31 A 87. ARISTOT. de gen. et corr. A 8. 324 b 26. Sembra ad alcuni che ciascuno provi ogni sorta di affezione mediante il passaggio attraverso pori dell'agente ultimo e più proprio;37* a questo modo essi dicono che noi vediamo, ascoltiamo e sentiamo tutte le altre sensazioni. E affermano inoltre che noi vediamo attraverso l'aria, l'acqua e i corpi diafani, perché i loro pori sono invisibili per la piccolezza, fitti nella loro disposizione, e tanto più numerosi quanto più diafani sono i corpi. Alcuni poi, come ad esempio anche Empedocle, svolsero definizioni di questo tipo rispetto a casi singoli, non solo in riferimento a ciò che agisce e a ciò che patisce, ma affermano altresì che si mescolano solo quei corpi i cui pori sono simmetricamente reciproci. PHILOP. de gen. et corr. 160, 3. E' necessario, per Empedocle, ammettere che vi sono corpi solidi e indivisibili, dal momento che non vi sono in ogni parte del corpo pori contigui: e questo è appunto impossibile, perché altrimenti tutto il corpo sarebbe poro e vuoto. Cosicché, se questo è impossibile, è necessario che le parti del corpo, che sono in contatto, siano solide e indivisibili, e vuote quelle intermedie tra di esse, le quali Empedocle chiama appunto pori. PHILOP. de gen. et corr. 178, 2. Sappiamo che coloro i quali fecero l'ipotesi dei pori non li supposero vuoti ma pieni di una certa sostanza corporea più sottile, del tipo dell'aria; ed in ciò differivano da coloro che supponevano l'esistenza del vuoto. PHILOP. de gen. et corr. 154, 5. Differiscono i pori dal vuoto, perché coloro che parlavano di pori negavano che esistesse il vuoto [cfr. ARISTOT. de gen. et corr. A 8. 326 b 6 sgg.]. [PHILOP.] de gen. anim. 123, 13. Empedocle disse che in tutti i corpi che si trovano al di sotto della luna, come nelle acque, nei liquidi oleosi e altri, si trova, secondo la testimonianza del libro Della generazione e della corruzione [cfr. B 92], mescolanza di pori e parti solide e chiamò i pori «cavità» e le parti solide «cose fitte». 31 A 87. ARISTOT. de gen. et corr. A 8. 324 b 26 τοῖς μὲν οὖν δοκεῖ πάσχειν ἕκαστον διά τινων πόρων εἰσιόντος τοῦ ποιοῦντος ἐσχάτου καὶ κυριωτάτου, καὶ τοῦτον τὸν τρόπον καὶ ὁρᾶν καὶ ἀκούειν ἡμᾶς φασι καὶ τὰς ἄλλας αἰσθήσεις αἰσθάνεσθαι [I 305. 30] πάσας, ἔτι δὲ ὁρᾶσθαι διά τε ἀέρος καὶ ὕδατος καὶ τῶν διαφανῶν, διὰ τὸ πόρους ἔχειν ἀοράτους μὲν διὰ μικρότητα, πυκνοὺς δὲ καὶ κατὰ στοῖχον, καὶ μᾶλλον ἔχειν τὰ διαφανῆ μᾶλλον. οἱ μὲν οὖν ἐπί τινων οὕτω διώρισαν, ὥσπερ καὶ Ἐ., οὐ μόνον ἐπὶ τῶν ποιούντων καὶ πασχόντων, ἀλλὰ καὶ μείγνυσθαί φησιν, ὅσων οἱ πόροι σύμμετροι πρὸς ἀλλήλους εἰσίν. PHILOP. ad h. c. p. 160, 3 Vitelli ἀναγκαῖον, [I 305. 35 App.] φησί, τῶι Ἐμπεδοκλεῖ λέγειν εἶναί τινα στερεὰ καὶ ἀδιαίρετα διὰ τὸ μὴ εἶναι πάντηι τοῦ σώματος πόρους συνεχεῖς. τοῦτο γὰρ ἀδύνατον˙ πόρος γὰρ ἂν εἴη τὸ πᾶν σῶμα καὶ κενόν. ὥστε εἰ τοῦτο ἄτοπον, ἀνάγκη τὰ μὲν ἁπτόμενα μόρια τοῦ σώματος στερεὰ εἶναι ἀδιαίρετα, τὰ δὲ μεταξὺ αὐτῶν κενά, οὓς Ἐ. πόρους ἐκάλεσεν. ib. 178, 2 ἴσμεν δὲ ὅτι οἱ τοὺς πόρους ὑποτιθέμενοι οὐ κενοὺς ὑπετίθεντο τούτους, [I 305. 40] ἀλλὰ πεπληρωμένους λεπτομερεστέρου τινὸς σώματος οἷον ἀέρος. ταύτηι γὰρ διέφερον τῶν τὸ κενὸν ὑποτιθεμένων. 154, 5 διαφέρουσι δὲ τοῦ κενοῦ οἱ πόροι, διότι οἱ τοὺς πόρους εἰσάγοντες κενὸν εἶναι οὐκ ἔλεγον. Vgl. ARISTOT. de gen. et corr. A 8. 326 b 6ff. [PHILOP.] in Ar. de gen. anim. 123, 13 [I 306. 1 App.] Ἐ. ἐν ἅπασι τοῖς σώμασι τοῖς ὑπὸ σελήνην, οἷον ὕδασιν, ἐλαίοις καὶ τοῖς ἄλλοις, εἶναι ἔλεγεν, ὡς καὶ ἐν τῆι Περὶ γενέσεως καὶ φθορᾶς [vgl. B 92] εἴρηκεν, ἀναμεμιγμένους πόρους καὶ ναστά, καὶ τοὺς μὲν πόρους ἐκάλεσε κοῖλα, τὰ δὲ ναστὰ πυκνά.