιαύτης φιλοσοφίας πεποίηνται λόγον περὶ τοῦ ἀπείρου καὶ πάντες ὡς ἀρχήν τινα τιθέασι τῶν ὄντων, οἱ μὲν ὥσπερ Πυθαγόρειοι καὶ Πλάτων καθ' αὑτό, οὐχ ὡς συμβεβηκός τινι ἑτέρωι, ἀλλ' οὐσίαν αὐτὸ ὂν τὸ ἄπειρον. πλὴν οἱ μὲν Πυθαγόρειοι ἐν τοῖς αἰσθητοῖς (οὐ γὰρ χωριστὸν ποιοῦσιν τὸν ἀριθμόν), καὶ εἶναι τὸ ἔξω τοῦ [I 459. 15] οὐρανοῦ ἄπειρον ... καὶ οἱ μὲν τὸ ἄπειρον εἶναι τὸ ἄρτιον˙ τοῦτο γὰρ ἐναπολαμβανόμενον καὶ ὑπὸ τοῦ περιττοῦ περαινόμενον παρέχειν τοῖς οὖσι τὴν ἀπειρίαν˙ σημεῖον δ' εἶναι τούτου τὸ συμβαῖνον ἐπὶ τῶν ἀριθμῶν˙ περιτιθεμένων γὰρ τῶν γνωμόνων περὶ τὸ ἓν καὶ χωρὶς ὁτὲ μὲν ἄλλο ἀεὶ γίγνεσθαι τὸ εἶδος, ὁτὲ δὲ ἕν. Vgl. PLUT. (?) STOB. Ecl.. I pr. 10 p. 22, 16 W. τῆι μονάδι τῶν ἐφεξῆς [I 459. 20 App.] περισσῶν γνωμόνων περιτιθεμένων ὁ γινόμενος ἀεὶ τετράγωνός ἐστι˙ τῶν δὲ ἀρτίων ὁμοίως περιτιθεμένων ἑτερομήκεις καὶ ἄνισοι πάντες ἀποβαίνουσιν, ἴσος δὲ ἰσάκις οὐδείς. SIMPL. Phys. (z. d. St.) 455, 20 οὗτοι [die Pythagoreer] τὸ ἄπειρον τὸν ἄρτιον ἀριθμὸν ἔλεγον διὰ τὸ πᾶν μὲν ἄρτιον, ὥς φασιν οἱ ἐξηγηταί, εἰς ἴσα διαιρεῖσθαι, τὸ δὲ εἰς ἴσα διαιρούμενον ἄπειρον κατὰ τὴν διχοτομίαν˙ ἡ γὰρ [I 459. 25] εἰς ἴσα καὶ ἡμίση διαίρεσις ἐπ' ἄπειρον˙ τὸ δὲ περιττὸν προστεθὲν περαίνει αὐτό˙ κωλύει γὰρ αὐτοῦ τὴν εἰς τὰ ἴσα διαίρεσιν ... δῆλον ὅτι οὐκ ἐπ' ἀριθμῶν ἀλλ' ἐπὶ μεγεθῶν λαμβάνουσι τὴν ἐπ' ἄπειρον τομήν.