68 A 169 [4 N.]. CICER. de fin. V 8, 23. Quanto poi alla «assenza di affanni» di Democrito, che è quanto dire la tranquillità dell'animo, da lui chiamata εὐθυμία , si dovette lasciarla da parte nella nostra discussione perché codesta tranquillità dell'animo non è altro che la felicità appunto. CICER. de fin. V 29, 87. Democrito, di cui si narra (se vero o falso non c'interessa ora di cercare) che si tolse la vista, certo con l'intento che l'animo suo fosse il meno possibile distolto dalla meditazione, trascurò il patrimonio, lasciò incolti i propri campi; e che altro cercando, se non la felicità? Perché è vero ch'egli riponeva la felicità anche nella conoscenza della natura, ma tuttavia con quella investigazione della natura egli voleva ottenere di vivere con l'animo tranquillo. E perciò infatti chiama il sommo bene coi nomi di εὐθυμία e di ἀθαμβία, cioè assenza di terrori nell'animo. (88) Ma questi concetti, anche se furono enunciati bene, non furono però [da lui] sviluppati in base a quel principio: giacché sulla virtù almeno disse poche cose e non propriamente ricavate da quel suo concetto della felicità. 68 A 169 [4 N.]. CIC. de fin. V 8, 23 Democriti autem securitas quae est animi tamquam tranquillitas, quam appellant εὐθυμίαν, eo separanda fuit ab hac disputatione, quia ista animi tranquillitas ea est ipsa beata vita. CIC. de fin. V 29, 87 [II 129. 25 App.] Democritus, qui (vere falsone quaerere <nolu>mus) dicitur se oculis privasse certe ut quam minime animus a cogitationibus abduceretur, patrimonium neglexit, agros deseruit incultos, quid quaerens aliud nisi vitam beatam? quam si etiam in rerum cognitione ponebat, tamen ex illa investigatione naturae consequi volebat, bono ut esset animo. ideo enim ille summum bonum [II 129. 30 App.] εὐθυμίαν et saepe ἀθαμβίαν appellat, id est animum terrore liberum. (88) sed haec etsi praeclare, nondum tamen perpolita pauca enim neque ea ipsa enucleate ab hoc de virtute quidem dicta.