28 A 34. PLUTARCH. adv. Col. 13 p. 1114 D. Egli [Parmenide] non nega né l'una né l'altra natura23*, ma, assegnando a ciascuna quello che le compete, pone l'intelligibile nella specie dell'uno e dell'essere (essere, in quanto eterno e imperituro; uno, perché identico a se stesso e perché non accoglie differenziazioni), il sensibile nella specie disordinata e mossa. Di essi è anche possibile vedere il criterio [di verità]: «l'animo inconcusso della ben rotonda Verità» [B 1, 29] che coglie ciò che è intelligibile e nello stesso modo identicamente, «e le opinioni dei mortali nelle quali non risiede legittima credibilità» [B 1, 30] per il fatto che si aggira tra cose che accolgono ogni sorta di trasformazioni e stati e differenze24*. G SIMPLIC. phys. 38, 2025*. «Parmenide - dice [Alessandro] - disegnando una fisica secondo l'opinione dei molti e secondo i fenomeni, senza dire più né che l'essere è uno né che è ingenerato, pose come princìpi del divenire il fuoco e la terra, facendo fungere la terra da materia e il fuoco da causa efficiente; e chiama - dice [Alessandro] - il fuoco luce, la terra tenebra». Se Alessandro intende [le parole] «secondo l'opinione dei molti e secondo i fenomeni» così come vuole Parmenide quando chiama il sensibile δοξαστόν [= oggetto di opinione], va bene; ma se ritiene quei discorsi completamente falsi e se pensa che la luce o il fuoco siano detti causa efficiente, non è nel vero. / SIMPLIC. phys. 39, 10. Questo discorso lo chiama discorso di opinione e ingannevole, volendo dire con ciò non completamente falso, ma che trapassa dalla verità intelligibile a ciò che apparisce e sembra, cioè al sensibile26*. SIMPLIC. phys. 25, 15. Di coloro che dicono limitati i princìpi alcuni ne pongono due, come Parmenide, il quale, nella sezione della sua opera che concerne l'opinione, pone il fuoco e la terra o piuttosto la luce e la tenebra. 28 A 34. PLUTAR. adv. Colot. 13 p. 1114D [I 223. 25 App.] ὁ δ' [Parm.] ἀναιρεῖ μὲν οὐδετέραν φύσιν [sc. τῶν νοητῶν καὶ δοξαστῶν], ἑκατέραι δ' ἀποδιδοὺς τὸ προσῆκον εἰς μὲν τὴν τοῦ ἑνὸς καὶ ὄντος ἰδέαν τίθεται τὸ νοητόν, ὂν μὲν ὡς ἀίδιον καὶ ἄφθαρτον, ἓν δ' ὁμοιότητι πρὸς αὑτὸ καὶ τῶι μὴ δέχεσθαι διαφορὰν προσαγορεύσας, εἰς δὲ τὴν ἄτακτον καὶ φερομένην τὸ αἰσθητόν, ὧν καὶ κριτήριον ἰδεῖν ἔστιν 'ἠμὲν ... ἦτορ' [I 223. 30] [B 1, 29] τοῦ νοητοῦ καὶ κατὰ ταὐτὰ ἔχοντος ὡσαύτως ἁπτόμενον 'ἠδὲ ... ἀληθής' [B 1, 30] διὰ τὸ παντοδαπὰς μεταβολὰς καὶ πάθη καὶ ἀνομοιότητας δεχομένοις ὁμιλεῖν πράγμασι. G SIMPLIC. phys. 38, 20. ... λέγειν˙ "κατὰ δὲ τὴν τῶν πολλῶν δόξαν καὶ τὰ φαινόμενα, φησί, φυσιολογῶν, οὔτε ἓν λέγων ἔτι εἶναι τὸ ὂν οὔτε ἀγένητον, ἀρχὰς τῶν γινομένων ὑπέθετο πῦρ καὶ γῆν, τὴν μὲν γῆν ὡς ὕλην ὑποτιθεὶς τὸ δὲ πῦρ ὡς ποιητικὸν αἴτιον˙ καὶ ὀνομάζει, φησί, τὸ μὲν πῦρ φῶς, τὴν δὲ γῆν σκότος". καὶ εἰ μὲν κατὰ τὴν τῶν πολλῶν δόξαν καὶ τὰ φαινόμενα οὕτως ὁ Ἀλέξανδρος ἐξεδέξατο, ὡς ὁ Παρμενίδης βούλεται δοξαστὸν τὸ αἰσθητὸν καλῶν, εὖ ἂν ἔχοι˙ εἰ δὲ ψευδεῖς πάντῃ τοὺς λόγους οἴεται ἐκείνους καὶ εἰ ποιητικὸν αἴτιον τὸ φῶς ἢ τὸ πῦρ νομίζει λέγεσθαι, οὐ καλῶς οἴεται. / SIMPL. Phys. 39, 10 δοξαστὸν οὖν καὶ ἀπατηλὸν τοῦτον καλεῖ τὸν λόγον οὐχ ὡς ψευδῆ ἁπλῶς, ἀλλ' ὡς ἀπὸ τῆς νοητῆς ἀληθείας εἰς τὸ φαινόμενον καὶ δοκοῦν τὸ αἰσθητὸν ἐκπεπτωκότα. Ebend. SIMPL. Phys. 25, 15 καὶ τῶν [I 223. 35] πεπερασμένας [sc. ἀρχὰς λεγόντων] οἱ μὲν δύο, ὡς Π. ἐν τοῖς πρὸς δόξαν, πῦρ καὶ γῆν ἢ μᾶλλον φῶς καὶ σκότος.