59 A 92. THEOPHR. de sens. 27 sgg. [Dox. 507]. (27) Anassagora [afferma che le sensazioni] si producono mediante i contrari perché il simile non patisce dal simile, e tenta di fare un esame dettagliato per ogni sensazione. Il vedere [si produce] mediante l'impressione della pupilla, ma non si ha impressione in ciò che è di colore uguale bensì diverso. Per i più la diversità dei colori si ha di giorno, per taluni di notte, sicché allora hanno la vista più acuta. In genere la notte ha piuttosto colore uguale agli occhi. L'impressione [avviene] di giorno perché la luce è concausa dell'impressione e il colore dominante s'imprime sempre sull'altro. (28) Nello stesso modo giudicano il tatto e il gusto: quel che è caldo e freddo esattamente [come noi] non ci riscalda né ci raffredda col suo contatto: così pure non percepiamo il dolce e l'amaro per se stessi, ma col caldo il freddo, col salato l'amabile, coll'amaro il dolce, secondo la mancanza di ciascuno [dei contrari], perché egli afferma che si trovano tutti in noi. Allo stesso modo esercitiamo l'olfatto e l'udito, il primo insieme alla respirazione, il secondo quando il suono penetra fino al cervello perché l'osso che l'avvolge e in cui penetra il suono è cavo. (29) Ogni sensazione implica sofferenza, il che sembrerebbe derivare dalla premessa: ogni cosa dissimile col suo contatto produce una pena - e ciò diventa chiaro quando la durata è lunga e il sensibile è eccessivo: i colori violenti e i rumori troppo forti producono dolore e non li possiamo sostenere a lungo. Più adatti a cogliere le sensazioni sono gli animali più grandi e in genere la sensazione è proporzionata alla grandezza 〈del sensorio〉. Quelli che hanno occhi grandi, puri, limpidi, vedono gli oggetti grandi e da lontano, il contrario succede a quelli che li hanno piccoli. Lo stesso vale per l'udito: (30) gli animali grossi ascoltano suoni forti e da lontano, ma non percepiscono i più tenui, mentre quelli piccoli odono suoni piccoli e da vicino. Allo stesso modo per l'odorato, perché l'aria sottile odora di più: infatti l'aria odora quando si scalda e si dilata. Ora l'animale grosso inspirando trae insieme all'aria dilatata quella densa, il piccolo invece l'aria dilatata solo. E perciò gli animali grossi avvertono più odori, ché l'odore è più forte da vicino che da lontano in quanto più denso - disperdendosi diventa debole. Il che è come dire che gli animali grossi non avvertono l'aria sottile, i piccoli, invece, quella densa.15*
.... (37) Anassagora quindi come si è detto si riporta a quest'antica e comune dottrina, solo che dice qualcosa di proprio a proposito di ogni sensazione e soprattutto della vista, perché è il senso più grande, ma non spiega le sensazioni che più sono legate al corpo. G (31) Pensare che la sensazione avviene per mezzo dei contrari ha una qualche ragione, come si è detto, perché pare che l'alterazione si produce non per effetto dei simili ma dei contrari. E tuttavia anche questo punto richiede una prova sicura, se cioè la sensazione è davvero un'alterazione e se il contrario è tale da distinguere il contrario. Che però ogni sensazione avvenga con sofferenza non è confermato né dall'uso (perché talune avvengono con piacere e la maggior parte, poi, senza dolore) né da motivi ragionevoli. La sensazione è secondo natura, e niente di quel che è naturale avviene per violenza e con sofferenza, anzi piuttosto con gioia - il che del resto appare verificarsi così. Nel maggior numero dei casi, infatti, e spesso, godiamo della sensazione per se stessa, messa da parte qualsiasi brama possiamo avere per lo specifico oggetto sentito. (32) Inoltre, poiché piacere e dolore si producono mediante la sensazione e tutto quel che è per natura è rivolto al meglio, come ad esempio la conoscenza, anch'essa dovrebbe trovarsi piuttosto col piacere che col dolore. Perché, se in genere il ragionare non si ha col dolore, neppure il sentire - infatti l'uno e l'altro hanno lo stesso motivo in rapporto alla stessa necessità. Del resto né un sensibile troppo intenso né una lunga durata di tempo indicano che la sensazione si ha con sofferenza, ma piuttosto che essa è in un certo rapporto e proporzione col sensibile. Per questo forse l'eccessivamente piccolo sfugge alla sensazione mentre l'eccessivamente grande porta dolore e distruzione. (33) Ora ad Anassagora càpita di studiare ciò che è naturale da quel che è innaturale: perché l'eccesso è innaturale. In effetti, che per talune sensazioni talvolta si soffra, come pure si goda, è evidente e ammesso, ma non ne consegue che la sensazione si abbia più col dolore che col piacere, ma forse che nella sua veracità essa non si ha né con l'uno né con l'altro: perché, se fosse congiunta al dolore e al piacere, non potrebbe giudicare, come non lo potrebbe neppure il ragionamento. Piuttosto egli ha esteso questo caso da un piccolo principio a tutta la sensazione. (34) Quando poi afferma che gli animali più grossi sentono di più e che generalmente le sensazioni sono in rapporto alla grandezza dei sensori, una di queste asserzioni contiene una difficoltà, se cioè i piccoli non sono più adatti dei grossi a cogliere la sensazione: in realtà sembrerebbe essere proprio di una sensibilità più precisa non lasciarsi sfuggire le piccole cose. D'altra parte non è irragionevole pensare che chi può giudicare le cose più piccole possa con ciò stesso giudicare le più grandi, e insieme pare che per talune sensazioni gli animali più piccoli siano in migliore condizione di quelli grossi: pertanto, da questo punto di vista, minore apparirebbe la sensibilità degli animali più grossi. (35) Se poi appare che anche agli animali piccoli sfuggono molte cose, migliore sarebbe la sensibilità dei più grossi: ma nello stesso tempo sarebbe ragionevole che quanto è vero dell'intera mescolanza del corpo, lo stesso sia delle questioni connesse con la sensazione. Si può, senz'altro, dubitare come si è detto, se davvero si debba dire così16* perché in casi analoghi le cose non si sono determinate in rapporto alla grandezza - e tuttavia gli elementi più importanti sono probabilmente la disposizione del corpo e la sua mescolanza. Nel riportare alla grandezza la proporzione tra oggetti sensibili [e i sensi] pare che si esprima come Empedocle, il quale fa consistere la sensazione nell'adattarsi delle cose ai pori. Solo che sorge una difficoltà a proposito dell'olfatto: egli dice che odora soprattutto l'aria sottile e che sono più acuti nell'odorare quanti traggono a sé l'aria densa che quella rarefatta. (36) Riguardo all'impressione delle immagini la dottrina è comune: i più per la maggior parte suppongono che il vedere si produce a causa dell'impressione che si forma negli occhi. Ma non hanno ancora considerato che le grandezze viste non sono commisurate alle immagini impresse, inoltre che è impossibile che nello stesso tempo si abbia l'impressione di molti oggetti e contrari tra loro, infine che il movimento, la distanza e la grandezza sono sì visibili, ma non producono un'impressione. In taluni animali non si forma nessun'impressione, ad esempio in quelli che hanno gli occhi duri e negli acquatici. Inoltre molte delle cose inanimate secondo questa spiegazione dovrebbero vedere, perché anche nell'acqua e nel bronzo e in molti altri corpi c'è la rifrazione. (37) Dice pure che i colori s'imprimono tra loro e di più quello forte sul debole: di conseguenza dovrebbero vedere e l'uno e l'altro e di più il nero e del tutto quello più debole. Per questo egli fa la pupilla dello stesso colore della notte e la luce causa dell'impressione: eppure prima di tutto noi vediamo la luce per se stessa senza alcuna immagine, e poi gli oggetti neri non hanno affatto meno luce di quelli bianchi. Inoltre anche nelle altre cose noi vediamo l'impressione avvenire su ciò che è più lucente e puro, come del resto egli stesso afferma che le membrane degli occhi sono sottili e luminose. E i più suppongono che la pupilla sia di fuoco, giacché i colori soprattutto partecipano di quest'elemento. /
59 A 92. THEOPHR. de sens. 27ff. (D. 507) Ἀ. δὲ γίνεσθαι μὲν (τὰ αἰσθ.) τοῖς ἐναντίοις˙ τὸ γὰρ ὅμοιον ἀπαθὲς ὑπὸ τοῦ ὁμοίου˙ καθ' ἑκάστην δ' ἰδίαι πειρᾶται διαριθμεῖν˙ ὁρᾶν μὲν γὰρ τῆι ἐμφάσει τῆς κόρης, οὐκ ἐμφαίνεσθαι δὲ εἰς τὸ ὁμόχρων. ἀλλ' εἰς τὸ διάφορον. καὶ τοῖς μὲν πολλοῖς μεθ' ἡμέραν, ἐνίοις δὲ νύκτωρ εἶναι τὸ ἀλλόχρων˙ [II 27. 35 App.] διὸ ὀξυωπεῖν τότε. ἁπλῶς δὲ τὴν νύκτα μᾶλλον ὁμόχρων εἶναι τοῖς ὀφθαλμοῖς. ἐμφαίνεσθαι δὲ μεθ' ἡμέραν, ὅτι τὸ φῶς συναίτιον τῆς ἐμφάσεως˙ τὴν δὲ χρόαν τὴν κρατοῦσαν μᾶλλον εἰς τὴν ἑτέραν ἐμφαίνεσθαι ἀεί. (28) τὸν αὐτὸν δὲ τρόπον καὶ τὴν ἁφὴν καὶ τὴν γεῦσιν κρίνειν˙ τὸ γὰρ ὁμοίως θερμὸν καὶ ψυχρὸν [II 28. 1 App.] οὔτε θερμαίνειν οὔτε ψύχειν πλησιάζον οὐδὲ δὴ τὸ γλυκὺ καὶ τὸ ὀξὺ δι' αὐτῶν γνωρίζειν, ἀλλὰ τῶι μὲν θερμῶι τὸ ψυχρόν, τῶι δ' ἁλμυρῶι τὸ πότιμον, τῶι δ' ὀξεῖ τὸ γλυκὺ κατὰ τὴν ἔλλειψιν τὴν ἑκάστου˙ πάντα γὰρ ἐνυπάρχειν φησὶν ἐν ἡμῖν. ὡσαύτως δὲ καὶ ὀσφραίνεσθαι καὶ ἀκούειν τὸ μὲν ἅμα τῆι ἀναπνοῆι, τὸ [II 28. 5 App.] δὲ τῶι διικνεῖσθαι τὸν ψόφον ἄχρι τοῦ ἐγκεφάλου˙ τὸ γὰρ περιέχον ὀστοῦν εἶναι κοῖλον, εἰς ὃ ἐμπίπτειν τὸν ψόφον. (29) ἅπασαν δ' αἴσθησιν μετὰ λύπης, ὅπερ ἂν δόξειεν ἀκόλουθον εἶναι τῆι ὑποθέσει˙ πᾶν γὰρ τὸ ἀνόμοιον ἁπτόμενον πόνον παρέχει. φανερὸν δὲ τοῦτο τῶι τε τοῦ χρόνου πλήθει καὶ τῆι τῶν αἰσθητῶν ὑπερβολῆι. τά τε γὰρ λαμπρὰ χρώματα καὶ τοὺς ὑπερβάλλοντας ψόφους [II 28. 10 App.] λύπην ἐμποιεῖν καὶ οὐ πολὺν χρόνον δύνασθαι τοῖς αὐτοῖς ἐπιμένειν. αἰσθητικώτερα δὲ τὰ μείζω ζῶια καὶ ἁπλῶς εἶναι κατὰ τὸ μέγεθος 〈τῶν αἰσθητηρίων〉 τὴν αἴσθησιν. ὅσα μὲν γὰρ μεγάλους καὶ καθαροὺς καὶ λαμπροὺς ὀφθαλμοὺς ἔχει, μεγάλα τε καὶ πόρρωθεν ὁρᾶν, ὅσα δὲ μικρούς, ἐναντίως. ὁμοίως δὲ καὶ ἐπὶ τῆς ἀκοῆς. (30) τὰ μὲν γὰρ μεγάλα τῶν μεγάλων καὶ τῶν πόρρωθεν ἀκούειν, [II 28. 15 App.] τὰ δ' ἐλάττω λανθάνειν, τὰ δὲ μικρὰ τῶν μικρῶν καὶ τῶν ἐγγύς. καὶ ἐπὶ τῆς ὀσφρήσεως ὁμοίως˙ ὄζειν μὲν γὰρ μᾶλλον τὸν λεπτὸν ἀέρα, θερμαινόμενον μὲν γὰρ καὶ μανούμενον ὄζειν. ἀναπνέον δὲ τὸ μὲν μέγα ζῶιον ἅμα τῶι μανῶι καὶ τὸν πυκνὸν ἕλκειν, τὸ δὲ μικρὸν αὐτὸν τὸν μανόν˙ διὸ καὶ τὰ μεγάλα μᾶλλον αἰσθάνεσθαι. καὶ γὰρ τὴν ὀσμὴν ἐγγὺς εἶναι μᾶλλον ἢ πόρρω διὰ τὸ πυκνοτέραν εἶναι, [II 28. 20 App.] σκεδαννυμένην δὲ ἀσθενῆ. σχεδὸν δὲ ὡς εἰπεῖν οὐκ αἰσθάνεσθαι τὰ μὲν μεγάλα 〈τῆς λεπτῆς ἀέρος〉, τὰ δὲ μικρὰ τῆς πυκνῆς. (37) Ἀ. μὲν οὖν, ὥσπερ ἐλέχθη, κοινήν τινα ταύτην καὶ παλαιὰν δόξαν ἀναφέρει. πλὴν ἰδίως ἐπὶ πάσαις λέγει ταῖς αἰσθήσεσι καὶ μάλιστα ἐπὶ τῇ ὄψει, διότι τὸ μέγα αἰσθανόμενόν ἐστιν, οὐ δηλοῖ δὲ τὰς σωματικωτέρας αἰσθήσεις. (59) καὶ γὰρ Ἀ. ἁπλῶς εἴρηκε περὶ αὐτῶν [II 28. 25] [näml. τῶν χρωμάτων]. G (31) Τὸ μὲν οὖν τοῖς ἐναντίοις ποιεῖν τὴν αἴσθησιν ἔχει τινὰ λόγον, ὥσπερ ἐλέχθη˙ δοκεῖ γὰρ ἡ ἀλλοίωσις οὐχ ὑπὸ τῶν ὁμοίων, ἀλλ' ὑπὸ τῶν ἐναντίων εἶναι. καίτοι καὶ τοῦτο δεῖται πίστεως, εἰ ἀλλοίωσις ἡ αἴσθησις εἴ τε τὸ ἐναντίον τοῦ ἐναντίου κριτικόν. τὸ δὲ μετὰ λύπης ἅπασαν εἶναι [ψεῦδος] οὔτ' ἐκ τῆς χρήσεως ὁμολογεῖται, τὰ μὲν 〈γὰρ〉 μεθ' ἡδονῆς τὰ δὲ πλεῖστα ἄνευ λύπης ἐστίν, οὔτ' ἐκ τῶν εὐλόγων. ἡ μὲν γὰρ αἴσθησις κατὰ φύσιν, οὐδὲν δὲ τῶν φύσει βίᾳ καὶ μετὰ λύπης, ἀλλὰ μᾶλλον μεθ' ἡδονῆς, ὅπερ καὶ φαίνεται συμβαῖνον. τὰ γὰρ πλείω καὶ πλεονάκις ἡδόμεθα καὶ αὐτὸ δὲ τὸ αἰσθάνεσθαι χωρὶς τῆς περὶ ἕκαστον ἐπιθυμίας διώκομεν.

(32) ἔτι δ' ἐπεὶ καὶ ἡδονὴ καὶ λύπη γίνεται διὰ τῆς αἰσθήσεως, ἅπαν δὲ φύσει πρὸς τὸ βέλτιόν ἐστι, καθάπερ ἡ ἐπιστήμη, μᾶλλον ἂν εἴη μεθ' ἡδονῆς ἢ μετὰ λύπης. ἁπλῶς δ' εἴπερ μηδὲ τὸ διανοεῖσθαι μετὰ λύπης, οὐδὲ τὸ αἰσθάνεσθαι˙ τὸν αὐτὸν γὰρ ἔχει λόγον ἑκάτερον πρὸς τὴν αὐτὴν χρείαν. ἀλλὰ μὴν οὐδὲ αἱ τῶν αἰσθητῶν ὑπερβολαὶ καὶ τὸ τοῦ χρόνου πλῆθος οὐδὲν σημεῖον ὡς μετὰ λύπης ἐστίν, ἀλλὰ μᾶλλον ὡς ἐν συμμετρίᾳ τινὶ καὶ κράσει πρὸς τὸ αἰσθητὸν ἡ αἴσθησις. διόπερ ἴσως τὸ μὲν ἐλλεῖπον ἀναίσθητον, τὸ δ' ὑπερβάλλον λύπην τε ποιεῖ καὶ φθείρει.

(33) συμβαίνει τοίνυν τὸ κατὰ φύσιν ἐκ τοῦ παρὰ φύσιν σκοπεῖν˙ ἡ γὰρ ὑπερβολὴ παρὰ φύσιν. ἐπεὶ τό γε ἀπ' ἐνίων καὶ ἐνίοτε λυπεῖσθαι, καθάπερ καὶ ἥδεσθαι, φανερὸν καὶ ὁμολογούμενον˙ ὥστ' οὐδὲν μᾶλλον διά γε τοῦτο μετὰ λύπης ἢ μεθ' ἡδονῆς ἐστιν, ἀλλ' ἴσως μετ' οὐδετέρου κατά γε τὸ ἀληθές˙ οὐδὲ γὰρ ἂν δύναιτο κρίνειν, ὥσπερ οὐδὲ ἡ διάνοια συνεχῶς οὖσα μετὰ λύπης ἢ ἡδονῆς. ἀλλὰ τοῦτο μὲν ἀπὸ μικρᾶς ἀρχῆς ἐφ' ὅλην μετήνεγκε τὴν αἴσθησιν.

(34) ὅταν δὲ λέγῃ τὰ μείζω μᾶλλον αἰσθάνεσθαι καὶ ἁπλῶς κατὰ τὸ μέγεθος τῶν αἰσθητηρίων εἶναι τὴν αἴσθησιν, τὸ μὲν αὐτῶν ἔχει τινὰ ἀπορίαν, οἷον πότερον τὰ μικρὰ μᾶλλον ἢ τὰ μεγάλα τῶν ζῴων αἰσθητικά˙ δόξειε γὰρ ἂν ἀκριβεστέρας αἰσθήσεως εἶναι τὰ μικρὰ μὴ λανθάνειν, καὶ ἅμα τὸ τὰ ἐλάττω δυνάμενον καὶ τὰ μείζω κρίνειν οὐκ ἄλογον. ἅμα δὲ καὶ δοκεῖ περὶ ἐνίας αἰσθήσεις βέλτιον ἔχειν τὰ μικρὰ τῶν μεγάλων, ὥστε ταύτῃ μὲν χείρων ἡ τῶν μειζόνων αἴσθησις.

(35) εἰ δ' αὖ φαίνεται καὶ πολλὰ λανθάνειν τὰ μικρά [τῶν μειζόνων οἷον οἱ ψόφοι, χρώματα], βελτίων ἡ τῶν μειζόνων˙ ἅμα δὲ καὶ εὔλογον, ὥσπερ καὶ τὴν ὅλην τοῦ σώματος κρᾶσιν, ὁμοίως ἔχειν καὶ τὰ περὶ τὰς αἰσθήσεις. τοῦτο μὲν οὖν, ὥσπερ ἐλέχθη, διαπορήσειεν ἄν τις, εἰ ἄρα καὶ δεῖ λέγειν οὕτως˙ οὐ γὰρ ἐν τοῖς ὁμοίοις γένεσιν ἀφώρισται κατὰ τὸ μέγεθος, ἀλλὰ κυριώτατα ἴσως ἡ τοῦ σώματος διάθεσίς τε καὶ κρᾶσις. τὸ δὲ πρὸς τὰ μεγέθη τὴν συμμετρίαν ἀποδιδόναι τῶν αἰσθητῶν ἔοικεν ὁμοίως λέγειν Ἐμπεδοκλεῖ˙ τῷ γὰρ ἐναρμόττειν τοῖς πόροις ποιεῖ τὴν αἴσθησιν. πλὴν ἐπὶ τῆς ὀσφρήσεως ἴδιον συμβαίνει δυσχερές˙ ὄζειν μὲν γάρ φησι τὸν λεπτὸν ἀέρα μᾶλλον, ὀσφραίνεσθαι δὲ ἀκριβέστερον ὅσα τὸν πυκνὸν ἢ τὸν μανὸν ἕλκει.

(36) περὶ δὲ τῆς ἐμφάσεως κοινή τίς ἐστιν ἡ δόξα˙ σχεδὸν γὰρ οἱ πολλοὶ τὸ ὁρᾶν οὕτως ὑπολαμβάνουσι διὰ τὴν γινομένην ἐν τοῖς ὀφθαλμοῖς ἔμφασιν. τοῦτο δὲ οὐκέτι συνεῖδον ὡς οὔτε τὰ μεγέθη σύμμετρα τὰ ὁρώμενα τοῖς ἐμφαινομένοις οὔτε ἐμφαίνεσθαι πολλὰ ἅμα καὶ τἀναντία δυνατόν, ἔτι δὲ κίνησις καὶ διάστημα καὶ μέγεθος ὁρατὰ μέν, ἔμφασιν δὲ οὐ ποιοῦσιν. ἐνίοις δὲ τῶν ζῴων οὐδὲν ἐμφαίνεται, καθάπερ τοῖς σκληροφθάλμοις καὶ τοῖς ἐνύδροις. ἔτι δὲ καὶ τῶν ἀψύχων διά γε τοῦτο πολλὰ ἂν ὁρῷεν˙ καὶ γὰρ ἐν ὕδατι καὶ χαλκῷ καὶ ἑτέροις πολλοῖς ἐστιν ἀνάκλασις.

(37) φησὶ δὲ καὶ αὐτὸς ἐμφαίνεσθαι μὲν εἰς ἄλληλα 〈τὰ〉 χρώματα, μᾶλλον δὲ τὸ ἰσχυρὸν εἰς τὸ ἀσθενές˙ ὥστε ἑκάτερον μὲν ἐχρῆν ὁρᾶν, μᾶλλον δὲ 〈τὸ〉 μέλαν καὶ ὅλως 〈τὸ〉 ἀσθενέστερον. διὸ καὶ τὴν ὄψιν ὁμόχρων ποιεῖ τῇ νυκτὶ καὶ τὸ φῶς αἴτιον τῆς ἐμφάσεως. καίτοι πρῶτον μὲν τὸ φῶς ὁρῶμεν αὐτὸ δι' οὐδεμιᾶς ἐμφάσεως, ἔπειτα οὐδὲν ἧττον τὰ μέλανα τῶν λευκῶν οὐκ ἔχει φῶς. ἔτι δὲ κἀν τοῖς ἄλλοις ἀεὶ τὴν ἔμφασιν ὁρῶμεν εἰς τὸ λαμπρότερον καὶ καθαρώτερον γινομένην, ὥσπερ καὶ αὐτὸς λέγει τοὺς ὑμένας τῶν ὀμμάτων λεπτοὺς εἶναι καὶ λαμπρούς. τιθέασι δὲ καὶ τὴν ὄψιν αὐτὴν οἱ πολλοὶ πυρός, 〈ὡς〉 τούτου τὰς χρόας μετεχούσας μᾶλλον. /