28 A 46. THEOPHR. de sens. 1-3 [Dox. 499]. Sulla sensazione le molte opinioni generali si riducono a due: gli uni dicono che la sensazione avviene col simile, gli altri col contrario. Parmenide, Empedocle e Platone col simile, Anassagora coi suoi seguaci e Eraclito col contrario. (3) Parmenide in generale non ha determinato nulla, ma soltanto che, essendo due i princìpi, la conoscenza è secondo l'elemento prevalente. Infatti se aumenta il caldo o il freddo il pensiero diventa diverso, ed è migliore e più puro quello che ha luogo mediante il caldo; non solo, ma anche questo ha bisogno di una certa proporzione: «Quale - dice - di volta in volta... » [B 16]. Infatti identifica sentire e pensare, ragion per cui anche la memoria e l'oblio dipendono dal caldo e dal freddo e dalla loro mescolanza. Oltre a questo, se è possibile o no il pensare quando i due elementi entrano nella mescolanza nella stessa quantità, e quale stato sia questo, non ha determinato. Che egli ammetta come possibile la conoscenza anche col solo contrario del caldo, è chiaro da quel passo in cui dice che il cadavere non sente il caldo e la voce perché gli manca il caldo, ma sente invece il freddo e il silenzio e questa serie di contrari: così ogni essere indistintamente viene ad avere qualche conoscenza. In questo modo dunque egli sembra troncare con affermazioni le difficoltà che nascono dalla sua concezione. 28 A 46. THEOPHR. de sensu 1ff. (D. 499) περὶ δ' αἰσθήσεως αἱ μὲν πολλαὶ καὶ καθόλου δόξαι δύ' εἰσιν˙ οἱ μὲν γὰρ τῶι ὁμοίωι ποιοῦσιν, οἱ δὲ τῶι ἐναντίωι. Π. [I 226. 5] μὲν καὶ Ἐμπεδοκλῆς καὶ Πλάτων τῶι ὁμοίωι, οἱ δὲ περὶ Ἀναξαγόραν καὶ Ἡράκλειτον τῶι ἐναντίωι. (3) Π. μὲν γὰρ ὅλως οὐδὲν ἀφώρικεν ἀλλὰ μόνον, ὅτι δυοῖν ὄντοιν στοιχείοιν κατὰ τὸ ὑπερβάλλον ἐστὶν ἡ γνῶσις. ἐὰν γὰρ ὑπεραίρηι τὸ θερμὸν ἢ τὸ ψυχρόν, ἄλλην γίνεσθαι τὴν διάνοιαν, βελτίω δὲ καὶ καθαρωτέραν τὴν διὰ τὸ θερμόν˙ οὐ μὴν ἀλλὰ καὶ ταύτην δεῖσθαί τινος συμμετρίας˙ "ὡς γὰρ ἑκάστοτε, [I 226. 10 App.] φησίν, ἔχει ... νόημα" [B 16]. τὸ γὰρ αἰσθάνεσθαι καὶ τὸ φρονεῖν ὡς ταὐτὸ λέγει˙ διὸ καὶ τὴν μνήμην καὶ τὴν λήθην ἀπὸ τούτων γίνεσθαι διὰ τῆς κράσεως˙ ἂν δ' ἰσάζωσι τῆι μίξει, πότερον ἔσται φρονεῖν ἢ οὔ, καὶ τίς ἡ διάθεσις, οὐδὲν ἔτι διώρικεν. ὅτι δὲ καὶ τῶι ἐναντίωι καθ' αὑτὸ ποιεῖ τὴν αἴσθησιν, φανερὸν ἐν οἷς φησι τὸν νεκρὸν φωτὸς μὲν καὶ θερμοῦ καὶ φωνῆς οὐκ αἰσθάνεσθαι διὰ τὴν [I 226. 15 App.] ἔκλειψιν τοῦ πυρός, ψυχροῦ δὲ καὶ σιωπῆς καὶ τῶν ἐναντίων αἰσθάνεσθαι. καὶ ὅλως δὲ πᾶν τὸ ὂν ἔχειν τινὰ γνῶσιν. οὕτω μὲν οὖν αὐτὸς ἔοικεν ἀποτέμνεσθαι τῆι φάσει τὰ συμβαίνοντα δυσχερῆ διὰ τὴν ὑπόληψιν.