68 A 38. SIMPLIC. phys. 28, 15 [dopo 67 A 8: da THEOPHR. phys. opin. fr. 8, come A 39 e 40, 2-4]. Analogamente, anche il suo [di Leucippo] discepolo Democrito di Abdera pose come princìpi il pieno e il vuoto, chiamando essere il primo e l'altro non essere: essi, infatti, considerando gli atomi come materia dei corpi, fanno derivare tutte le altre cose dalle differenze degli atomi stessi. Le differenze sono: misura, direzione, contatto reciproco, che è quanto dire forma, posizione e ordine. Essi ritengono infatti che per natura il simile è posto in movimento dal simile e che le cose congeneri sono portate le une verso le altre e che ciascuna delle forme, andando a disporsi in un altro complesso, produce un altro ordinamento; di modo che essi, partendo dall'ipotesi che i princìpi sono infiniti di numero, promettevano di spiegare in modo razionale le modificazioni e le sostanze e da che cosa e come si generano i corpi; perciò essi anche dicono che soltanto per coloro che considerano infiniti gli elementi tutto si svolge in modo conforme a ragione. Ed affermano che è infinito il numero delle forme negli atomi perché nulla possiede questa forma qui a maggior ragione di quest'altra [cfr. 67 A 8]: tale infatti è la causa che essi adducono della loro infinità. ARISTOT. de gen. et corr. A 9. 327 a 16. Noi vediamo lo stesso corpo, saldamente unito, presentarsi ora allo stato liquido, ora solidificato, senza che si sia verificata in esso separazione o riunione di parti, e senza che ciò si debba alla direzione o al contatto reciproco, come dice Democrito: perché il corpo da liquido si trasforma in solido senza spostamento interno e senza modificazione della sua struttura. 68 A 38. SIMPL. Phys. 28, 15 nach 67 A 8 [aus THEOPHR. Phys. Opin. fr. 8 wie A 39. 40, 2-4] παραπλησίως δὲ καὶ ὁ ἑταῖρος αὐτοῦ [Leukippos] Δ. ὁ [II 94. 5 App.] Ἀβδηρίτης ἀρχὰς ἔθετο τὸ πλῆρες καὶ τὸ κενόν, ὧν τὸ μὲν ὂν τὸ δὲ μὴ ὂν ἐκάλει˙ ὡς 〈γὰρ〉 ὕλην τοῖς οὖσι τὰς ἀτόμους ὑποτιθέντες τὰ λοιπὰ γεννῶσι ταῖς διαφοραῖς αὐτῶν. τρεῖς δέ εἰσιν αὗται, ῥυσμὸς τροπὴ διαθιγή, ταὐτὸν δὲ εἰπεῖν σχῆμα καὶ θέσις καὶ τάξις. πεφυκέναι γὰρ τὸ ὅμοιον ὑπὸ τοῦ ὁμοίου κινεῖσθαι καὶ φέρεσθαι τὰ συγγενῆ πρὸς ἄλληλα καὶ τῶν σχημάτων ἕκαστον εἰς ἑτέραν ἐγκοσμούμενον [II 94. 10] σύγκρισιν ἄλλην ποιεῖν διάθεσιν˙ ὥστε εὐλόγως ἀπείρων οὐσῶν τῶν ἀρχῶν πάντα τὰ πάθη καὶ τὰς οὐσίας ἀποδώσειν ἐπηγγέλλοντο, ὑφ' οὗ τέ τι γίνεται καὶ πῶς˙ διὸ καί φασι μόνοις τοῖς ἄπειρα ποιοῦσι τὰ στοιχεῖα πάντα συμβαίνειν κατὰ λόγον. καὶ τῶν ἐν ταῖς ἀτόμοις σχημάτων ἄπειρον τὸ πλῆθός φασι διὰ τὸ μηδὲν μᾶλλον τοιοῦτον ἢ τοιοῦτον εἶναι. ταύτην γὰρ αὐτοὶ τῆς ἀπειρίας [II 94. 15] αἰτίαν ἀποδιδόασι. ARISTOT. de gen. et corr. A 9. 327 a 16 ὁρῶμεν δὲ τὸ αὐτὸ σῶμα συνεχὲς ὂν ὁτὲ μὲν ὑγρὸν ὁτὲ δὲ πεπηγός, οὐ διαιρέσει καὶ συνθέσει τοῦτο παθὸν οὐδὲ τροπῆι καὶ διαθιγῆι, καθάπερ λέγει Δ.˙ οὔτε γὰρ μετατεθὲν οὔτε μεταβαλὸν τὴν φύσιν πεπηγὸς ἐξ ὑγροῦ γέγονεν.