IV A 159

IV A 159 ANONIMO SIRIACO Erostrofo, ed. Lagarde (Analecta Syriaca, p. 158 sgg.):
Socrate dice: o Erostrofo, cosa ti ha offerto l'occasione di venire da me? Poiché molto ho udito sul tuo conto, che tu hai affaticato in ogni direzione la tua anima invano e senza profitto e non hai trovato fino ad ora nulla per te e che gli altri potrebbero ricevere da te, per rendersi liberi; così ora voglio venire a sapere da te cosa tu vuoi indagare o su cosa vuoi fare domande o in quale situazione ti trovi o cosa tu hai udito [dagli altri] fino al momento in cui sei venuto da me. Però anche questo io voglio venire a sapere sulla ragione del tuo interrogare e del tuo indagare presso di me, se tu grazie a ciò perverrai ad una situazione di godimento e di gioia, o se di nuovo invano devi volgerti alla primitiva fatica.
Erostrofo dice: o Socrate, la tua fama e il mio volere mi hanno portato in fretta da te, perché tu più di tutti gli uomini che presentemente sono in questo mondo in saggezza e in continenza, passi anche tutta la tua vita libera da passioni. Questo mio venire da te, o Socrate, ha però anche questa ragione, che io so che tutto il mondo ammira la tua sapienza e quelli che ti conoscono godono delle tue qualità degne di lode e quelli che non ti conoscono odono il tuo nome e si meravigliano molto delle tue opere. Cosa per me desiderabile è questa, o Socrate, che io conservi anche una tua testimonianza su come sono le cose di cui ora voglio parlarti, se mai anche io, o Socrate, con la tua vista le veda e le ascolti e se la tua contentezza mi basti più che le lodi e le vuote parole di tutto il mondo, le cui lodi come le parole sono vane illusioni. Su ciò che è in me io ti parlo, prima che tu dia testimonianza su ciò, poiché io so che invidia e gelosia non trovano posto presso di te. Se anche non voglio interrogarti come quella gente, che ha piacere nelle cose che servono alle passioni e il cui desiderio dell'anima consiste nella dolcezza delle cose che rapidamente passano, ma queste domande e queste indagini, o Socrate, devono essere per me intermediarie al bene che è in te, facendo anche tu testimonianza di ciò. A ciò così come anch'io ti faccio conoscere il mio punto di vista e lo stato della mia mente, così in egual maniera la tua mente deve dichiararmi tutto senza riserve, e deve rallegrarmi sia ciò che è in me sia ciò che udrò da te.
Allorché Socrate ebbe udito queste cose da Erostrofo, gli fu grato e se ne rallegrò, perché aveva udito da lui proprio quelle parole e quelle domande, quali le aveva fatte Erostrofo. Poiché Socrate sapeva che Erostrofo se ne sarebbe andato da lui non invano e senza successo.
Di qui egli cominciò a parlare a Socrate e a fargli domande su ciò per cui era andato da lui: io ti prego, o Socrate, di parlarmi senza gelosia e senza animosità dell'anima; perché mi sembra cosa grande e importante e degna che ti faccia domande su di essa, che tu mi dica riguardo all'anima in primo luogo che cosa essa è; in secondo luogo io ti chiedo ancora: è eterna la sua durata? o essa esiste solo per un certo tempo, per formare questa cosa visibile (cioè il corpo)? o perisce anch'essa contemporaneamente quando questa cosa si dissolve? oppure quella si scioglie e l'anima continua ad esistere, per ritornare ad apparire in un altro corpo? oppure finisce insieme con quello e deve alla fine per una prima causa tornare ad apparire in quello stesso corpo? - O Socrate, io voglio ascoltare da te come ti sembra che stia la cosa. Tu però non devi dirmi le parole di altri filosofi, né di poeti, né, di retori, né di medici, che non esercitano le altri arti e non hanno neppure imparato a lavorare argento e oro e le restanti cose - poiché sarebbe troppo lungo elencare tutte le arti che ci sono nelle abitazioni degli uomini -: poiché le parole dei medici sull'anima, che è unita al corpo, è divisa e consiste di [singole] parti, è giusto che le sentiamo anche noi, giacché il loro giudizio è opportuno, in quanto noi ne facciamo uso e vediamo che le loro azioni guariscono il corpo, poiché accogliendo le loro parole viene di nuovo rimessa a posto anche l'intelligenza dello spirito; - perciò io ti ho parlato un po' di più dei medici, perché [veramente] anima e corpo sono mescolati l'uno con l'altra e questa è la loro arte; cioè quelli io chiamo medici, nei quali si trovano ambedue le cose (cura del corpo e dello spirito), - perché veramente colui che capisce bene la sua arte è capace di darne una specie di immagine. Io ti propongo perciò la domanda, come ti sembra questa cosiddetta anima - o qualunque altro nome tu vuoi, daglielo - se essa dura o se finisce (ossia si consuma, invecchia), come io ti ho detto nelle mie prime parole, per il fatto che essa è così divisa . . . . . . . . . . . . .