[5] Ἐρωτηθεὶς τί μακαριώτερον ἐν ἀνθρώποις, ἔφη, "εὐτυχοῦντα ἀποθανεῖν." γνωρίμου ποτὲ πρὸς αὐτὸν ἀποδυρομένου ὡς εἴη τὰ ὑπομνήματα ἀπολωλεκώς, "ἔδει γάρ," ἔφη, "ἐν τῇ ψυχῇ αὐτὰ καὶ μὴ ἐν τοῖς χαρτίοις καταγράφειν." ὥσπερ ὑπὸ τοῦ ἰοῦ τὸ σίδηρον, οὕτως ἔλεγε τοὺς φθονεροὺς ὑπὸ τοῦ ἰδίου ἤθους κατεσθίεσθαι. τοὺς βουλομένους ἀθανάτους εἶναι ἔφη δεῖν εὐσεβῶς καὶ δικαίως ζῆν. τότ' ἔφη τὰς πόλεις ἀπόλλυσθαι, ὅταν μὴ δύνωνται τοὺς φαύλους ἀπὸ τῶν σπουδαίων διακρίνειν. ἐπαινούμενός ποτε ὑπὸ πονηρῶν, ἔφη, "ἀγωνιῶ μή τι κακὸν εἴργασμαι." [5] Gli fu chiesto quale fosse la suprema beatitudine per un uomo ed egli rispose: «Morire felice». Ad un suo amico che si lamentava con lui perché aveva perduto gli appunti, rispose: «Dovevi scriverli sull'animo, non sulle carte». Diceva che gli invidiosi sono divorati dalla loro stessa indole, come il ferro dalla ruggine. Diceva che chi aspira all'immortalità deve vivere in pietà e in giustizia; che le città vanno in rovina allorquando non sanno più discernere i cattivi dai buoni. Una volta si ebbe la lode da parte di gente malvagia e disse: «Temo molto di aver commesso qualcosa di grave».9*