31 A 86. THEOPHR. de sens. 1.2 [Dox. 499 sgg]. Parmenide, Empedocle e Platone [sostengono che la sensazione si ha] ad opera del simile, mentre Anassagora ed Eraclito ad opera del contrario... (2) quanto a ciascuna delle sensazioni particolari, mentre tutti gli altri le trascurano quasi del tutto, Empedocle invece si sforza di ricondurre anche queste alla simiglianza.
7-24 [Dox. 500 sgg.]. Riguardo a tutte le sensazioni Empedocle fa affermazioni simili, e sostiene che la sensazione avviene in virtù dell'adattamento a quei pori che sono propri di ciascuna sensazione degli altri, perché si dà il caso che essi siano ora in certo modo troppo larghi, ora troppo stretti, cosicché ora vi è passaggio senza contatto, ora impossibilità completa di penetrazione. Egli cerca poi di dire anche quale sia la natura della vista; e afferma che il suo interno è fuoco [cfr. B 84. 85] e la sua parte esterna 〈acqua e〉32* terra e aria, attraverso le quali il fuoco, essendo sottile passa, come la luce nelle lanterne. I pori del fuoco e dell'acqua sono alternati, e noi possiamo distinguere il bianco mediante quelli del fuoco e il nero mediante quelli dell'acqua: vi è infatti un adattamento di ciascuna ai rispettivi pori. E anche i colori sono portati alla vista mediante questo effluvio [cfr. A 69 a].
(8) Gli occhi non sono tutti costituiti in modo eguale, 〈ma gli uni da elementi in proporzione uguale〉,33* altri invece da elementi in proporzione contraria, e in alcuni occhi il fuoco sta nel mezzo, in altri sta all'esterno; e questa è la ragione per cui alcuni esseri viventi vedono più acutamente alla luce del giorno, altri di notte: quanti infatti hanno una minore quantità di fuoco vedono più acutamente di giorno, perché la loro luce interna è compensata da quella dell'ambiente esterno; quanti invece hanno una quantità maggiore di fuoco vedono meglio di notte, perché anche per costoro il difetto [della luce esterna] risulta così compensato. Nei casi contrari, poi, ciascuno di questi si comporta 〈in modo contrario〉. 34* Vedono in modo confuso quelli ai quali il fuoco sovrabbonda: accresciuto, infatti, ulteriormente dalla luce del giorno, esso ostruisce e comprime i pori dell'acqua. Al contrario, per quelli in cui sovrabbonda l'acqua, la medesima cosa si verifica di notte: il fuoco è infatti compresso dall'acqua. 〈E questo avviene〉35* finché per gli uni l'acqua non sia dissolta dalla luce esterna, e per gli altri finché il fuoco non sia dissolto dall'aria. Nell'uno e nell'altro caso è infatti l'elemento contrario che produce il rimedio: la vista migliore, quella in cui si ha una perfetta mescolanza è quella che risulta conformata da entrambi gli elementi in eguale proporzione. Queste sono dunque, più o meno, le cose che dice intorno alla vista.
(9) L'udito si produce ad opera dei rumori interni: quando infatti 〈l'aria〉
36* è mossa dal suono, essa riecheggia dentro l'orecchio; l'orecchio infatti è, per così dire, un sonaglio che ripete i suoni in modo eguale e ad esso dà il nome di «germoglio carneo» [B 99; cfr. A 93]: ripercuote l'aria mossa contro le pareti solide e produce la risonanza. L'odorato invece si riproduce con la respirazione: per questo hanno l'odorato più sviluppato proprio quegli esseri viventi nei quali più intenso è il movimento della respirazione; l'odore, poi, emana soprattutto dai corpi sottili e leggeri. Riguardo al gusto e al tatto, egli non dà una definizione particolare per ciascuno, né come né perché si producono: eccetto che, per ciò che hanno di genericamente comune, la sensazione risulta da un armonizzarsi ai pori. Si prova piacere di cose simili, o nelle parti o nelle mescolanze, e dolore delle cose contrarie. Nello stesso senso egli parla anche della conoscenza e dell'ignoranza.
(10) La conoscenza infatti è del simile e l'ignoranza del dissimile, cosicché la stessa cosa, o strettamente analoga, sono la conoscenza e la sensazione. Dopo aver enumerato infatti i modi onde con ciascun elemento conosciamo ciascun elemento, alla fine aggiunge: « ... » [B 107]. Onde noi conosciamo soprattutto in virtù del sangue, perché nel sangue sono mescolati al massimo gli elementi delle parti.
(11) Coloro, dunque, nei quali la mescolanza è di particelle eguali e simili, non troppo distanti tra loro e neppure troppo piccole o troppo grandi, costoro sono quelli che conoscono di più e che hanno le sensazioni più acute; vengono poi coloro che, proporzionalmente, sono più vicini a questi, mentre coloro, nei quali la mescolanza ha caratteri opposti, sono i più ignoranti. Coloro le cui particelle elementari sono rare e sottili, sono inclini al languore e alla stanchezza. Quelli invece le cui particelle sono fitte e assai sminuzzate, per la conseguente rapidità del movimento del sangue, poche cose portano a termine, pur essendo impetuosi e pieni di iniziative. Coloro infine che hanno un'appropriata mescolanza di elementi in una parte del corpo, in questa risultano particolarmente abili ed esperti; per questo alcuni sono bravi retori ed altri bravi artigiani, appunto perché gli uni hanno un'opportuna mescolanza di elementi nella lingua e gli altri nelle mani: e lo stesso si dica per tutte le altre capacità.
(12) Queste dunque sono le opinioni di Empedocle riguardo alla sensazione e alla conoscenza; un primo dubbio, però, potrebbe nascere da ciò che egli dice, e cioè quale sia la differenza tra gli esseri forniti di anima e gli altri riguardo alla sensazione: anche negli esseri privi di anima, infatti, vi è un adattamento ai pori, e in generale egli fa risultare la mescolanza dalla simmetria dei pori. Onde l'olio e l'acqua non si mescolano [cfr. B 91], mentre si mescolano gli altri liquidi e le altre sostanze di cui Empedocle enumera le mescolanze appropriate. Cosicché tutte le cose saranno fornite di sensibilità e la stessa cosa saranno mescolanza, sensazione e accrescimento, poiché in ogni caso si ha simmetria di pori, se non intervenga qualche differenza.
(13) Un secondo dubbio potrebbe nascere a proposito degli stessi esseri forniti di anima, e cioè perché ha maggiore sensibilità il fuoco interno all'essere vivente di quello esterno, dal momento che vi è adattamento reciproco. In questo caso infatti vi è simmetria e omogeneità. Tuttavia è necessario che sussista una qualche differenza, se è vero che il fuoco interno non può riempire i pori, mentre li riempie il fuoco che viene dall'esterno; cosicché se l'omogeneità fosse assoluta e totale, non vi sarebbe sensazione. E infine un ultimo dubbio: i pori sono vuoti o pieni? Se sono vuoti, allora Empedocle contraddice se stesso, dal momento che nega, in generale, che vi sia il moto; se sono pieni, allora gli esseri viventi avrebbero sensazioni ininterrotte: è chiaro infatti, come dice, che vi si adatta l'elemento simile.
(14) Ed invero lo stesso dubbio potrebbe ancora sussistere se fosse possibile che gli elementi eterogenei avessero grandezze tali da adattarsi, soprattutto tenendo presente che può accadere, come egli dice, che gli occhi, la cui mescolanza degli elementi è asimmetrica, perdano la chiarezza della vista perché i pori sono ostruiti ora dal fuoco ora dall'aria. Se dunque può esservi simmetria anche tra elementi eterogenei ed i pori possono esserne riempiti, come e quando si produce la sensazione e dove questi elementi eterogenei si ritraggono? Bisogna infatti che si produca un certo trasferimento di parti, cosicché in ogni caso vi sono difficoltà: infatti è necessario che o s'introduca il vuoto, o che gli esseri viventi abbiano sensazioni ininterrotte di ogni cosa, o che vi sia adattamento ai pori anche di particelle eterogenee, senza che si produca sensazione né trasferimento appropriato per le particelle che producono sensazione.
(15) E ancora: se pure non vi fosse adattamento del simile, ma solo contatto, in ogni caso sarebbe del tutto ragionevole ammettere che si produca sensazione: da queste due condizioni egli infatti fa dipendere la conoscenza, la somiglianza ed il contatto; e per questo egli adopera il termine di «adattamento». In tal modo, se il minore viene a contatto con il maggiore, vi sarà sensazione. In generale, secondo Empedocle, non è da tener conto della omogeneità, ma solo la simmetria è sufficiente: per questo egli afferma che non vi è sensazione reciproca, perché, i pori non sono simmetrici; ma non determina, oltre a ciò, se il flusso sia simile o dissimile. Cosicché o la sensazione non avviene per omogeneità o non è alla asimmetria che è dovuta l'impossibilità della sensazione reciproca, ed è necessario che tutte le sensazioni e tutti i sensibili abbiano la stessa natura.
(16) Ma inadeguata è anche la spiegazione analoga del piacere e del dolore, quando cioè spiega che si gode del simile e si prova dolore del dissimile: « ... » [B 22, 6-7]. Essi [Empedocle e Anassagora, in base al § 17 ?] ritengono infatti che il piacere e il dolore siano sensazioni o conseguano a sensazioni, cosicché non in ogni caso risultano dal simile. Inoltre se sono le cose congeneri che producono piacere nel contatto, come egli dice, allora sarebbero soprattutto le cose della stessa natura a godere e a sentire: dalle stesse cose infatti egli fa risultare la sensazione e il piacere.

(17) Tuttavia spesse volte, nell'atto della sensazione, proviamo dolore e anzi, secondo Anassagora, non vi è in generale sensazione senza dolore. Altre osservazioni potrebbero farsi nei dettagli. Posto infatti che la conoscenza avviene per il simile e che l'occhio consiste di fuoco e del suo contrario, non c'è problema nella possibilità di conoscere il bianco e il nero mediante il simile, ma come si conoscono il grigio e gli altri colori misti? Non per mezzo dei pori del fuoco né di quelli dell'acqua, né di altri comuni, risultanti da entrambi; pur tuttavia noi vediamo i colori misti non meno di quelli semplici.
(18) Ed è strano anche ciò che egli sostiene, e cioè che alcuni esseri viventi vedono meglio di giorno e altri di notte. Infatti la minor quantità di fuoco è sopraffatta dalla quantità maggiore, onde avviene che non è possibile guardare dritto al sole e in generale ad una luce splendente. In conseguenza quegli occhi, in cui è minore la quantità di fuoco, dovrebbero vedere di meno di giorno. Inoltre, se è vero quel che egli dice, e cioè che il simile accresce e il contrario danneggia o ostacola, allora necessariamente dovrebbe succedere che tutti, minore o maggiore che sia la quantità del fuoco, vedano meglio il bianco di giorno e il nero di notte; e invece, salvo poche eccezioni, tutti gli esseri viventi vedono meglio tutte le cose di giorno. Ed è del tutto ragionevole supporre che questo dipenda per loro dal fuoco loro proprio, giacché alcuni sono, soprattutto di notte, fosforescenti in superficie.
(19) Inoltre quegli occhi, la cui mescolanza dei due elementi risulta di parti eguali, è necessario che ciascuno si accresca a sua volta; cosicché, se è la sovrabbondanza che impedisce all'uno o all'altro elemento di vedere, tutti gli occhi si troverebbero in una situazione analoga. Tuttavia è troppo difficile analizzare ora tutte le affezioni della vista; ma riguardo alle altre sensazioni, come potremo spiegarle mediante il simile? Il simile è infatti privo di determinazioni. Noi non percepiamo infatti il rumore con il rumore, l'odore con l'odore né le altre cose con quelle congeneri, ma piuttosto, per così dire, con i contrari; è necessario che gli organi di senso producano sensazione essendo essi stessi esenti da ogni affezione: se in effetti c'è un suono negli orecchi, un sapore nel gusto o un odore nell'odorato, tutti i sensi diventano più ottusi e tanto più quelli che sono pieni dei simili, a meno che non sia fatta un'ulteriore distinzione su questo punto.
(20) Per quanto poi concerne l'emanazione, anche se è accettabile per tutte le altre sensazioni (per quanto non sufficientemente esposta), non può essere facilmente condivisa per ciò che riguarda il tatto e il gusto. Come è sostenibile infatti che noi percepiamo con l'emanazione il ruvido e il liscio e che vi è adattamento ai pori? Del fuoco soltanto, tra tutti gli elementi, sembra che vi sia emanzione e di nessun altro. Inoltre, se il deperimento avviene attraverso l'emanazione (questo infatti è l'indizio più evidente di cui si serve), e se è vero anche che gli odori si producono per emanazione, allora dovrebbero più rapidamente deperire quei corpi che sono maggiormente odorosi; e invece si può dire che accada proprio il contrario. Infatti i più odorosi, tra i vegetali e gli altri corpi, sono quelli che durano di più. Consegue anche che nel periodo in cui prevale l'Amicizia non vi dovrebbe essere in generale sensazione, o dovrebbe esservi in minore misura per il fatto che gli elementi si raccolgono e che non vi è emanazione.
(21) Ma anche riguardo all'udito, quando egli afferma che si produce per i suoni interni, è strano che egli ritenga che ciò sia evidente a coloro che provano in qualche modo tale sensazione, assimilando il rumore interno a quello di un sonaglio: se infatti sentiamo i rumori esterni per mezzo di esso, questo rumore per mezzo di che cosa lo ascoltiamo? Questo è un punto che resta da esaminare. Strano è anche quello che ha detto riguardo all'odorato: in primo luogo non dà una spiegazione che valga per tutti i casi, giacché alcuni degli esseri viventi, che pure hanno odorato, non respirano. In secondo luogo è da ingenui affermare che maggiore è l'odorato in quelli che più respirano, perché questa condizione non è di alcun giovamento se l'organo del senso non è sano o ben aperto. A molti poi accade di aver delle lesioni e di non sentire assolutamente nulla. Oltre a ciò coloro che soffrono d'asma, che faticano, che dormono dovrebbero sentire gli odori più degli altri, perché inspirano una quantità maggiore d'aria: e invece accade proprio il contrario.
(22) E' dunque probabile che l'inspirazione, di per sé, non sia la causa dell'odorato, ma solo accidentalmente, come è testimoniato dall'esempio di altri esseri viventi e dalle affezioni di cui abbiamo parlato. Eppure egli conclude come se fosse questa la vera causa, quasi mettendo il suggello: « ... » [B 102]. E non è nemmeno vero che si avverte odore soprattutto delle cose leggere, ma anche queste devono avere odore. L'aria e il fuoco infatti sono le sostanze più leggere, ma non producono sensazione di odori.

(23) Nello stesso senso si potrebbero sollevare obbiezioni anche a proposito della conoscenza, dal momento che la fa risultare da fattori identici a quelli della sensazione. Tutte le cose infatti parteciperebbero della conoscenza. E nello stesso tempo è possibile che la sensazione si produca per una modificazione qualitativa e ad opera del simile? Il simile non è modificato dal simile. È altresì del tutto assurdo che la conoscenza avvenga per mezzo del sangue: molti degli esseri viventi, infatti, sono privi di sangue, e in coloro che ne sono forniti le parti che interessano le sensazioni sono le più povere di sangue. E inoltre anche le ossa ed i peli avrebbero sensazioni, poiché sono composti di tutti gli elementi. E la conseguenza è che la stessa cosa sarebbero il conoscere, il sentire, il godere, il provare dolore e l'ignorare: le due ultime cose hanno infatti, secondo Empedocle, come causa il dissimile; in modo che per l'ignoranza dovrebbe prodursi dolore e per la conoscenza piacere.
(24) Ma altrettanto incongruo è far risultare le capacità di ciascuno per mezzo della mescolanza del sangue nelle varie parti, come se la lingua fosse la causa dell'oratoria o le mani dell'abilità artigiana, e non avessero invece il ruolo di strumenti. Per cui più opportuno sarebbe dare come causa la forma, anziché la mescolanza del sangue, che è del tutto irragionevole; e così stanno le cose anche riguardo agli altri esseri viventi. Empedocle sembra dunque essere incorso in errore su molte questioni.
31 A 86. THEOPHRAST. de sensu 1ff. (D. 499ff.) Παρμενίδης μὲν καὶ Ἐ. καὶ Πλάτων τῶν ὁμοίωι [sc. ποιοῦσι τὴν αἴσθησιν], οἱ δὲ περὶ Ἀναξαγόραν καὶ Ἡράκλειτον τῶι ἐναντίωι ... (2) περὶ ἑκάστης δὲ τῶν κατὰ μέρος οἱ μὲν ἄλλοι σχεδὸν [I 301. 25 App.] ἀπολείπουσιν, Ἐ. δὲ πειρᾶται καὶ ταύτας ἀνάγειν εἰς τὴν ὁμοιότητα.
(D. 500) (7 ) Ἐ. δὲ περὶ ἁπασῶν ὁμοίως λέγει καί φησι τῶι ἐναρμόττειν εἰς τοὺς πόρους τοὺς ἑκάστης αἰσθάνεσθαι˙ διὸ καὶ οὐ δύνασθαι τὰ ἀλλήλων κρίνειν, ὅτι τῶν μὲν εὐρύτεροί πως, τῶν δὲ στενώτεροι τυγχάνουσιν οἱ πόροι πρὸς τὸ αἰσθητόν, ὡς τὰ μὲν οὐχ ἁπτόμενα διευτονεῖν τὰ δ' ὅλως εἰσελθεῖν οὐ δύνασθαι.
[I 301. 30 App.] πειρᾶται δὲ καὶ τὴν ὄψιν λέγειν, ποία τίς ἐστι˙ καί φησι τὸ μὲν ἐντὸς αὐτῆς εἶναι πῦρ [vgl. B 84. 85] τὸ δὲ περὶ αὐτὸ 〈ὕδωρ καὶ〉 γῆν καὶ ἀέρα δι' ὧν διιέναι λεπτὸν ὂν καθάπερ τὸ ἐν τοῖς λαμπτῆρσι φῶς. τοὺς δὲ πόρους ἐναλλὰξ κεῖσθαι τοῦ τε πυρὸς καὶ τοῦ ὕδατος, ὧν τοῖς μὲν τοῦ πυρὸς τὰ λευκά, τοῖς δὲ τοῦ ὕδατος τὰ μέλανα γνωρίζειν˙ ἐναρμόττειν γὰρ ἑκατέροις ἑκάτερα. φέρεσθαι δὲ τὰ χρώματα [I 301. 35 App.] πρὸς τὴν ὄψιν διὰ τὴν ἀπορροήν [vgl. A 69 a].
(8) συγκεῖσθαι δ' οὐχ ὁμοίως, 〈ἀλλὰ τὰς μὲν ἐκ τῶν ὁμοίων〉, τὰς δ' ἐκ τῶν ἀντικειμένων, καὶ ταῖς μὲν ἐν μέσωι, ταῖς δ' ἐκτὸς εἶναι τὸ πῦρ˙ διὸ καὶ τῶν ζώιων τὰ μὲν ἐν ἡμέραι, τὰ δὲ νύκτωρ μᾶλλον ὀξυωπεῖν˙ ὅσα μὲν πυρὸς ἔλαττον ἔχει,
[I 302. 1 App.] μεθ' ἡμέραν˙ ἐπανισοῦσθαι γὰρ αὐτοῖς τὸ ἐντὸς φῶς ὑπὸ τοῦ ἐκτός˙ ὅσα δὲ τοῦ ἐναντίου, νύκτωρ˙ ἐπαναπληροῦσθαι γὰρ καὶ τούτοις τὸ ἐνδεές˙ ἐν δὲ τοῖς ἐναντίοις 〈ἐναντίως〉 ἑκάτερον. ἀμβλυωπεῖν μὲν γὰρ καὶ οἷς ὑπερέχει τὸ πῦρ˙ ἐπαυξηθὲν 〈γὰρ〉 ἔτι μεθ' ἡμέραν ἐπιπλάττειν καὶ καταλαμβάνειν τοὺς τοῦ ὕδατος πόρους˙ [I 302. 5 App.] οἷς δὲ τὸ ὕδωρ, ταὐτὸ τοῦτο γίνεσθαι νύκτωρ˙ καταλαμβάνεσθαι γὰρ τὸ πῦρ ὑπὸ τοῦ ὕδατος. 〈γίγνεσθαι δὲ ταῦτα〉, ἕως ἂν τοῖς μὲν ὑπὸ τοῦ ἔξωθεν φωτὸς ἀποκριθῆι τὸ ὕδωρ, τοῖς δ' ὑπὸ τοῦ ἀέρος τὸ πῦρ. ἑκατέρων γὰρ ἴασιν εἶναι τὸ ἐναντίον. ἄριστα δὲ κεκρᾶσθαι καὶ βελτίστην εἶναι τὴν ἐξ ἀμφοῖν ἴσων συγκειμένην. καὶ περὶ μὲν ὄψεως σχεδὸν ταῦτα λέγει.
(9)
[I 302. 10 App.] τὴν δ' ἀκοὴν ἀπὸ τῶν ἔσωθεν γίνεσθαι ψόφων˙ ὅταν γὰρ 〈ὁ ἀὴρ〉 ὑπὸ τῆς φωνῆς κινηθῆι, ἠχεῖν ἐντός. ὥσπερ γὰρ εἶναι κώδωνα τῶν ἴσων [?] ἤχων τὴν ἀκοήν, ἣν προσαγορεύει σάρκινον ὄζον [B 99; vgl. A 93]˙ κινούμενον δὲ παίειν τὸν ἀέρα πρὸς τὰ στερεὰ καὶ ποιεῖν ἦχον. ὄσφρησιν δὲ γίνεσθαι τῆι ἀναπνοῆι. διὸ καὶ μάλιστα ὀσφραίνεσθαι τούτους, οἷς σφοδροτάτη τοῦ ἄσθματος ἡ κίνησις˙ [I 302. 15 App.] ὀσμὴν δὲ πλείστην ἀπὸ τῶν λεπτῶν καὶ τῶν κούφων ἀπορρεῖν. περὶ δὲ γεύσεως καὶ ἁφῆς οὐ διορίζεται καθ' ἑκατέραν οὔτε πῶς οὔτε δι' ἃ γίγνονται, πλὴν τὸ κοινὸν ὅτι τῶι ἐναρμόττειν τοῖς πόροις αἴσθησίς ἐστιν˙ ἥδεσθαι δὲ τοῖς ὁμοίοις κατά τε 〈τὰ〉 μόρια καὶ τὴν κρᾶσιν, λυπεῖσθαι δὲ τοῖς ἐναντίοις.
ὡσαύτως δὲ λέγει καὶ περὶ φρονήσεως καὶ ἀγνοίας. (10) τὸ μὲν γὰρ φρονεῖν
[I 302. 20 App.] εἶναι τοῖς ὁμοίοις, τὸ δ' ἀγνοεῖν τοῖς ἀνομοίοις, ὡς ἢ ταὐτὸν ἢ παραπλήσιον ὂν τῆι αἰσθήσει τὴν φρόνησιν. διαριθμησάμενος γάρ, ὡς ἕκαστον ἑκάστωι γνωρίζομεν, ἐπὶ τέλει προσέθηκεν ὡς 'ἐκ τούτων ... ἀνιῶνται' [B 107]. διὸ καὶ τῶι αἵματι μάλιστα φρονεῖν˙ ἐν τούτωι γὰρ μάλιστα κεκρᾶσθαι [ἐστὶ] τὰ στοιχεῖα τῶν μερῶν.
(11)
[I 302. 25] ὅσοις μὲν οὖν ἴσα καὶ παραπλήσια μέμεικται καὶ μὴ διὰ πολλοῦ μηδ' αὖ μικρὰ μηδ' ὑπερβάλλοντα τῶι μεγέθει, τούτους φρονιμωτάτους εἶναι καὶ κατὰ τὰς αἰσθήσεις ἀκριβεστάτους, κατὰ λόγον δὲ καὶ τοὺς ἐγγυτάτω τούτων, ὅσοις δ' ἐναντίως, ἀφρονεστάτους. καὶ ὧν μὲν μανὰ καὶ ἀραιὰ κεῖται τὰ στοιχεῖα, νωθροὺς καὶ ἐπιπόνους˙ ὧν δὲ πυκνὰ καὶ κατὰ μικρὰ τεθραυσμένα, τοὺς δὲ τοιούτους ὀξεῖς [I 302. 30 App.] φερομένους καὶ πολλὰ ἐπιβαλλομένους ὀλίγα ἐπιτελεῖν διὰ τὴν ὀξύτητα τῆς τοῦ [I 303. 1] αἵματος φορᾶς˙ οἷς δὲ καθ' ἕν τι μόριον ἡ μέση κρᾶσίς ἐστι, ταύτηι σοφοὺς ἑκάστους εἶναι˙ διὸ τοὺς μὲν ῥήτορας ἀγαθούς, τοὺς δὲ τεχνίτας, ὡς τοῖς μὲν ἐν ταῖς χερσί, τοῖς δὲ ἐν τῆι γλώττηι τὴν κρᾶσιν οὖσαν˙ ὁμοίως δ' ἔχειν καὶ κατὰ τὰς ἄλλας δυνάμεις.
(12)
[I 303. 5 App.] Ἐ. μὲν οὖν οὕτως οἴεται καὶ τὴν αἴσθησιν γίνεσθαι καὶ τὸ φρονεῖν, ἀπορήσειε δ' ἄν τις ἐξ ὧν λέγει πρῶτον μέν, τί διοίσει τὰ ἔμψυχα πρὸς τὸ αἰσθάνεσθαι τῶν ἄλλων. ἐναρμόττει γὰρ καὶ τοῖς τῶν ἀψύχων πόροις˙ ὅλως γὰρ ποιεῖ τὴν μίξιν τῆι συμμετρίαι τῶν πόρων˙ διόπερ ἔλαιον μὲν καὶ ὕδωρ οὐ μείγνυσθαι [vgl. B 91], τὰ δὲ ἄλλα ὑγρὰ καὶ περὶ ὅσων δὴ καταριθμεῖται τὰς ἰδίας κράσεις. ὥστε [I 303. 10] πάντα τε αἰσθήσεται καὶ ταὐτὸν ἔσται μίξις καὶ αἴσθησις καὶ αὔξησις˙ πάντα γὰρ ποιεῖ τῆι συμμετρίαι τῶν πόρων, ἐὰν μὴ προσθῆι τινα διαφοράν.
(13) ἔπειτα ἐν αὐτοῖς τοῖς ἐμψύχοις τί μᾶλλον αἰσθήσεται τὸ ἐν τῶι ζώιωι πῦρ ἢ τὸ ἐκτός, εἴπερ ἐναρμόττουσιν ἀλλήλοις; ὑπάρχει γὰρ καὶ ἡ συμμετρία καὶ τὸ ὅμοιον. ἔτι δὲ ἀνάγκη διαφοράν τινα ἔχειν, εἴπερ αὐτὸ μὲν μὴ δύναται συμπληροῦν
[I 303. 15] τοὺς πόρους, τὸ δ' ἔξωθεν ἐπεισιόν˙ ὥστ' εἰ ὅμοιον ἦν πάντηι καὶ πάντως, οὐκ ἂν ἦν αἴσθησις. ἔτι δὲ πότερον οἱ πόροι κενοὶ ἢ πλήρεις; εἰ μὲν γὰρ κενοί, συμβαίνει διαφωνεῖν ἑαυτῶι˙ φησὶ γὰρ ὅλως οὐκ εἶναι κενόν˙ εἰ δὲ πλήρεις, ἀεὶ ἂν αἰσθάνοιτο τὰ ζῶια˙ δῆλον γὰρ ὡς ἐναρμόττει, καθάπερ φησί, τὸ ὅμοιον.
(14) καίτοι κἂν αὐτὸ τοῦτό τις διαπορήσειεν, εἰ δυνατόν ἐστι τηλικαῦτα μεγέθη
[I 303. 20 App.] γενέσθαι τῶν ἑτερογενῶν, ὥστ' ἐναρμόττειν, ἄλλως τε κἂν συμβαίνηι, καθάπερ φησί, τὰς ὄψεις ὧν ἀσύμμετρος ἡ κρᾶσις ὁτὲ μὲν ὑπὸ τοῦ πυρός, ὁτὲ δὲ ὑπὸ τοῦ ἀέρος ἐμπλαττομένων τῶν πόρων ἀμαυροῦσθαι. εἰ δ' οὖν ἐστι καὶ τούτων συμμετρία καὶ πλήρεις οἱ πόροι τῶν μὴ συγγενῶν, πῶς, ὅταν αἰσθάνηται, καὶ ποῦ ταῦτα ὑπεξέρχεται; δεῖ γάρ τινα ἀποδοῦναι μεταβολήν. ὥστε πάντως ἔχει δυσκολίαν˙ [I 303. 25 App.] ἢ γὰρ κενὸν ἀνάγκη ποιεῖν, ἢ ἀεὶ τὰ ζῶια αἰσθάνεσθαι πάντων, ἢ τὸ μὴ συγγενὲς ἁρμόττειν οὐ ποιοῦν αἴσθησιν οὐδ' ἔχον μεταβολὴν οἰκείαν τοῖς ἐμποιοῦσιν.
(15) ἔτι δέ, εἰ καὶ μὴ ἐναρμόττοι τὸ ὅμοιον, ἀλλὰ μόνον ἅπτοιτο, καθ' ὁτιοῦν εὔλογον αἴσθησιν γίνεσθαι˙ δυοῖν γὰρ τούτοιν ἀποδίδωσι τὴν γνῶσιν τῶι τε ὁμοίωι
[I 303. 30 App.] καὶ τῆι ἁφῆι˙ διὸ καὶ τὸ 'ἁρμόττειν' εἴρηκεν. ὥστ' εἰ τὸ ἔλαττον ἅψαιτο τῶν μειζόνων, εἴη ἂν αἴσθησις. ὅλως τε κατά γε ἐκεῖνον ἀφαιρεῖται καὶ τὸ ὅμοιον, ἀλλὰ ἡ συμμετρία μόνον ἱκανόν. διὰ τοῦτο γὰρ οὐκ αἰσθάνεσθαί φησιν ἀλλήλων, ὅτι τοὺς πόρους ἀσυμμέτρους ἔχουσιν˙ εἰ δ' ὅμοιον ἢ ἀνόμοιον τὸ ἀπορρέον, οὐδὲν ἔτι προσαφώρισεν ὥστε ἢ οὐ τῶι ὁμοίωι ἡ αἴσθησις ἢ οὐ διά τινα ἀσυμμετρίαν [I 303. 35 App.] οὐ κρίνουσιν, ἁπάσας 〈τ'〉 ἀνάγκη τὰς αἰσθήσεις καὶ πάντα τὰ αἰσθητὰ τὴν αὐτὴν ἔχειν φύσιν.
(16) ἀλλὰ μὴν οὐδὲ τὴν ἡδονὴν καὶ λύπην ὁμολογουμένως ἀποδίδωσιν ἥδεσθαι μὲν ποιῶν τοῖς ὁμοίοις, λυπεῖσθαι δὲ τοῖς ἐναντίοις˙ 'ἐχθρὰ' γὰρ εἶναι, διότι 'πλεῖστον . . . ἐκμακτοῖσιν' [B 22, 6-7]. αἰσθήσεις γάρ τινας ἢ μετ' αἰσθήσεως
[I 303. 40 App.] ποιοῦσι [Empedokles un Anaxagoras nach § 17 ?] τὴν ἡδονὴν καὶ τὴν λύπην, ὥστε οὐχ ἅπασι γίνεται τοῖς ὁμοίοις. ἔτι εἰ τὰ συγγενῆ μάλιστα ποιεῖ τὴν [I 304. 1 App.] ἡδονὴν ἐν τῆι ἁφῆι, καθάπερ φησί, τὰ σύμφυτα μάλιστ' ἂν ἥδοιτο καὶ ὅλως αἰσθάνοιτο˙ διὰ τῶν αὐτῶν γὰρ ποιεῖ τὴν αἴσθησιν καὶ τὴν ἡδονήν. (17) καίτοι πολλάκις αἰσθανόμενοι λυπούμεθα κατ' αὐτὴν τὴν αἴσθησιν, ὡς 〈δ'〉 Ἀναξαγόρας φησίν, ἀεί˙ πᾶσαν γὰρ αἴσθησιν εἶναι μετὰ λύπης. ἔτι δ' ἐν ταῖς κατὰ μέρος˙ συμβαίνει [I 304. 5 App.] γὰρ τῶι ὁμοίωι γίνεσθαι τὴν γνῶσιν˙ τὴν γὰρ ὄψιν ὅταν ἐκ πυρὸς καὶ τοῦ ἐναντίου συστήσηι, τὸ μὲν λευκὸν καὶ τὸ μέλαν δύναιτ' ἂν τοῖς ὁμοίοις γνωρίζειν, τὸ δὲ φαιὸν καὶ τἆλλα χρώματα τὰ μεικτὰ πῶς; οὔτε γὰρ τοῖς τοῦ πυρὸς οὔτε τοῖς τοῦ ὕδατος πόροις οὔτ' ἄλλοις ποιεῖ κοινοῖς ἐξ ἀμφοῖν˙ ὁρῶμεν δ' οὐδὲν ἧττον ταῦτα τῶν ἁπλῶν.
(18)
[I 304. 10 App.] ἀτόπως δὲ καὶ ὅτι τὰ μὲν ἡμέρας, τὰ δὲ νύκτωρ μᾶλλον ὁρᾶι. τὸ γὰρ ἔλαττον πῦρ ὑπὸ τοῦ πλείονος φθείρεται, διὸ καὶ πρὸς τὸν ἥλιον καὶ ὅλως τὸ καθαρὸν οὐ δυνάμεθ' ἀντιβλέπειν. ὥστε ὅσοις ἐνδεέστερον τὸ φῶς, ἧττον ἐχρῆν ὁρᾶν μεθ' ἡμέραν˙ ἢ εἴπερ τὸ ὅμοιον συναύξει, καθάπερ φησί, τὸ δὲ ἐναντίον φθείρει καὶ κωλύει, τὰ μὲν λευκὰ μᾶλλον ἐχρῆν ὁρᾶν ἅπαντας μεθ' ἡμέραν [I 304. 15 App.] καὶ ὅσοις ἔλαττον καὶ ὅσοις πλεῖον τὸ φῶς, τὰ δὲ μέλανα νύκτωρ. νῦν δὲ πάντες ἅπαντα μεθ' ἡμέραν μᾶλλον ὁρῶσι πλὴν ὀλίγων ζώιων. τούτοις δ' εὔλογον τοῦτ' ἰσχύειν τὸ οἰκεῖον πῦρ, ὥσπερ ἔνια καὶ τῆι χρόαι διαλάμπει μᾶλλον τῆς νυκτός.
(19) ἔτι δ' οἷς ἡ κρᾶσις ἐξ ἴσων, ἀνάγκη συναύξεσθαι κατὰ μέρος ἑκάτερον˙ ὥστ' εἰ πλεονάζον κωλύει θάτερον ὁρᾶν, ἁπάντων ἂν εἴη παραπλησία πως ἡ διάθεσις.
[I 304. 20 App.] ἀλλὰ τὰ μὲν τῆς ὄψεως πάθη χαλεπώτερον ἔσται διελεῖν. τὰ δὲ περὶ τὰς ἄλλας αἰσθήσεις πῶς κρίνωμεν τῶι ὁμοίωι; τὸ γὰρ ὅμοιον ἀόριστον. οὔτε γὰρ ψόφωι τὸν ψόφον οὔτ' ὀσμῆι τὴν ὀσμὴν οὔτε τοῖς ἄλλοις τοῖς ὁμογενέσιν, ἀλλὰ μᾶλλον ὡς εἰπεῖν τοῖς ἐναντίοις. ἀπαθῆ γὰρ δεῖ τὴν αἴσθησιν προσάγειν˙ ἤχου δὲ ἐνόντος ἐν ὠσὶν ἢ χυλῶν ἐν γεύσει καὶ ὀσμῆς ἐν ὀσφρήσει κωφότεραι πᾶσαι γίνονται [I 304. 25 App.] 〈καὶ〉 μᾶλλον ὅσωι ἂν πλήρεις ὦσι τῶν ὁμοίων, εἰ μή τις λεχθείη περὶ τούτων διορισμός.
(20) ἔτι δὲ τὸ περὶ τὴν ἀπορροήν, καίπερ οὐχ ἱκανῶς λεγόμενον περὶ μὲν τὰς ἄλλας ὅμως ἔστι πως ὑπολαβεῖν, περὶ δὲ τὴν ἁφὴν καὶ γεῦσιν οὐ ῥάιδιον. πῶς γὰρ τῆι ἀπορροῆι κρίνωμεν ἢ πῶς ἐναρμόττον τοῖς πόροις τὸ τραχὺ καὶ τὸ λεῖον;
[I 304. 30 App.] μόνου γὰρ δοκεῖ τῶν στοιχείων τοῦ πυρὸς ἀπορρεῖν, ἀπὸ δὲ τῶν ἄλλων οὐδενός. ἔτι δ' εἰ ἡ φθίσις διὰ τὴν ἀπορροήν, ὧιπερ χρῆται κοινοτάτωι σημείωι, συμβαίνει δὲ καὶ τὰς ὀσμὰς ἀπορροῆι γίνεσθαι, τὰ πλείστην ἔχοντα ὀσμὴν τάχιστ' ἐχρῆν φθείρεσθαι. νῦν δὲ σχεδὸν ἐναντίως ἔχει˙ τὰ γὰρ ὀσμωδέστατα τῶν φυτῶν καὶ τῶν ἄλλων ἐστὶ χρονιώτατα. συμβαίνει δὲ καὶ ἐπὶ τῆς Φιλίας ὅλως μὴ εἶναι αἴσθησιν [I 304. 35 App.] ἢ ἧττον διὰ τὸ συγκρίνεσθαι τότε καὶ μὴ ἀπορρεῖν.
(21) ἀλλὰ περὶ μὲν τὴν ἀκοὴν ὅταν ἀποδῶι τοῖς ἔσωθεν γίνεσθαι ψόφοις, ἄτοπον τὸ οἴεσθαι δῆλον εἶναι πῶς ἀκούουσιν, ἔνδον ποιήσαντα ψόφον ὥσπερ κώδωνος. τῶν μὲν γὰρ ἔξω δι' ἐκεῖνον ἀκούομεν, ἐκείνου δὲ ψοφοῦντος διὰ τί; τοῦτο γὰρ αὐτὸ λείπεται ζητεῖν. ἀτόπως δὲ καὶ τὸ περὶ τὴν ὄσφρησιν εἴρηκεν. πρῶτον μὲν γὰρ οὐ κοινὴν αἰτίαν ἀπέδωκεν˙ ἔνια μὲν γὰρ ὅλως οὐδ' ἀναπνέει τῶν ὀσφραινομένων.
[I 305. 1 App.] ἔπειτα τὸ μάλιστα ὀσφραίνεσθαι τοὺς πλεῖστον ἐπισπωμένους εὔηθες˙ οὐδὲν γὰρ ὄφελος μὴ ὑγιαινούσης ἢ μὴ ἀνεωιγμένης πως τῆς αἰσθήσεως. πολλοῖς δὲ συμβαίνει πεπηρῶσθαι καὶ ὅλως μηδὲν αἰσθάνεσθαι. πρὸς δὲ τούτοις οἱ δύσπνοοι καὶ οἱ πονοῦντες καὶ οἱ καθεύδοντες μᾶλλον ἂν αἰσθάνοιντο τῶν ὀσμῶν˙ τὸν πλεῖστον [I 305. 5 App.] γὰρ ἕλκουσιν ἀέρα. νῦν δὲ συμβαίνει τοὐναντίον. (22) οὐ γὰρ ἴσως καθ' αὑτὸ τὸ ἀναπνεῖν αἴτιον τῆς ὀσφρήσεως, ἀλλὰ κατὰ συμβεβηκός, ὡς ἔκ τε τῶν ἄλλων ζώιων μαρτυρεῖται καὶ διὰ τῶν εἰρημένων παθῶν˙ ὁ δ' ὡς ταύτης οὔσης τῆς αἰτίας καὶ ἐπὶ τέλει πάλιν εἴρηκεν ὥσπερ ἐπισημαινόμενος 'ὧδε . . . ὀσμῶν' [B 102]. οὐκ ληθὲς 〈δὲ〉 οὐδὲ τὸ μάλιστα ὀσφραίνεσθαι τῶν κούφων, ἀλλὰ δεῖ καὶ [I 305. 10 App.] ὀσμὴν ἐνυπάρχειν. ὁ γὰρ ἀὴρ καὶ τὸ πῦρ κουφότατα μέν, οὐ ποιοῦσι δὲ αἴσθησιν ὀσμῆς.
(23) ὡσαύτως δ' ἄν τις καὶ περὶ τὴν φρόνησιν ἀπορήσειεν, εἰ γὰρ τῶν αὐτῶν ποιεῖ καὶ τὴν αἴσθησιν. καὶ γὰρ ἅπαντα μεθέξει τοῦ φρονεῖν. καὶ ἅμα πῶς ἐνδέχεται καὶ ἐν ἀλλοιώσει καὶ ὑπὸ τοῦ ὁμοίου γίνεσθαι τὸ φρονεῖν; τὸ γὰρ ὅμοιον
[I 305. 15 App.] οὐκ ἀλλοιοῦται τῶι ὁμοίωι. τὸ δὲ δὴ τῶι αἵματι φρονεῖν καὶ παντελῶς ἄτοπον˙ πολλὰ γὰρ τῶν ζώιων ἄναιμα. τῶν δὲ ἐναίμων τὰ περὶ τὰς αἰσθήσεις ἀναιμότατα τῶν μερῶν. ἔτι καὶ ὀστοῦν καὶ θρὶξ αἰσθάνοιτ' ἄν, ἐπεὶ οὖν ἐξ ἁπάντων ἐστὶ τῶν στοιχείων. καὶ συμβαίνει ταὐτὸν εἶναι τὸ φρονεῖν καὶ αἰσθάνεσθαι καὶ ἥδεσθαι καὶ 〈τὸ〉 λυπεῖσθαι καὶ [τὸ] ἀγνοεῖν˙ ἄμφω γὰρ ποιεῖ τοῖς ἀνομοίοις. ὥσθ' ἅμα [I 305. 20 App.] τῶι μὲν ἀγνοεῖν ἔδει γίνεσθαι λύπην, τῶι δὲ φρονεῖν ἡδονήν.
(24) ἄτοπον δὲ καὶ τὸ τὰς δυνάμεις ἑκάστοις ἐγγίνεσθαι διὰ τὴν ἐν τοῖς μορίοις τοῦ αἵματος σύγκρασιν, ὡς ἢ τὴν γλῶτταν αἰτίαν τοῦ εὖ λέγειν 〈οὖσαν ἢ〉 τὰς χεῖρας τοῦ δημιουργεῖν, ἀλλ' οὐκ ὀργάνου τάξιν ἔχοντα. διὸ καὶ μᾶλλον ἄν τις ἀποδοίη τῆι μορφῆι τὴν αἰτίαν ἢ τῆι κράσει τοῦ αἵματος, ἣ χωρὶς διανοίας
[I 305. 25] ἐστίν˙ οὕτως γὰρ ἔχει καὶ ἐπὶ τῶν ἄλλων ζώιων. Ἐ. μὲν οὖν ἔοικεν ἐν πολλοῖς διαμαρτάνειν.