[6] ἀνέθηκε δ' αὐτὸ εἰς τὸ τῆς Ἀρτέμιδος ἱερόν, ὡς μέν τινες, ἐπιτηδεύσας ἀσαφέστερον γράψαι, ὅπως οἱ δυνάμενοι 〈μόνον〉 προσίοιεν αὐτῷ καὶ μὴ ἐκ τοῦ δημώδους εὐκαταφρόνητον ᾖ.
τοῦτον δὲ καὶ ὁ Τίμων ὑπογράφει λέγων
(PPF 9 B 43),

τοῖς δ' ἔνι κοκκυστής, ὀχλολοίδορος Ἡράκλειτος,
αἰνικτὴς ἀνόρουσε.

Θεόφραστος δέ φησιν ὑπὸ μελαγχολίας τὰ μὲν ἡμιτελῆ, τὰ δ' ἄλλοτε ἄλλως ἔχοντα γράψαι. σημεῖον δ' αὐτοῦ τῆς μεγαλοφροσύνης Ἀντισθένης φησὶν ἐν Διαδοχαῖς˙ (FGrH 508 F 10) ἐκχωρῆσαι γὰρ τἀδελφῷ τῆς βασιλείας. τοσαύτην δὲ δόξαν ἔσχε τὸ σύγγραμμα ὡς καὶ αἱρετιστὰς ἀπ' αὐτοῦ γενέσθαι τοὺς κληθέντας Ἡρακλειτείους.

[6] Eraclito depositò l'opera nel tempio di Artemide e, secondo l'opinione di alcuni, la scrisse a bella posta in uno stile piuttosto oscuro, sì che ad essa si accostassero soltanto13* i capaci e non fosse facile preda del disprezzo del volgo.
Timone 14* così lo caratterizza:

In mezzo a loro si levò Eraclito, che grida acutamente come il cuculo, spregiatore del volgo, enigmatico.

Teofrasto 15* attribuisce alla sua melancolia l'incompletezza e le contraddizioni che mostrano alcune parti dell'opera. Antistene 16* nelle Successioni dei filosofi adduce ad esempio della sua alterezza il fatto che rinunziò al diritto di regnare 17* a favore del fratello. Tanta rinomanza acquistò la sua opera che da essa si formarono i seguaci della sua dottrina, i così detti Eraclitei.