[54] ὁ γοῦν Βητίων εἷς τῶν συνήθων αὐτῷ πρὸς Μενέδημόν ποτε λέγεται εἰπεῖν, "ἐγώ τοι, ὦ Μενέδημε, νύκτωρ συνδέομαι Βίωνι καὶ οὐδὲν ἄτοπον δοκῶ γε πεπονθέναι."


πολλὰ δὲ καὶ ἀθεώτερον προεφέρετο τοῖς ὁμιλοῦσι, τοῦτο Θεοδώρειον ἀπολαύσας.
καὶ ὕστερόν ποτε ἐμπεσὼν εἰς νόσον, ὡς ἔφασκον οἱ ἐν Χαλκίδι - αὐτόθι γὰρ καὶ κατέστρεψε - περίαπτα λαβεῖν ἐπείσθη καὶ μεταγινώσκειν ἐφ' οἷς ἐπλημμέλησεν εἰς τὸ θεῖον. ἀπορίᾳ δὲ καὶ τῶν νοσοκομούντων δεινῶς διετίθετο, ἕως Ἀντίγονος αὐτῷ δύο θεράποντας ἀπέστειλε. καὶ ἠκολούθουν γε αὐτῷ (sc. οἱ θεράποντες) ἐν φορείῳ, καθά φησι Φαβωρῖνος ἐν Παντοδαπῇ ἱστορίᾳ.
(FHG III. 582)
Ἀλλὰ καὶ ὣς κατέστρεψε καὶ ἡμεῖς αὐτὸν οὕτως ᾐτιασάμεθα (App. Anth. V. 37)˙

[54] Di uno dei suoi intimi, Betione, si narra che una volta abbia detto queste parole a Menedemo: «Io, o Menedemo, la notte sto insieme 124* con Bione e credo che in questa esperienza non vi sia per me nulla di strano».
Nella conversazione spesso e volentieri si lasciava andare ad affermazioni piuttosto irriguardose verso gli dèi, ché aveva attinto da Teodoro il gusto di mostrarsi ateo.
Successivamente quando s'ammalò - così si raccontava a Calcide, dove infatti morì - si lasciò persuadere a prendere degli amuleti e a ritrattare, con animo pentito, le ingiurie verso la divinità. La mancanza di infermieri lo pose in una triste situazione, fino a che Antigono non gliene mandò un paio. E lo seguivano
125* anche in lettiga, come attesta Favorino nella Storia Varia. 126*
Anch'io ho espresso la mia critica sulla sua morte in questi versi: 127*