68 A 153. AELIAN. nat. anim. XII 18. Egli dice, poi, che questa è la causa per cui ai cervi ricrescono le corna. Afferma che il loro ventre è caldissimo e dice che le vene che corrono attraverso tutto il loro corpo sono molto porose, che l'osso che contiene il cervello è sottile, membranaceo e poroso, e che le vene di lì e sino al vertice del capo vanno diventando sempre più spesse. Questa parte dunque [il capo] rapidissimamente ne ritrae alimento e accresce la propria capacità riproduttiva; e il grasso in loro, egli dice, si diffonde dalla superficie verso l'interno, mentre la forza del nutrimento è spinta attraverso le vene sino alla testa. Di qui dunque nascono le corna, irrorate dall'abbondante umore. Il quale, essendo ininterrotto e scorrendo sempre in su, riesce a spingere innanzi la sostanza cornea precedente. Così questo umore sovrabbondante, una volta fuori del corpo, si solidifica, poiché l'aria lo rende compatto e gli conferisce la durezza cornea, mentre resta molle quello che è ancora rinchiuso nell'interno; e il primo indurisce a causa del raffreddamento esterno, l'altro resta molle a causa del calore interno. Dunque lo spuntare del nuovo corno ha l'effetto di spingere innanzi il vecchio come corpo estraneo, perché l'umore proveniente dall'interno fa pressione e vuole spingerlo in su e produce dolore e martellamento, come per la fretta di uscire alla luce e di procedere oltre. Infatti l'umore, una volta solidificatosi e innalzatosi, non può restare stazionario: diventa duro anch'esso e viene spinto innanzi dalle sostanze che stanno ancora più sotto. Anche l'abbondanza delle ramificazioni è dovuta alla forza dell'umore interno; e già si sa che l'animale inseguito, nella violenza della corsa, suole spezzarne alcune quando s'impigliano nei rami degli alberi e lo impediscono nella velocità della corsa. E mentre le une crescono a poco a poco, la natura fa venir su le altre pronte a spuntare. 68 A 153. AEL. H. N. XII 18 αἰτίαν δὲ ὁ αὐτὸς λέγει τοῖς ἐλάφοις τῆς τῶν κεράτων ἀναφύσεως ἐκείνην εἶναι. ἡ γαστὴρ αὐτοῖς ὥς ἐστι θερμοτάτη ὁμολογεῖ, καὶ τὰς [II 126. 5] φλέβας δὲ αὐτῶν τὰς διὰ τοῦ σώματος πεφυκυίας παντὸς ἀραιοτάτας λέγει καὶ τὸ ὀστέον τὸ κατειληφὸς τὸν ἐγκέφαλον λεπτότατον εἶναι καὶ ὑμενῶδες καὶ ἀραιόν, φλέβας τε ἐντεῦθεν καὶ ἐς ἄκραν τὴν κεφαλὴν ὑπανίσχειν παχυτάτας. τὴν γοῦν τροφὴν καὶ ταύτης γε τὸ γονιμώτατον ὤκιστα ἀναδίδοσθαι καὶ ἡ μὲν πιμελὴ αὐτοῖς ἔξωθεν, φησί, περιχεῖται, ἡ δὲ ἰσχὺς τῆς τροφῆς ἐς τὴν κεφαλὴν διὰ [II 126. 10 App.] τῶν φλεβῶν ἀναθόρνυται ἔνθεν οὖν τὰ κέρατα ἐκφύεσθαι διὰ πολλῆς ἐπαρδόμενα τῆς ἰκμάδος. συνεχὴς οὖν οὖσα ἐπιρρέουσά τε ἐξωθεῖ τὰ πρότερα. καὶ τὸ μὲν ὑπερίσχον ὑγρὸν ἔξω τοῦ σώματος σκληρὸν γίνεται, πηγνύντος αὐτὸ καὶ κερατοῦντος τοῦ ἀέρος, τὸ δὲ ἔνδον ἔτι μεμυκὸς ἁπαλόν ἐστι˙ καὶ τὸ μὲν σκληρύνεται ὑπὸ τῆς ἔξωθεν ψύξεως, τὸ δὲ ἁπαλὸν μένει ὑπὸ τῆς ἔνδον ἀλέας. οὐκοῦν [II 126. 15 App.] ἡ ἐπίφυσις τοῦ νέου κέρατος τὸ πρεσβύτερον ὡς ἀλλότριον ἐξωθεῖ θλίβοντος τοῦ ἔνδοθεν καὶ ἀνωθεῖν τοῦτο ἐθέλοντος καὶ ὀδυνῶντος καὶ σφύζοντος ὥσπερ οὖν ἐπειγομένου τεχθῆναι καὶ προελθεῖν. ἡ γάρ τοι ἰκμὰς πηγνυμένη καὶ ὑπανατέλλουσα ἀτρεμεῖν ἀδύνατός ἐστί˙ γίνεται γὰρ καὶ αὐτὴ σκληρὰ καὶ ἐπωθεῖται τοῖς προτέροις. καὶ τὰ μὲν πλείω ἐκθλίβεται ὑπὸ τῆς ἰσχύος τῆς ἔνδον, ἤδη δέ τινα [II 126. 20 App.] καὶ κλάδοις περισχεθέντα καὶ ἐμποδίζοντα ἐς τὸν ὠκὺν δρόμον ὑπὸ ῥύμης τὸ θηρίον ὠθούμενον ἀπήραξε. καὶ τὰ μὲν ἐξώλισθε, τὰ δὲ ἕτοιμα ἐκκύπτειν ἡ φύσις προάγει.