59 A 48. AËT. I 7, 5 [Dox. 299]. Anassagora dice che dapprincipio i corpi stavano immobili e l'intelletto di dio li pose in ordine e produsse la generazione di tutte le cose. AËT. I 7, 15 [Dox. 302]. Anassagora [definisce] dio l'intelletto, facitore del cosmo. Cfr. EURIP. fr. 1018. L'intelletto è dio in ciascuno di noi [cfr. pure Troad. 884, IAMBL. protr. 8 p. 48, 16].FILOD. de pie. c. 4 a p. 66 [Dox. 532]. [Anassagora dice] che è stato,7* è e sarà e che su tutti comanda ed ha dominio. E che l'intelletto ha posto in ordine tutte le cose che sono infinite e mescolate [cfr. B 12]. CICER. de nat. d. I 11, 26 [Dox. 532]. Quindi Anassagora, che apprese la dottrina da Anassimene, primo tra tutti volle che la disposizione e l'ordinamento di tutte le cose fosse preparato e compiuto dall'attività intelligente d'un intelletto infinito. Ma non s'accorse che non può aversi nessun movimento legato a sensazione e connesso con l'infinito né sensazione che la natura intera avverta senza riceverne l'impulso. Inoltre, se volle che codesto intelletto fosse una specie di essere animato, ci sarà qualcosa di più interno, da cui l'essere animato prenda nome. Ma che cosa è più interno dell'intelletto? Sia dunque circondato da un corpo esterno. Ma poiché ciò non si ammette, un intelletto puro e semplice, senza alcun'altra cosa con la quale possa avere sensazioni, sembra sottrarsi alla capacità di concepire della nostra intelligenza. 59 A 48. AËT. I 7, 5 (D. 299) ὁ δὲ Ἀ. φησίν, ὡς εἱστήκει κατ' ἀρχὰς τὰ σώματα, [II 19. 35 App.] νοῦς δὲ αὐτὰ διεκόσμησε θεοῦ καὶ τὰς γενέσεις τῶν ὅλων ἐποίησεν. AËT. I 7, 15 (D. 302) Ἀ. νοῦν κοσμοποιὸν τὸν θεόν. Vgl. EURIP. fr. 1018 ὁ νοῦς γὰρ ἡμῶν ἐστιν ἐν ἑκάστωι θεός. Troad. 884 [64 C 2]. IAMBL. Protr. 8 FILOD. de piet. c. 4 a p. 66 G. (D. 532) [θε]ὸν γεγονέναι τε καὶ εἶναι καὶ ἔσεσθαι καὶ πάντων ἄρχειν καὶ κρατεῖν. καὶ νοῦν ἄπειρα ὄντα [με]μειγμένα τὰ σύμπαντα [II 19. 40 App.] διακοσμῆσαι [vgl. B 12]. CIC. de nat. d. I 11, 26 (D. 532) inde A., qui accepit ab Anaximene disciplinam, primus omnium rerum discriptionem et modum mentis infinitae vi ac ratione dissignari et confici voluit in quo non vidit neque motum sensu iunctum et continentem infinito ullum esse posse [II 20. 1 App.] neque sensum omnino, quo non tota natura pulsa sentiret. deinde si mentem istam quasi animal aliquod esse voluit, erit aliquid interius ex quo illud animal nominetur. quid autem interius mente? cingatur igitur corpore externo. quod quoniam non placet, aperta simplexque mens nulla re adiuncta, qua [II 20. 5] sentire possit, fugere intellegentiae nostrae vim et rationem videtur.