59 A 69. [ARISTOT.] probl. 16, 8. 914 b 9. Dei fenomeni connessi con la clessidra, il motivo pare, in generale, sia quello che Anassagora ha indicato: l'aria in essa racchiusa è causa per cui non entra l'acqua quando è tappato il tubo. E tuttavia non è questa la sola causa, perché, se qualcuno immerge la clessidra trasversalmente nell'acqua, tappando il tubo, l'acqua entra. Per questo Anassagora non dimostra a sufficienza in che modo l'aria è causa. L'aria, come si è detto, è senza dubbio la causa: quando è compressa e si muove da sé, senza che le si faccia violenza, è portata naturalmente in linea retta, come gli altri elementi. Ma quando la clessidra è immersa trasversalmente nell'acqua, l'aria, impedita dall'acqua di andare in linea retta, fuoriesce attraverso i fori opposti a quelli che stanno in acqua e, uscita l'aria, entra l'acqua. Quando invece la clessidra è immersa diritta nell'acqua, l'aria, non potendo sfuggire in linea retta dal momento che la parte superiore è otturata, rimane intorno ai primi fori - e infatti non può per sua natura comprimersi in se stessa. Argomento che l'aria, quando non si muove, può respingere l'acqua è proprio quel che accade alla clessidra: se infatti uno, riempito d'acqua il ventre della clessidra e otturato il tubo, la capovolge col tubo in basso, l'acqua non si porta attraverso il tubo alla bocca, e quando si stappa la bocca, non corre subito attraverso il tubo, ma dopo un certo tempo, giacché non si trovava nella bocca stessa del tubo, ma ci viene portata più tardi, dopo che il tubo è stato aperto. Quando invece la clessidra è piena e in posizione verticale, aperto il tubo, subito l'acqua scorre attraverso il crivello, perché si trova a contatto del crivello mentre non lo era con la parte estrema del tubo.
Dunque l'acqua non entra nella clessidra per il motivo suddetto: esce poi, quando si apre il tubo, perché l'aria che vi si trova dentro muovendosi in su e in giù provoca una vigorosa espulsione dell'acqua che sta nella clessidra. L'acqua spinta in giù e correndo nella stessa direzione naturale fuoriesce, facendo violenza (915 a) all'aria che sta fuori della clessidra: quest'aria è anch'essa in movimento e per potenza è pari all'aria che spinge l'acqua da sopra ma poi, per l'opposizione dell'acqua, perde vigore nei confronti di quella che, correndo attraverso lo stretto tubo, si muove con più velocità e potenza e si abbatte sull'acqua. Che poi, chiuso il tubo, l'acqua non scorra più, ne è causa il fatto che l'acqua, entrando nella clessidra, spinge a forza l'aria da sé. Ne sono segni i soffi e i gorgogli che si producono nella clessidra. Quando l'acqua entra, spinta a forza si rovescia nel tubo e come piccoli cunei di legno innestati o un cuneo di bronzo compresso nella spaccatura, rimane ferma senza alcun altro sostegno, venga colpita dall'altra parte come fanno saltar via i cunei spezzati negli alberi. E ciò avviene quando si apre il tubo per le ragioni sopraddette. Dunque o è verosimile che l'acqua non scorra via per questi motivi o che fuoriesca, pur contrastandola l'aria che violentemente si agita. E il rumore dimostra che l'acqua è spinta in alto dall'aria come succede in molti casi. Ma essendo raccolta e tutt'unita in sé, l'acqua sta ferma sotto la pressione dell'aria, finché è tenuta indietro da essa. E se il primo strato dell'acqua sta fermo, lo stesso è per il resto, in quanto da quello dipende ed è con esso uno e tutt'unito.
59 A 69. [ARISTOT.] Probl. XVI 8. 914 b 9 τῶν περὶ τὴν κλεψύδραν συμβαινόντων τὸ μὲν ὅλον ἔοικεν εἶναι αἴτιον καθάπερ Ἀ. λέγει˙ ὁ γὰρ ἀήρ ἐστιν αἴτιος ἐναπολαμβανόμενος ἐν αὐτῆι τοῦ μὴ εἰσιέναι τὸ ὕδωρ ἐπιληφθέντος τοῦ αὐλοῦ, οὐ μὴν ἁπλῶς γε [II 22. 25 App.] αἴτιος˙ κἂν γάρ τις αὐτὴν πλαγίαν ἐνῆι εἰς τὸ ὕδωρ ἐπιλαβὼν τὸν αὐλόν, εἴσεισι τὸ ὕδωρ. διόπερ οὐ λέγεται ὑπ' αὐτοῦ ἱκανῶς, ἧι αἴτιόν ἐστιν. ἔστι δὲ αἴτιον μέν, καθάπερ εἴρηται, ὁ ἀήρ˙ οὗτος δὲ ὠθούμενός τε καὶ καθ' ἑαυτὸν φερόμενος καὶ μὴ βιαζόμενος [II 22. 30 App.] ἐπ' εὐθείας πέφυκε φέρεσθαι καθάπερ καὶ ἄλλα στοιχεῖα˙ πλαγίας μὲν οὖν βαφείσης τῆς κλεψύδρας διὰ τῶν ἐναντίων τοῖς ἐν τῶι ὕδατι τρυπημάτων ἐπ' εὐθείας μένων ὑπὸ τοῦ ὕδατος ἐξέρχεται, ὑποχωροῦντος δὲ αὐτοῦ τὸ ὕδωρ εἰσέρχεται˙ ὀρθῆς δὲ εἰς τὸ ὕδωρ βαφείσης τῆς κλεψύδρας οὐ δυνάμενος πρὸς ὀρθὴν ὑποχωρεῖν διὰ τὸ πεφράχθαι τὰ ἄνω μένει περὶ τὰ πρῶτα τρυπήματα. σάττεσθαι γὰρ εἰς αὑτὸν οὐ πέφυκεν. σημεῖον δ' ἐστὶ τοῦ εἴργειν δύνασθαι τὸ ὕδωρ ἀκινητίζοντα τὸν ἀέρα τὸ ἐπ' αὐτῆς γινόμενον τῆς κλεψύδρας. ἐὰν γάρ τις [II 22. 35] αὐτῆς αὐτὴν τὴν κωδύαν ἐμπλήσας ὕδατος ἐπιλαβὼν τὸν αὐλόν, καταστρέψηι ἐπὶ τὸν αὐλόν, οὐ φέρεται τὸ ὕδωρ διὰ τοῦ αὐλοῦ ἐπὶ στόμα. ἀνοιχθέντος δὲ τοῦ στόματος οὐκ εὐθὺς ἐκρεῖ κατὰ τὸν αὐλόν, ἀλλὰ μικροτέρωι ὕστερον ὡς οὐκ ὂν ἐπὶ τῶι στόματι τοῦ αὐλοῦ, ἀλλ' ὕστερον διὰ τούτου φερόμενον ἀνοιχθέντος. πλήρους τε καὶ ὀρθῆς οὔσης τῆς κλεψύδρας ἀνοιχθέντος τοῦ αὐλοῦ εὐθὺς ῥεῖ διὰ [II 22. 40] τοῦ ἠθμοῦ διὰ τὸ ἐκείνου μὲν ἅπτεσθαι, τῶν δὲ ἄκρων τοῦ αὐλοῦ μὴ ἅπτεσθαι. οὐκ εἰσέρχεται μὲν οὖν τὸ ὕδωρ εἰς τὴν κλεψύδραν διὰ τὴν προειρημένην αἰτίαν, [II 23. 1] ἐξέρχεται δὲ ἀνοιχθέντος τοῦ αὐλοῦ διὰ τὸ τὸν ἐν αὐτῶι ἀέρα κινούμενον ἄνω καὶ κάτω πολλὴν κένωσιν ποιεῖν τοῦ ἐν τῆι κλεψύδραι ὕδατος. ὠθούμενον δὲ κάτω καὶ αὐτὸ ῥέπον εἰς αὐτὸ εἰκότως ἐκρεῖ, βιαζόμενον τὸν ἐκτὸς τῆς (915 a) κλεψύδρας ἀέρα κινούμενόν τε καὶ ὄντα ἴσον τῆι δυνάμει τῶι ἐπωθοῦντι αὐτὸν [II 23. 5 App.] ἀέρι, τῆι δὲ ἀντερείσει ἀσθενέστερον ἐκείνου διὰ τὸ διὰ στενοῦ αὐτὸν τοῦ αὐλοῦ ῥέοντα θᾶττον καὶ σφοδρότερον ῥεῖν καὶ προσπίπτειν τῶι ὕδατι˙ τοῦ δὲ πωμασθέντος, τοῦ αὐλοῦ, μὴ συρρεῖν τὸ ὕδωρ αἴτιον, ὅτι τὸ ὕδωρ εἰσιὸν εἰς τὴν κλεψύδραν ἐξωθεῖ βίαι τὸν ἀέρα ἐξ αὐτῆς. σημεῖον δέ ἐστι τὸ γινόμενον ἐν ταύτηι πνεῦμα καὶ ἐρυγμός. εἰσιόντος δὲ τοῦ ὕδατος βίαι ὠθούμενος (näml. ὁ ἀὴρ) εἰσπίπτει [II 23. 10 App.] εἰς τὸν αὐλὸν αὐτῆς καθάπερ τὰ ἐμπιεστὰ ξύλα ἢ χαλκὸς τῆι διαιρέσει πιεζόμενος μένει ἄνευ παντὸς ἄλλου συνδέσμου, 〈ῥαιδίως δὲ ἐξάλλεται, ὅταν〉 ἐκκρουσθῆι ἐκ τοῦ ἐναντίου, καθάπερ τοὺς κατεαγότας ἐπιούρους ἐν τοῖς ξύλοις ἐκκρούουσιν. συμβαίνει δὲ τοῦτο ἀνοιχθέντος τοῦ αὐλοῦ γίνεσθαι διὰ τὰ προειρημένα. ἢ οὖν διὰ ταῦτα εἰκός ἐστιν αὐτὸν μὴ ἐκρεῖν, ἢ ἐξι<έναι κωλύ>όντος βιαίου ἀέρος καὶ πνευματουμένου. [II 23. 15] δηλοῖ δὲ ὁ ψόφος ἐπισπᾶσθαι τῷ πνεύματι τὸ ὕδωρ ἄνω, ὥσπερ ἐπὶ πολλῶν συμβαίνει γίνεσθαι. ἐπισπώμενον δὲ καὶ συνεχὲς ὂν αὑτῷ πᾶν τὸ ὕδωρ μένει πιεζούμενον ὑπὸ τοῦ ἀέρος, ἕως ἂν ἀπωσθῇ πάλιν ὑπ' αὐτοῦ. τῆς δὲ ἀρχῆς μενούσης, καὶ τὸ ἄλλο ἐξ αὐτῆς κρέμαται ὕδωρ ἓν καὶ συνεχές. Vgl. A 68 (II 24, 10). 115 und Emped. 31 B 100.