28 A 37. AËT. II 7, 1 [Dox. 335; cfr. B 12]. Parmenide dice che ci sono delle corone concentriche disposte alternativamente, l'una costituita dal rado, l'altra dal denso; fra queste altre miste di luce e di tenebra. Ciò che tutte le avvolge a modo di muro è solido e al di sotto di esso vi è una corona ignea, e quello che sta più al centro è solido e 〈intorno ad esso〉 di nuovo vi è una corona ignea. Quella che tra le corone miste occupa la posizione più centrale è il 〈principio〉 e la 〈causa〉 del movimento e della generazione e la chiama anche dèmone che governa e che tiene le chiavi e Giustizia e Necessità27* [B 8, 30; 10, 6]. Dice che l'aria è secrezione della terra che la emana da sé a causa di una compressione più forte di lei; sono esalazioni del fuoco il sole e la via lattea [cfr. B 11, 2]; un misto dell'una e dell'altra, cioè dell'aria e del fuoco, è la luna. Occupando l'etere la sfera estrema, al di sotto di esso è posta quella sezione ignea che abbiamo chiamato cielo; al di sotto ancora, ciò che circonda la terra. CICER. de nat. d. I 11, 28. Poiché invero Parmenide immagina una vera e propria fantasticheria. Costruisce avvolgendolo di etere un cerchio di luce simile a una corona (lo chiama στεφάνην) che cinge il cielo, da lui chiamato dio. In esso non si può immaginare né figura divina né senso né le altre molte fantasticherie di tal 〈genere〉; come fa lui che congiunge a dio la Guerra e la Discordia e l'Amore [B 13] e altre cose di tal genere, le quali o per morbo o per sonno o per oblio o per vecchiezza svaniscono. Le stesse critiche valgono per gli astri e ora val la pena di lasciarle da parte in quanto le abbiamo già sollevate in altra sede. 28 A 37. AËT. II 7, 1 [D. 335; vgl. 28 B 12] Π. στεφάνας εἶναι περιπεπλεγμένας, ἐπαλλήλους, τὴν μὲν ἐκ τοῦ ἀραιοῦ, τὴν δὲ ἐκ τοῦ πυκνοῦ˙ μικτὰς δὲ ἄλλας ἐκ φωτὸς [I 224. 5 App.] καὶ σκότους μεταξὺ τούτων. καὶ τὸ περιέχον δὲ πάσας τείχους δίκην στερεὸν ὑπάρχειν, ὑφ' ὧι πυρώδης στεφάνη, καὶ τὸ μεσαίτατον πασῶν στερεόν, περὶ ὃ πάλιν πυρώδης [sc. στεφάνη]. τῶν δὲ συμμιγῶν τὴν μεσαιτάτην ἁπάσαις 〈ἀρχήν〉 τε καὶ 〈αἰτίαν〉 κινήσεως καὶ γενέσεως ὑπάρχειν, ἥντινα καὶ δαίμονα κυβερνῆτιν [vgl. B 12, 3] καὶ κληιδοῦχον [B 1, 14] ἐπονομάζει Δίκην τε καὶ Ἀνάγκην [B 8, 30; 10, 6]. [I 224. 10 App.] καὶ τῆς μὲν γῆς ἀπόκρισιν εἶναι τὸν ἀέρα διὰ τὴν βιαιοτέραν αὐτῆς ἐξατμισθέντα πίλησιν, τοῦ δὲ πυρὸς ἀναπνοὴν τὸν ἥλιον καὶ τὸν γαλαξίαν [vgl. B 11, 2] κύκλον. συμμιγῆ δ' ἐξ ἀμφοῖν εἶναι τὴν σελήνην, τοῦ τ' ἀέρος καὶ τοῦ πυρός. περιστάντος δ' ἀνωτάτω πάντων τοῦ αἰθέρος ὑπ' αὐτῶι τὸ πυρῶδες ὑποταγῆναι τοῦθ' ὅπερ κεκλήκαμεν οὐρανόν, ὑφ' ὧι ἤδη τὰ περίγεια. CIC. de nat. deor. I 11, 28 [I 224. 15 App.] nam P. quidem commenticium quiddam: coronae simile efficit (στεφάνην appellat), continentem ardorum <et> lucis orbem qui cingit caelum, quem appellat deum in quo neque figuram divinam neque sensum quisquam suspicari potest. multaque eiusdem <modi> monstra: quippe qui Bellum, qui Discordiam, qui Cupiditatem [B 13] ceteraque generis eiusdem [I 224. 20] ad deum revocat, quae vel morbo vel somno vel oblivione vel vetustate delentur; eademque de sideribus, quae reprehensa in alio iam in hoc omittantur.